Lost Words: Beyond the Page, la potenza delle parole - Recensione
L'esclusiva Google Stadia firmata Rhianna Pratchett (Mirror's Edge, Tomb Raider) vi toccherà profondamente, ma c'è qualcosa che non va
a cura di Paolo Sirio
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Sketchbook Games
- Produttore: Modus Games
- Piattaforme: STADIA
- Generi: Piattaforme , Puzzle game
- Data di uscita:
La natura dei videogiochi ci porta spesso a non ponderare le conseguenze delle azioni: in uno sparatutto, ad esempio, quando eliminiamo il soldato di una fazione avversa non ragioniamo su come la prenderanno i suoi famigliari, in che modo riusciranno a sopravvivere senza il sostentamento di un capofamiglia, e quisquilie simili.
Questo è dovuto a due aspetti in particolare del mezzo: la sfera ludica ha nel DNA una strutturazione da puro intrattenimento, che diverta e non ammorba i fruitori, mentre quella frenetica fa sì che, quand’anche un gioco ci mettesse di fronte ad un’azione “pesante” come può essere la morte di un personaggio a cui tenevamo in un titolo story-driven, questa sia rapidamente soppiantata da un altro avvenimento che ci distolga dal precedente e occupi l’interezza della nostra attenzione.
Con l’avvento di macchine più permissive e con creatività più raffinate, questo paradigma è andato via via sfumandosi, ed è per questo che abbiamo negli scaffali e nelle nostre mani giochi che vadano oltre la semplice azione e comincino a considerare le reazioni; quello che c’è prima e quello che c’è dopo, non soltanto il durante. In una parola, il lutto; che sia per una situazione che c’era e non c’è più, o più comunemente per una persona cara scomparsa, la cui assenza soffriamo giorno dopo giorno dopo giorno.
Per anni il lutto è stato un vero e proprio tabù nel gaming ma di recente titoli come Gris hanno dato prova di come lo si possa mettere in scena in una maniera brillante: senza rinunciare alla sfaccettatura (preponderante) del ludus ma reggendola su una struttura, in unico aggettivo, artistica di grande spessore. Lost Words: Beyond the Page in questo senso prova a fare un passo in avanti sotto entrambi i punti di vista, riuscendoci – non che sia poco – soltanto parzialmente.
Il piano reale…
Disponibile in esclusiva su Google Stadia, Lost Words è un atipico platform scritto da Rhianna Pratchett (Mirror’s Edge e i Tomb Raider della giovane Lara Croft, per fare due nomi dei suoi precedenti lavori) che si divide in un piano reale e in uno fantasy, entrambi distinti abbastanza nettamente per quanto riguarda il gameplay e il tono – perlomeno fino ad una determinata fase del gioco.
Forse potrebbe sorprendervi ma è il piano reale a spiccare particolarmente: in questa dimensione, il titolo di Sketchbook Games prevede che i giocatori eseguano dei piccoli puzzle con le parole, inserendole nei tasselli giusti e utilizzandoli negli spazi più opportuni come piattaforme per procedere nel livello successivo.
In questa porzione, che ne denota l’indole di prodotto da consumare con i propri bambini e per bambini in quanto titolo che gioca tanto con la manipolazione delle parole, viene mandata avanti la storia, quella di una bambina con la passione per la scrittura che si ritrova a misurarsi con le prime difficoltà della vita; tra queste, anche un lutto, che ne sconvolgerà l’esistenza e ne metterà in discussione i capisaldi, inclusa quella stessa scrittura che adorava tanto.
La scrittura di Pratchett emerge potente nella dimensione reale: gli episodi raccontati qui sono puntellati con precisione chirurgica, come figli di una memoria viva nella mente della penna americana, e toccano – con un linguaggio sorprendentemente mirato e focalizzato sul contesto – sfumature che suoneranno tristemente familiari a molteplici degli utenti che la proveranno.
Aver affondato la narrazione in frammenti di vita vissuta permette alla narrazione di raggiungere vette di credibilità e sostanziosità con pochi precedenti, perlomeno nel ramo trattato: non scenderemo in spoiler, ma vi diremo che la cosa si nota frequentemente perché non mancano particolari molto specifici e dettagli dolorosi che altrove risulterebbero più “leggeri” perché appunto frutto di una fantasia e non così granulari.
Lost Words è il racconto dell’ingiustizia della morte: fintanto che ne abbiamo consapevolezza, ovvero fino a quando non tocca noi direttamente, ci piomba addosso con un peso che in qualunque fase della nostra vita non saremo in grado di sopportare. Nel gioco, ci viene descritta la prima esperienza con questa delicatissima fase dell’esistenza, che è fatta di quel misto di illusione e speranza che accompagna i passaggi più delicati della malattia ma anche prevalentemente di sofferenza e vuoto, e la sensazione di dispiacere e impotenza nei confronti di una bambina che per la prima volta ci si misura è molto forte.
Un aspetto delizioso è che gli episodi cui abbiamo accennato prendono vita negli schizzi, scritti e disegnati, nel diario della protagonista: capiterà di colorarli, come un muro di Concrete Genie, o semplicemente rimanere di stucco di fronte alla direzione artistica ispirata dagli aneddoti che portano avanti la narrazione, rinsaldando rapporti, incrinandone altri e al contempo presentando la continua crescita della bambina; una crescita fatta di alti e bassi come per qualunque altra bambina, di entusiasmi e fiumi di parole, ma anche di silenzi e incapacità di esprimere tutto quello che hai dentro.
… e il piano fantasy
Metà del gioco si svolge in un piano fantasy, ovvero nella storia che la bambina (usiamo una definizione generica perché il nome del personaggio viene scelto tra tre opzioni diverse, noi abbiamo optato per Grace) sta scrivendo proprio sul suo diario. Qui, nel momento in cui il titolo si scolla dalla sua dimensione concreta e c’è da dimostrare qualcosa di più sotto il profilo del gameplay, si avvertono i primi incespicamenti.
Le buone intuizioni non mancano, e si poggiano anch’esse sulla struttura da “lost words”, letteralmente parole smarrite, che sottende l’intera produzione. Le parole sono la parola chiave del titolo: perdonerete il gioco di parole ma è così, anzi aggiungeremmo che è la loro assenza a costituire la problematica di fondo che innesca la vicenda. Inoltre, ci viene data l’opportunità di prendere alcune scelte lungo il cammino che non lo modificano radicalmente ma assumono senso man mano che ci affezioniamo al racconto e vogliamo personalizzare la visione del mondo del nostro alter ego.
Tra queste intuizioni troviamo quella di fondo, ovvero la possibilità di compiere azioni che non siano semplicemente camminare e saltare solo attraverso i verbi che si trovano all’interno del nostro diario: “rompere” consentirà di spaccare una pietra e muoversi oltre, ad esempio, così come “ignorare” permetterà di far finta che un portone non esista e ci si possa passare attraverso. Di tali abilità ne abbiamo di fisse e volatili, con queste ultime che dipenderanno dal capitolo in cui giocheremo.
Questa dinamica da terraforming letterario è piuttosto suggestiva ma rimane lettera morta (oggi va così) per gran parte del gioco, dal momento che si accontenta di farsi vedere e di esporre la propria brillantezza senza calarsi in enigmi o puzzle che possano risultare un minimo probanti; ciò è giustificato dalla natura della produzione di platform elementare e vicino a quanto possa andar bene per un bambino, vero, ma non siamo troppo convinti che un bambino possa rimanere affascinato più di tanto di fronte a tale esecuzione.
Per gran parte del tempo (tra le 5 e le 6 ore richieste per il completamento del gioco), ci siamo ritrovati ad attraversare scenari alquanto vuoti, camminando per diversi “scroll” orizzontali degli scenari prima che potessimo imbatterci nell’interazione successiva; una sorta di walking simulator bidimensionale a cui però, nella controparte fantasy almeno, manca la spinta necessaria per incentivarci ad avanzare.
La meccanica delle parole come input per le azioni della protagonista è accattivante, per quanto un tantino scomoda: Sketchbook si è affidata al grilletto sinistro (che va tenuto premuto) per l’apertura del diario e alla levetta analogica destra per la selezione della voce desiderata, un passaggio non propriamente intuitivo sia sul controller di Google Stadia che su quello Xbox.
La mancanza di impulsi ludici significativi è un peccato perché proprio nelle battute conclusive dell’avventura compaiono un paio di puzzle e scenari con una componente platform elementare che danno l’idea del loro potenziale; qualche fase centrale, che finisce con il risultare diluita e povera di contenuti, avrebbe forse giovato di quella maggiore complessità.
Queste considerazioni assumono ancora di più contorni amari se pensiamo che la scrittura, fiore all’occhiello della controparte reale, si riscopre anch’essa blanda e alquanto fuori fuoco; per certi versi, possiamo immaginare che il senso di smarrimento sia stato trasmesso come espediente narrativo per coinvolgerci nelle fortune alterne della protagonista, ma questo giustifica solo parzialmente la scarsa riuscita della “seconda metà” del gioco.
+ Scrittura concreta che pesca da aneddoti di vita vissuta
+ Brillante l'idea di giocare con le parole
- La gestione delle parole qui è alquanto scomoda
7.0
Lost Words è riuscito a commuoverci nel suo piano reale in almeno un paio di circostanze, così come ad annoiarci e lasciarci l’amaro in bocca per l’esecuzione della dimensione fantasy, che avrebbe dovuto, nelle intenzioni dello sviluppatore, dare sostanza alla sua offerta ludica. Tenuto conto della resa di questa porzione del gioco, sarebbe stato consigliabile concentrare tutti gli sforzi sui chiari punti di forza del prodotto anziché inseguire una realtà evidentemente oltre i propri mezzi; il risultato sono un viaggio il cui completamento richiede una certa pazienza ma anche, fortunatamente, belle premesse e belle conclusioni che vale la pena provare.
Voto Recensione di Lost Words: Beyond the Page - Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
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Una storia toccante e familiare
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Scrittura concreta che pesca da aneddoti di vita vissuta
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Brillante l'idea di giocare con le parole
Contro
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La dimensione fantasy ha poco contenuto, e questo annacqua anche la potenza della scrittura
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La gestione delle parole qui è alquanto scomoda