Like a Dragon: Pirate Yakuza in Hawaii | Recensione
Pirate Yakuza in Hawaii è uno spin-off riuscitissimo, che mescola temi pirateschi alla consueta verve del franchise Like a Dragon.
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a cura di Gianluca Arena
Senior Editor
In sintesi
- Una storia autoconclusiva perfetta anche per i neofiti.
- Tema piratesco ben sfruttato.
- Parecchi contenuti secondari ma durata complessiva gestibile.
-
Pro
- Il protagonista più carismatico della serie dopo Kazuma.
- Sapore piratesco che si adatta perfettamente alla serie.
- Un sacco di contenuti opzionali.
- Perfetto anche per i neofiti.
-
Contro
- Notevole riciclo tecnico.
- Storia poco incisiva per i fan di vecchia data.
Il Verdetto di SpazioGames
Informazioni sul prodotto
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- Sviluppatore: Ryu Ga Gotoku Studio
- Produttore: SEGA
- Testato su: PS5
- Piattaforme: PC , PS5 , XSX , PS4 , XONE
- Generi: Action Adventure
- Data di uscita: 20 febbraio 2025
Di pari passo con la saga principale, che ormai ha le sembianze inconfondibili di Ichiban Kasuga, il Ryu Ga Gotoku Studio sta portando avanti dei filoni narrativi alternativi per il franchise Like a Dragon, non solo per onorare personaggi amatissimi dai fan, ma anche per tenere vivo uno stile di gioco, quello con i combattimenti in tempo reale, che ha fatto la storia della serie.
Dopo The Man who erased his name, che ci portava a vestire ancora una volta i panni di Kazuma Kiryu, è il turno di un altro dei mammasantissima della saga, Majima Goro, che si trova a vivere una delle avventure più strampalate della sua vita a capo di una ciurma di pirati (?!?).
Sì, avete letto bene. E benvenuti nella nostra recensione di Like a Dragon Pirate Yakuza in Hawaii.
Dove sono? Che ora è?
Diciamolo: nella vita c'è di molto peggio che svegliarsi su un'assolata spiaggia di una piccola isola tropicale in mezzo al Pacifico in una splendida mattinata di sole, senza sapere non solo come ci si è arrivati, ma nemmeno il proprio nome. L'amnesia è un brutto cliente, ma provare a farsela passare in riva all'oceano è pur sempre meglio che farlo in un letto d'ospedale, no?
Non crediamo che Goro Majima sarebbe d'accordo con noi: se non fosse per il buon cuore di un ragazzino di nome Noah, infatti, sarebbe morto di sete e di stenti, senza avere la più pallida idea di dove si trovasse.
L'enorme tatuaggio sulla sua schiena suggerisce l'affiliazione alla Yakuza, e il modo in cui il nostro smemorato si libera di una manica di cosiddetti pirati sembra confermare che si tratta di un uomo che sa il fatto suo.
Un rapido giro di domande svela che il nostro si trova nel bel mezzo del Pacifico, a tre ore di navigazione da Nele Island, centro focale della narrativa dell'ultimo episodio regolare della serie, quell'Infinite Wealth di cui trovate la recensione sulle nostre pagine.
Chi avrà portato a termine quel capitolo sarà allora un passo avanti rispetto allo sventurato Goro, laddove i neofiti si immedesimeranno ancora di più nell'imbarazzo del leggendario yakuza: presto arriveranno delle spiegazioni sommarie, ascoltate le quali, però, Goro, con quel pizzico di follia (eufemismo!) che lo contraddistingue, sceglierà di proseguire con la vita che si è ricostruito, in un paio di giorni, ripartendo da zero.
Perché aspettare l'arrivo dell'aniki Taiga Saejima, il quale, appena saputo della ricomparsa di Majima, ha preso il primo volo per Honolulu? Nah! Molto meglio far fruttare la sua ultima conquista, una nave che sarebbe più al suo posto in una rimessa che a largo: a capo di una ciurma di reietti, perdigiorno e buoni a nulla, Majima decide di proseguire nel solcare gli oceani, improvvisandosi lupo di mare, per accontentare il desiderio del piccolo Noah, il suo gentile salvatore, di vedere il mondo per la prima volta.
Gli ingredienti di questo tour dei sette mari saranno parecchio alcool (ma mai ai minorenni), arene di lotta clandestina tra navi, mini-giochi di cucina assortiti e tanti, ma tanti combattimenti.
Come sempre per la serie, momenti di grande comicità (la maggioranza) si alternano ad altri di inattesa drammaticità, come da comprovata tradizione – ma, rispetto alle uscite canoniche e al succitato spin-off dedicato a Kazuma Kiryu, Like a Dragon Pirate Yakuza in Hawaii è un'avventura leggera e scanzonata, che non si prende mai troppo sul serio e che si appoggia alle consolidate doti da anfitrione di Goro Majima (anche in versione smemorato) per offrire una gag dopo l'altra, divertendo tanto i fan di vecchia data del cane pazzo di Shimano quanto i neofiti, che magari cercavano solo un titolo che richiamasse loro le battaglie navali di Assassin's Creed IV Black Flag.
Perché sì, c'è anche questa possibilità, come vedremo nel paragrafo successivo: per quanto con un taglio tutto giapponese, quest'avventura piratesca potrebbe richiamare anche chi al franchise Like a Dragon non ci si è mai nemmeno avvicinato, e la natura autoconclusiva della storia conferma questa ipotesi.
Tutti per il Capitano, il Capitano per tutti!
Quando dalle cut-scene si passa all'azione più intensa, Pirate Yakuza in Hawaii prosegue sulla rotta (no pun intended!) tracciata dagli episodi storici del franchise, quelli della vecchia guardia, in cui il sistema di combattimento era in tempo reale e non a turni.
Oltre alla doppia sciabola in dotazione, che può peraltro essere lanciata e seminare morte tra i nemici, questo stile garantisce al nostro l'accesso a delle pistole (rapide ma non troppo potenti), ad un fucile (lento, ma devastante) e finanche ad un rampino.
Inutile dire che quest'ultimo è diventato da subito il nostro preferito, anche solo per variare la formula rispetto al solito, sebbene al riempimento dell'indicatore della furia siamo immancabilmente ricorsi alla mossa che genera cloni di Majima, assolutamente devastante (per non dire game-breaking).
Poter passare da uno stile all'altro in tempo reale con la singola pressione di un tasto garantisce sempre ritmo agli scontri, che risultano così adrenalinici, spettacolari e mai noiosi.
I medesimi principi di immediatezza e facilità d'esecuzione di applicano alle battaglie navali, dov'è possibile colpire le navi nemiche tanto da poppa quanto da prua, avvalendosi di armi a lungo raggio, che siano mitragliatrici o cannoni, o di altre dalla gittata più contenuta, come i lanciafiamme o il lanciarazzi portatile di Majima: padroneggiare i controlli della Goromaru richiederà non più di due minuti, ma la soddisfazione nel vedere i vascelli nemici inabissarsi dopo i nostri colpi durerà fino ai titoli di coda.
Come anticipavamo nel paragrafo precedente, se questo tipo di meccaniche – unite alla ricerca di nuovi elementi per rimpolpare la propria ciurma e alla raccolta di fondi utili a migliorare equipaggiamenti ed arsenale – facessero al caso vostro, la struttura narrativa piuttosto snella di Pirate Yakuza in Hawaii e la presenza di un gran numero di facce nuove lo renderebbero ideale anche a chi non è affatto interessato alla saga della malavita giapponese quanto, piuttosto, ad un'avventura piratesca che restituisca un sapore non troppo dissimile da quelle dell'indimenticato Edward Kenway.
Farsi prendere dalla gestione della ciurma, dal miglioramento della Goromaru e da tutti gli strampalati tornei offerti da Madlantis prolunga consistentemente la vita del gioco – che altrimenti, di suo, sarebbe completabile in poco più di una dozzina di ore, in un cambio di ritmo notevole rispetto alla saga principale, che lo rende assai più digeribile.
Ma il livello di sfida dei tornei navali di più alto rango e la quantità di isolette da esplorare e razziare possono più che raddoppiare la durata complessiva, a discrezione del giocatore e del suo livello di coinvolgimento nelle vicende.
Come da consolidata tradizione per il franchise, le sfide extra non si fermano poi a quelle navali, che rimangono comunque il piatto forte del pacchetto: ci sono taglie da scovare ed eliminare, tornei di freccette, tabelloni tennistici di biliardo, l'immancabile karaoke ed una pletora di collezionabili estetici da raccattare nei vari negozi di Honolulu, per la gioia dei completisti e di quanti amino perdersi nei contenuti opzionali.
Il migliore complimento che possiamo fare a Pirate Yakuza in Hawaii è che si gioca esattamente come i vecchi episodi del franchise, senza risultare quindi un capitolo minore. E questo basta, complice un protagonista incredibilmente carismatico, a tenere la barca a galla senza troppe difficoltà.
Riciclo sì, ma nel rispetto dei giocatori
Nonostante il riciclo di asset grafici, texture ed animazioni sia massiccio rispetto all'ultimo episodio regolare della serie Like a Dragon, com'era d'altronde abbastanza lecito attendersi da uno spin-off, è difficile tenere il broncio a Pirate Yakuza in Hawaii.
Questo perché il team di grafici del Ryu Ga Gotoku Studio si è almeno premurato di creare due o tre location del tutto inedite, tra le quali spicca Madlantis, lavorando di cesello per assicurarsi che ogni scena di intermezzo risulti talmente curata e vivida da offrire un livello incredibile di immersione nella storia.
Lo schema è chiaro: quando il team di sviluppo si prende la briga di creare da zero una nuova location, particolareggiata e densa come suo solito, dopo la sfrutta per almeno un paio di titoli tra episodi canonici e spin-off, ottimizzando così le risorse e diluendo gli investimenti.
Piaccia o non piaccia, questa tattica consente al Ryu Ga Gotoku Studio di rimanere prolifico nel tempo e di dare seguito a tutti i rami narrativi dell'enorme lore che ha creato nel corso dei decenni.
Certo, nel complesso siamo lontani dalla perfezione, ma i lati positivi riescono almeno a pareggiare quelli negativi: in assenza di qualsivoglia modalità grafica, su PS5 non abbiamo però riscontrato problemi di fluidità di sorta, e sì che a schermo succede davvero di tutto, e le prove recitative giapponesi si confermano eccezionali, almeno due spanne sopra quelle inglesi, pure incluse da subito nel pacchetto per quanti le preferissero.
Come anticipato nel paragrafo precedente, anche il rapporto tra la quantità di contenuti e il prezzo richiesto al lancio è, ancora una volta, a favore dello studio nipponico: Pirate Yakuza in Hawaii viene venduto a venti euro in meno dei tripla A che arrivano sul mercato, ma non ha nulla da invidiare a questi ultimi in termini di durata complessiva e di qualità del divertimento, pur rimanendo evidentemente un progetto secondario rispetto al filone principale. Insomma, anche dal punto di vista della strategia commerciale, va evidenziato che Like a Dragon sta toccando le corde giuste.
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