John Wick Hex, dal grande schermo al videogioco - Recensione
John Wick Hex è un tattico a turni che non ha paura di infrangere molte regole e di dettarne di nuove.
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a cura di Daniele Spelta
Redattore
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Bithell Games
- Produttore: Good Shepherd Entertainment
- Piattaforme: PC
- Generi: Azione , Strategico
- Data di uscita: 8 ottobre 2019
Amo Keanu Reeves e lo amo soprattutto quando veste i panni di John Wick, almeno quanto lui ama i cani e le pistole. Con John Wick Hex il mio sentimento ha però raggiunto un nuovo livello e vorrei dirglielo in faccia quanto sia “breathtaking”, a lui e a quel genio di Mike Bithell, designer alle spalle di questo tattico a turni unico nel suo genere e già autore di titoli come Thomas Was Alone e Volume. Vorrei stringere la mano ad entrambi, ma l’ennesimo killer spuntato dal nulla mi ha fatto fuori.
Siete appena usciti dalla sala cinematografica e nelle vostre pupille sono ancora impresse le movenze di Baba Yaga, al secolo John Wick, ex-assassino costretto a indossare di nuovo il suo smoking e ora uomo più ricercato d’America. Immaginate ora che, non si bene per quale motivo, qualche pezzo grosso di Lionsgate si presenti da voi con una valigetta piena di soldi e vi chieda di realizzare un gioco che catturi l’essenza frenetica di quella pellicola che vi ha tenuti incollati sulla poltrona per le ultime due ore. Sono certo che molti di voi partirebbero in quinta a stendere l’abbozzo del solito third person shooter, con le solite coperture e il solito slow motion. Per fortuna gli autori del film non hanno incontrato voi ma Mike Bithell che, al posto del prevedibile sparatutto, ha ricamato uno strategico che rappresenta un vero punto di rottura.
Non il solito tattico a turni
I prototipi iniziali di John Wick Hex seguivano i canoni imposti dai vari XCOM-like: un colpo per il protagonista che muove di sei caselle a destra, poi un nemico che si sposta dietro una parete, poi tocca ancora al protagonista… Noia e no, niente di tutto questo assomiglia a ciò che ha reso celebre la trilogia. Quindi via la classica suddivisione in turni, al cui posto è stata inserito uno scorrere dei secondi che viene frazionato in modo sempre differente in base alle azioni compiute dai personaggi su schermo. È un concept tanto semplice quanto radicale, un cambiamento di paradigma capace di combinare una fluidità da action movie con una pianificazione più lenta e ragionata tipica da videogioco tattico. Bithell ha dato vita ad un paradosso videoludico caricando con una massiccia dose di dinamicità un titolo che sulla carta dovrebbe risultare ancorato alle schematicità imposte dai turni, che invece vengono qui fusi in un continuum senza interruzioni. Come se non bastasse, le esecuzioni sono accompagnate dalle note di Austin Wintory, che per l’occasione ha impresso sullo spartito una colonna sonora elettro perfettamente calzante. Peccato solo per i riassunti forniti dai replay, una giustapposizione di fotogrammi sgraziati e per nulla eleganti, con tanto di compenetrazioni e telecamera che se ne va per i fatti suoi.
Per apprendere questa coreografia fatta di pallottole e arti marziali è necessaria un po’ di pratica, anche perché le regole sono spiegate senza troppo ordine durante gli scontri iniziali. Ad esempio, non capisco perché la lettura della propria barra temporale e di quella dei nemici, espressa nella parte alta dello monitor, venga introdotta solo dopo un paio di missioni. Capire l’interfaccia è fondamentale per prevenire le mosse degli loschi figuri pronti a farci la pelle, per calcolare la riuscita di un’azione e per capire chi muoverà per primo. Fortunatamente, nella sua fredda linearità, l’UI rientra nei pro e bastano pochi attimi per orientarsi nella lettura dei vari tasti e ottenere il significato di numeri e statistiche.
Improvvisare sempre e comunque
Guidare i passi del Keanu Reeves in cel shading è abbastanza semplice e tutto è eseguibile tramite i due tasti del mouse. Questi pochi comandi sono più che sufficienti per dar vita ad un intreccio di azioni-reazioni imprevedibili ad inizio partita. Potrei fare un elenco infinito di situazioni che sono terminate in modo diametralmente opposto a come me le ero prefigurate nella testa pochi istanti prima. C’è un sicario isolato nell’angolo di una stanza e mi avvicino furtivamente per eliminarlo, solo che incautamente non mi accorgo di esser scoperto da una seconda guardia posta all’uscita. Il due contro uno rimescola tutte le carte nel mio mazzo e mi ricordo di aver solo 3 proiettili nel caricatore, insufficienti per far piazza pulita. Si sa infatti che John Wick spara sempre due volte. La nuova soluzione assomiglia più ad un’improvvisazione, con tanto di lancio della pistola in testa ad uno dei due nemici per stordirlo e creare così uno lasso di tempo in cui recuperare una seconda arma e far fuoco a questo punto su entrambi i bersagli. Ma ne arriva un terzo e sono punto a capo. Quindi niente k.o istantaneo per un sgherro, ma utilizzo del suo corpo come barriera, unica via per anticipare di una frazione di secondo la mia sconfitta e innestare una nuova sequela di sangue.
Questa è solo la punta di un iceberg, una descrizione a cui vanno aggiunti pezzi sempre nuovi mano a mano che si avanza fra le missioni, gli scenari aumentano di dimensioni, vengono introdotte nuove armi e gli avversari si fanno più ostici e numerosi. L’asticella della difficoltà è posta abbastanza in alto, anche a causa dei danni permanenti fra le varie sezioni della missione e l’unico rimedio ha l’aspetto delle indispensabili bende. Prima di affrontare una nuova porzione principale c’è inoltre spazio per una breve fase strategica in cui spendere delle monete e piazzare in alcuni ambienti dei materiali aggiuntivi, come medikit e pistole di riserva, un altro piccolo aiuto prima dell’immancabile boss.
La vera complessità di John Wick Hex non risiede però nel progressivo aumento quantitativo della minaccia, quanto nella stessa idea di game design partorita da Bithell. La frammentazione dei turni in micro-secondi mai identici fra loro è infatti la perfetta cura contro l’applicazione mnemonica di mosse sempre uguali a cui spesso ci si affida in questi genere di giochi. La ripetizione delle stesse prassi semplicemente non basta e porterebbe ad un continuo susseguirsi di morti. Inoltre, questa forte variabilità rende meno tedioso il game over e la riproposizione delle stesse posizioni di livello, che presentano sempre qualcosa di diverso, un vero rimedio contro il trial and error.
La dura vita dell’assassino
Quando John Wick Hex funziona, è un vero piacere assistere a quella scia di morte e distruzione che ci si lascia alle spalle. Ogni tanto però il gioco si “incastra” e in una manciata di casi mi è capitato di assistere a routine nemiche rotte, che ho vergognosamente sfruttato per avere la meglio a rischio zero anche contro un boss. Sono momenti a dire il vero abbastanza rari che non rovinano nel complesso l’esperienza, a differenza di un sistema di respawn a tratti fastidioso. Ad inizio missione non si conosce il numero nemici frapposti fra il protagonista e l’uscita, un percorso che può essere interrotto anche a causa dell’apparizione di un nuovo antagonista in un angolo remoto dell’ambientazione che rende inaccessibile la casella finale. A causa di quest’ultimo ostacolo, che a logica non dovrebbe rappresentare una barriera verso il prossimo scenario, si è quindi costretti a tornare sui propri passi e a quel punto nuovi avversari potrebbero fare il loro ingresso generando un ennesimo loop a cui non si era pronti. Complessivamente è però tutto il sistema di spawning a creare dei picchi di difficoltà, che magari spariscono in modo casuale nel tentativo successivo. Il secondo problema è legato agli slot di salvataggio o, per meglio dire, all’unico messo a disposizione, ristrettezza che impedisce di rigiocare magari il proprio livello preferito senza cancellare l’intera partita.
Arrivati a questo punto vi starete chiedendo come mai non si sia spesa ancora una riga sulla storia. Scusate, ma quando voi siete andati a vedere uno dei tre film di John Wick avete pagato il biglietto sperando di assistere ad una pellicola d’essai? Con lo stesso spirito ci si deve approcciare a questa trasposizione videoludica, che fa del gameplay la sua vera ragion d’essere, mentre le vicende narrate tra i vari livelli – un prequel rispetto a quelle cinematografiche – restano sullo sfondo e fanno da mero collante per tra una strage e l’altra.
+ Sorprendentemente dinamico e fluido
+ Le musiche di Austin Wintory
+ Non c'è mai un'unica soluzione
- Un solo slot di salvataggio
- Respawn dei nemici mal gestito
8.0
John Wick Hex sembrava uno strano esperimento, una fusione tra due stili tanto diversi – quello frenetico dei film e quello lento dei tattici a turni – che poteva nascere solo dalla mente di Mike Bithell. Il risultato è invece una boccata d’aria fresca, un nuovo punto di riferimento per il genere a cui, a fatica, il titolo appartiene. Ci sono però un paio di sbavature e imprecisioni che a tratti possono produrre momenti al limite del frustrante, ma che complessivamente restano dei piccoli inciampi se si osserva il coraggio con cui il titolo si pone davanti a delle meccaniche di gioco imposte da mostri sacri come XCOM. In conclusione, dovendo fare un paragone, John Wick Hex è quello che è stato Superhot per i first person shooter.
Voto Recensione di John Wick Hex - Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
-
Un tattico a turni diverso dalla concorrenza
-
Sorprendentemente dinamico e fluido
-
Le musiche di Austin Wintory
-
Non c'è mai un'unica soluzione
Contro
-
A volte quasi impossibile, un secondo dopo una passeggiata
-
Un solo slot di salvataggio
-
Respawn dei nemici mal gestito
Commento
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