Neverout, il puzzle game ispirato a Cube è un'opera monca
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a cura di Gottlieb
Alla fine degli anni ’90 riscosse un discreto successo una pellicola realizzata in Canada dal regista americano Vincenzo Natali: si tratta di Cube, film distribuito nelle sale cinematografiche nel 1997, pronto a raccontare la storia di sei persone rinchiuse in un labirinto e costrette a sfuggire dalle numerose stanze che lo componevano. Sebbene il film fosse passato sotto traccia nei grandi circuiti e non sia diventato nel tempo un blockbuster, è riuscito a identificarsi come film di culto per alcuni appassionati, fino a ispirare Neverout, un puzzle game che si presenta come una produzione atipica, ma che offre degli elementi ludici poco pregnanti.
Neverout, titolo sviluppato da Gamedust, era già stato pubblicato lo scorso anno in VR per Oculus Rift e per Gear VR, offrendo un’esperienza decisamente diversa da quella che abbiamo affrontato noi su Nintendo Switch: il non avere un’immersione totale in quella che è l’avventura claustrofobica e angosciante toglie parte del divertimento, almeno dal punto di vista visivo, ma non intacca e non inficia il gameplay generale. Il titolo, d’altronde, è comunque da giocare in prima persona, alla scoperta della via d’uscita, indicata a schermo da una sorta di botola che vi porterà, attraverso una lunga caduta, alla stanza successiva. Neverout non ha una storia o una sceneggiatura alle sue spalle, ma semplicemente una serie di puzzle da risolvere: non appena svegliatici e pronti a vivere la nostra esperienza ci ritroveremo all’interno di un cubicolo che ha soltanto un foro d’uscita, come dicevamo poc’anzi. Da lì saremo costretti a spostarci nel tentativo di trovare l’unico modo possibile per uscire e passare al livello successivo: sebbene all’inizio la strada sia abbastanza priva di problematiche, con il procedere noteremo che sarà anche possibile morire in caso di errore. Il game over, che non farà altro che riportarci al punto di partenza di quella stanza (come in Super Meat Boy, per intenderci rapidamente), potrà capitare sia perché siamo stati schiacciati da una piattaforma o perché siamo caduti su degli spuntoni. Queste due fattispecie si manifestano perché il nostro camminare attraverso la stanza comporta delle modifiche della gravità, una meccanica abbastanza interessante, anche se non semplificata dalla visuale molto claustrofobica e in prima persona sullo schermo della Switch. Il nostro muoversi, quindi, a volte risulterà anche abbastanza confusionario e pieno di indecisione, almeno per i primi secondi, quando saremo chiamati a capire cosa dobbiamo effettivamente fare e come dobbiamo muoverci: non ci sono, infatti, indicazioni né suggerimenti, semplicemente degli ostacoli e una botola d’uscita, tutto in un cubo non eccessivamente grande. Insomma, al di là del camminare e del muoversi non c’è nient’altro da fare in Neverout. Un puzzle game molto basico, che tra l’altro ha anche una breve durata e che presto darà vita a un loop che giustifica, tra le altre cose, anche il titolo del gioco stesso. Uno spoiler abbastanza grosso.
In Neverout troveremo tre diversi tipi di stanze: grigio, verde e blu. Le meccaniche, ovviamente, differiscono di stanza in stanza sebbene l’obiettivo resti quello di evadere il più rapidamente possibile: non c’è un conto alla rovescia, sia chiaro, quindi potrete impiegare tutto il tempo che volete per trovare la via d’uscita. Nessuno vi correrà dietro, se non la vostra pazienza. Nei cubi grigi troverete delle scatole di metallo che si muoveranno insieme a voi a seconda della parete contro la quale ci ritroveremo, seguendo la nostra gravità, come detto poc’anzi: in questo modo dovremo utilizzare i cubi che si muovono come passerelle per raggiungere la botola d’uscita; le stanze verdi vi porteranno dinanzi a delle vere e proprie trappole elettrificate, che dovranno essere evitate per non fare la fine di uno spiedino; infine quelle blu vi metteranno dinanzi a dei portali da teletrasporto (quasi a scimmiottare Portal): dei tre tipi quest’ultimo è stato sicuramente quello che ci ha messo più in difficoltà, perché – non avendo alcuna indicazione e nessun suggerimento – teletrasportarsi su una delle mattonelle vi potrebbe lanciare direttamente con i piedi su una trappola. Troverete poi da voi il modo per risolvere tale problematica. Tra l’altro avendo dei controlli molto elementari basati esclusivamente dal movimento e dal ruotare la telecamera, sarà tutto abbastanza immediato. Ultimo accenno sull’aspetto tecnico del titolo, che non si esalta né per l’art design, che è molto piatto e propone delle stanze abbastanza austere, né per il sonoro, che si fa vivo esclusivamente quando il game over ha il sopravvento sul nostro corpo.
Ottima la sensazione claustrofobica
Troppo ripetitivo
Tecnicamente poco ispirato
6.0
Neverout è, a conti fatti, un buon puzzle game. Pur non avendo una sceneggiatura alle spalle, riesce a offrire un contesto abbastanza comprensibile e l’ispirazione a Cube è molto diretta. La proposta è diversa dalle solite e si ricrea abbastanza schiettamente la sensazione claustrofobica che la pellicola della fine degli anni ’90 regalava agli spettatori: questo sicuramente è l’aspetto più riuscito di un titolo che vi porta via pochissime ore di intrattenimento, con davvero poca verve e poca profondità videoludica.
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