Just Cause 4 recensione | Condizioni meteo stabili
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a cura di Paolo Sirio
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Square-Enix
- Produttore: Square-Enix
- Piattaforme: PC , PS4 , XONE
- Data di uscita: 4 dicembre 2018
Nuovo appuntamento con la serie Just Cause, che arrivata al quarto capitolo, il secondo sulle console di generazione corrente, prova a darsi una rinfrescata chiedendo una mano alle condizioni climatiche estreme ma senza rinunciare agli ingredienti che l’hanno resa una perla immancabile nelle librerie degli amanti della distruzione videoludica.
Giungendo ad un numero di iterazioni ormai consistente, quello che si chiedeva al franchise era esattamente questo: introdurre elementi inediti ma coerenti con le aspettative costituite nel corso degli anni, per non snaturare una saga che, pur non avendo mai raggiunto vette di eccellenza (e forse, per la sua natura tanto peculiare, senza mai ambirvi), è gradualmente diventata un caposaldo nelle rotazioni dei titoli tripla-A. L’obiettivo sarà stato raggiunto?
Parlavamo di ingredienti che hanno avvicinato il pubblico a questa IP e non possiamo, allora, evitare di partire dalla storia di Rico Rodriguez che va puntualmente avanti, lasciandosi alle spalle una scia di dittatori rovesciati e popoli liberi, e l’ormai topos dell’isola tropicale come ambientazione principale. In Just Cause 4 – un seguito diretto del precedente episodio -, Rico si ritrova a Solìs per aggiungere un tassello importante nella sua vita familiare, la cui quiete è stata spezzata anni or sono dall’uccisione del padre, un ricercatore che aveva lavorato ad uno strumento per il controllo degli eventi atmosferici poi tramutato in arma da un imprenditore senza scrupoli. Costui va sotto il nome di Oscar Espinoza, e si dà il caso che si tratti soltanto dell’ultimo discendente di una stirpe che da secoli mantiene stretto il proprio giogo sull’isola con l’oscura organizzazione della Mano Nera. Unendo l’utile e il dilettevole, per così dire, saremo chiamati nei panni del buon Rodriguez a chiudere i conti con il nostro passato, scoprendo altro su papà Miguel, sul suo lavoro e sulle ragioni per le quali gli è stata tappata la bocca, e al contempo spezzare la morsa degli Espinoza su quest’angolo di paradiso.
La premessa è insomma di quelle buone per esplorare in lungo e in largo Solìs, un’isola che può contare su una mappa non più grande di quanto abbiamo visto in passato ma di certo più variegata, costruita da Avalanche Studios su quattro biomi diversi che si interlacciano in modalità altamente spettacolari sia da un punto di vista estetico che ludico.
Mettere insieme deserti assolati, specchi d’acqua da sogno, monti rocciosi innevati e foreste lussureggianti era una sfida particolarmente complicata, ma si è fatta persino maggiormente ambiziosa quando lo sviluppatore svedese ha deciso di mostrarcene i loro risvolti “mostruosi”, con tempeste di sabbia, piogge e venti fortissimi, scariche paurose di fulmini e non ultimi tornado a seminare quella distruzione tipica del franchise portata ad un livello però superiore. Se i momenti di volo sanno essere mozzafiato, grazie a vedute da macchina fotografica sempre puntata e una transizione seamless dal lancio col paracadute o con la tuta alare, e il passaggio da una porzione all’altra della mappa realistico e fluido, non possiamo dirci totalmente convinti dall’impiego degli agenti atmosferici violenti, che per l’importanza che è stata riposta su di loro in fase di presentazione del prodotto richiedono tuttavia un paragrafo a parte.
Prima di addentrarci nel discorso, è giusto fare una corposa parentesi sulla progressione in Just Cause 4, per rendere meglio l’idea di cosa ci saremmo attesi e cosa ci siamo invece ritrovati a fronteggiare. Il titolo della scuderia Square Enix è basato su una progressione simile a quella di altri open world, e al predecessore cui si rifà ampiamente, ma con un distinguo da fare se venite da Far Cry e altre produzioni simbolo del sotto-genere. E che lo rende uno degli aspetti controversi tra quelli in analisi. La mappa è divisa tipicamente in regioni, che dovremo lottare per strappare dalle grinfia della Mano Nera. Generalmente, ci aspetteremmo una serie di missioni da completare per attivare un evento che determini uno scontro finale e la liberazione della regione.
In JC4 mancano invece del tutto passaggi intermedi: ogni regione ha una sola missione da completare prima che possiamo portarla dalla nostra parte, dopodiché si passa ad un’altra regione, e ad un’altra ancora, fino a quando non potremo sbloccare quella adibita ad ospitare l’atto conclusivo di un’operazione. Ciò riduce sì il monte ore, sulla ventina da standard degli altri capitoli, ma soprattutto la quantità di missioni principali che siano fatte “a mano”, con NPC di personalità da incontrare e azioni create ad hoc da compiere.
In questi frangenti, infatti, le missioni seguono giusto due o tre archetipi, ripetendosi pressoché tutte uguali le une alle altre senza alcun cambiamento di sorta, se non in sfumature di poco conto, né nella costituzione né nel tasso di sfida che rimane quasi paradossalmente sempre identico dal primo all’ultimo istante. In un continuo distruggere generatori e hackerare console si finisce spesso per perdere il filo di una narrazione che per certi versi sembra voler timidamente osare di più, e andare avanti come per inerzia fino alla scena successiva.
Il solo “livello” che esiste all’interno del gioco è quello relativo all’Armata del Caos, un ritorno dai tempi di Just Cause 2, che regola due parametri. Riempiremo la barra di ciascun livello compiendo azioni di pura distruzione, cioè eliminando nella maniera più pirotecnica possibile strutture del nemico e facendo avanzare le linee del fronte che troveremo nelle aree meno esplorate ancora… in mano alla Mano Nera. L’introduzione di questa componente è estremamente coerente con la direzione storica della serie e ha un che di spettacolare quando c’è da combattere vere e proprie guerre di fronte, con tanto di sacchetti di sabbia a coprire gli uomini coinvolti nel conflitto e la possibilità di vedere avanzate e ritirate in tempo reale.
Qui si evidenziano le caratteristiche tipiche e prevalentemente senza concorrenti di Avalanche, ovvero un gameplay sopra le righe in cui si possono sparare centinaia di proiettili in pochi secondi senza temere surriscaldamenti delle armi e dove la creatività nel fare il proprio lavoro equivale ad una ricompensa in divertimento e in “valuta” interna. Va tuttavia detto che nel corso della storia molto raramente ci siamo visti costretti a ricorrere a tale espediente, visto che potremo portare a casa le squadre necessarie allo sblocco di nuove regioni conquistandone altre, il che un po’ vanifica l’utilità sua e dell’esplorazione pre-missione primaria della mappa.
Lo stesso dicasi del secondo parametro che avevamo anticipato, ossia quello dei Fornitori: più alto sarà il livello della nostra Armata del Caos, più ne avremo a disposizione, fino ad un massimo di sette. I Fornitori sono un elemento non innovativo, giacché li avevamo al nostro fianco pure in JC3, ma di certo rifinito rispetto alla precedente puntata grazie alla possibilità di decidere dove piazzare l’oggetto di cui avremo bisogno, di avere una maggiore scelta per quanto riguarda il materiale da farci consegnare a domicilio e stabilire dei preset per una consegna quanto mai celere. Anche in questo caso c’è un “però”, che riguarda l’effettivo bisogno di averli tutti e sette in squadra (e dunque di aumentare il livello): con tempi di cooldown per il loro riutilizzo così bassi, già essere accompagnati da tre ci è sembrato un lusso.
L’unico cambio di passo è rappresentato dagli eventi innescati una volta conquistate tutte le regioni necessarie al completamento delle operazioni (autentici atti all’interno della storia), nei quali dovremo affrontare e padroneggiare i letali agenti atmosferici di cui sopra. La loro comparsa è di elevato impatto, specie per quanto riguarda il tornado – impressionante a vedersi, con case, auto, alberi e persino aerei di linea trascinati credibilmente nel suo occhio, e tanta attenzione da riporre per non fare la loro fine -, ma perlopiù soltanto nelle missioni della storia.
Finite le relative operazioni, infatti, avremo un’area in cui sprigionarli in tutta libertà e nient’altro, non eventi collegati o particolari conseguenze sul mondo del gioco all’infuori di un playground limitato in cui potremo divertirci a sperimentare con le ripercussioni del loro utilizzo (fulmini che ci bruceranno vivi se non ci muoveremo abbastanza in fretta o in vicinanza di un parafulmine, e così via) come in un solitario laboratorio. È innegabile come si tratti di un altro strumento alla mercè dei creativi della distruzione e un achievement tecnologico per la casa scandinava ma, considerando la notevole qualità della resa, è lecito restare con un pizzico d’amaro in bocca nel vedere che la promessa di un mondo piegato dinamicamente dalle calamità naturali sia stata mantenuta soltanto a metà.
I contenuti secondari, oltre alle piccole sfide e i collezionabili che in pieno stile Just Cause dovremo distruggere anziché raccogliere (come i dirigibili di sorveglianza), ci vengono elargiti da tre personaggi diversi e sono adibite allo sblocco delle mod per il rampino di Rico. Le missioni di Sargento si mantengono sulla stessa lunghezza d’onda di quelle della campagna, se non altro da una “prospettiva” differente che ci vede impegnati a fare da addestratori e scorte per le nuove reclute dell’Armata del Caos. In queste saremo chiamati ad esempio a coprire loro le spalle con il fucile da cecchino, od accompagnarli in auto in alcuni punti della mappa per liberarli dall’influenza della Mano Nera che si esercita con apparecchiature elettroniche et similia. A guardarle, nella loro semplicità coerenti con il rinse and repeat imperante, ci chiediamo se non fosse il caso di integrarne il design in taluni momenti della storia.
E lo stesso vale per le missioni affidateci da Javi e Garlan: nel primo caso, il girovagare per tombe lascia filtrare qualche barlume di luce con spruzzatine di puzzle ed indagine del passato dell’ambientazione in un level design che più piatto difficilmente si poteva; nel secondo, materiale per gli spericolati del volante (di qualunque veicolo) e qualche scambio simpatico a ravvivare un capitolo della saga che, pur mantenendo la sua anima da b-movie anni ’80 e ’90 con one man show e vette di machismo ormai rare, rischiava di farsi troppo serio per via del crescendo della storia personale del protagonista.
Le mod che possiamo ottenere completando questi contenuti permettono di regolare nel minimo dettaglio il comportamento del rampino. Il rampino è mai come ora al centro della scena, causando assuefazione e divertendo nella traversata, ma anche risultando praticamente irrinunciabile quale mezzo di locomozione senza veicolo in combinata con paracadute e tuta alare (le location sono pressoché sempre troppo grandi per percorrerle a piedi); ha raggiunto ulteriori livelli di comodità e fluidità grazie ad un posizionamento accorto degli elementi sullo schermo, con la sola macchiolina dovuta presumibilmente più al puntatore di non essere troppo preciso quando si prova ad aggrapparsi alle sporgenze.
Adesso, in fase “offensiva”, possiamo ad esempio determinare che i palloni aerostatici del sollevatore, raggiunta una certa altezza (bassa, media o alta) esplodano, oppure impostare la forza dello strattone del riavvolgitore, e così via. Il simpatico booster del terzo Just Cause – sì, quello che spediva le capre in orbita – è stato integrato negli strumenti del rampino, così da non doversi necessariamente avvicinare alle proprie vittime, con una generale riorganizzazione che ha portato alla creazione di tre preset che comprendono i gingilli menzionati qui sopra. Possiamo passare da un preset all’altro (fino a tre) direttamente nel gioco e selezionare, dopo il lancio del rampino, quale tool adoperare imprimendo una differente pressione sulla croce direzionale, tasto Su.
Converrete che fare qualcosa del genere, che implica il dover ricordare la pressione assegnata a ciascuno strumento, mentre mezza Solìs ti svuota ogni caricatore esistente addosso sia alquanto complicato, e ciò si risolve soltanto in parte assegnando un solo strumento a preset. È evidente quindi che tale componente sia studiata e perfezionata per il post campagna e per la componente sandbox, dove ci ritroveremo a girare senza troppi pensieri e potremo sprigionare la nostra creatività per scoprire combinazioni le combinazioni utili e comiche che avevano fatto del diretto predecessore una macchietta in rete.
Chiudendo sulla questione tecnica, il codice PC fornitoci per la nostra recensione ha mostrato il bello e il brutto di una produzione tanto grande e tecnologicamente ambiziosa gestita da un team di appena cento persone. Il gioco è arrivato sulle nostre scrivanie non privo della consueta pletora di bug, certe volte persino simpatici, legati alla fisica negli open world ma, cosa più grave, con errori e crash cui fortunatamente siamo per larghi tratti riusciti a sfuggire che hanno però messo a dura prova la pazienza di qualche collega. La speranza è che la promessa patch del day one sistemi queste problematiche e consegni agli utenti un prodotto privo se non altro di questi impedimenti anche piuttosto seri. Un’altra patch, del resto, aveva corretto ad un passo dal weekend altri problemi tecnici, come ad esempio quello che avevamo riscontrato a proposito dell’audio fuori sincrono nelle scene d’intermezzo (talvolta ancora si accavallano le voci per pochi istanti durante quelle non pre-renderizzate), quindi possiamo dirci moderatamente fiduciosi sull’argomento.
Il motore grafico di nuova generazione APEX ha consentito ad Avalanche di realizzare un prodotto capace di caricare una sola volta, all’ingresso, nonostante un mondo di proporzioni imponenti e nell’insieme dall’aspetto gradevole. Tale fluidità arriva con qualche compromesso: le strutture nemiche sono tutte identiche, con “prefabbricati” in cui persino le strisce gialle e nere per la segnaletica a terra si ripetono immutate, e la cura riposta nei modelli poligonali del cast dei protagonisti non ha un degno contraltare, specie nelle texture sia nel giocato sia nelle cut-scene e nei fili d’erba seghettati che guastano l’impatto visivo piedi a terra.
Se questo è il brutto, il bello sta in una resa esaltante dall’alto dei diversi panorami offerti dal titolo, sia che li si guardi da fermo, sia che ci si lanci in tuta alare o si scelga la strada comoda di un elicottero (o di un aereo, o di un caccia); il tutto ad un costo ragionevolmente contenuto, se pensiamo che ci siamo occupati di questo articolo con una Nvidia GTX 980, con settaggi ultra a 1080p60 e con qualche rinuncia, tra le tante impostazioni concesse, a 30fps su 1440p e 4K. Le esplosioni non brillano per risoluzione se osservate da vicino ma sono comunque parecchio appariscenti e non hanno un’incidenza sul conteggio dei fotogrammi al secondo. Di questo non siamo particolarmente sorpresi visto che il prodotto si rivolge ad una platea console, così come sul lungo termine alla scena dei modder e degli youtuber che ne esalteranno la componente ora ilare, ora spettacolare.
+ Tradizionale divertimento sopra le righe e senza regole
- Avremmo voluto di più dalle condizioni climatiche
- Tecnicamente altalenante
6.8
Just Cause 4 si propone di continuare a fare il lavoro per cui è nata la serie, ovvero proporre al pubblico un GTA esotico in cui i trucchi per le munizioni e i veicoli illimitati sono sempre attivi, e lo fa ancora piuttosto bene. Rispetto al terzo capitolo ha provato ad alzare l’asticella e la resa talvolta non è ottimale, con qualche premessa che meritava un approfondimento maggiore e una ripetitività di fondo che tenta sempre di nascondersi dietro la creatività dei giocatori. Cui pure viene consegnato un set di strumenti rifinito e capiente, e un playground nel quale i fan della serie potranno scorrazzare seminando il panico e la distruzione che hanno amato nei precedenti episodi.
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Voto Recensione di Just Cause 4 - Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
-
Ottima la resa dell’ambientazione e dei biomi
-
Tradizionale divertimento sopra le righe e senza regole
Contro
-
Scarsa applicazione nel design delle missioni
-
Avremmo voluto di più dalle condizioni climatiche
-
Tecnicamente altalenante
Commento
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