Impostor Factory | Recensione - Il campo di lavanda tra la Luna e le stelle
Erede (si fa per dire) di To The Moon, Impostor Factory è una storia delicata dal sapore di vintage contemporaneo
a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Freebird Games
- Produttore: Freebird Games
- Distributore: Freebird Games
- Piattaforme: PC
- Generi: Avventura grafica
- Data di uscita: 30 settembre 2021
Circa dieci anni fa un game designer canadese di nome Kan Gao proponeva al mondo To The Moon, una visual novel che, dietro all’aspetto falsamente vintage dovuto alla sua realizzazione con il tool RPG Maker, lasciava basito il pubblico indie per la sua capacità di narrazione e profondità di tematiche.
All’esordio seguì Finding Paradise ben sei anni dopo, e fecero da contorno alcuni mini-episodi indipendenti ma assolutamente ben inseriti nella continuity generale.
Altri quattro anni ed eccoci qui per l'arrivo di Impostor Factory, il capitolo maggiore di cui parliamo oggi. Molti (tra cui lo stesso Ken Gao) l’hanno già apostrofato come “To The Moon 3”: un'affermazione che, pur se tecnicamente giusta, è anche ingiustamente semplificatoria. Il motivo è che Impostor Factory fa storia a sé sia dentro che fuori dalla sua nicchia: continuate la lettura per scoprire il perché.
Impostor Factory, ossa di gameplay
Di norma, la descrizione del gameplay è la parte centrale (di nome e di fatto) di ogni recensione; oggi però dobbiamo fare un’eccezione, e toglierci subito il dente: se To The Moon e Finding Paradise provavano a proporci qualcosa di almeno rassomigliante al gameplay base di molti RPG con visuale a volo d’uccello, Impostor Factory imbocca una strada ancora più estrema.
Il titolo di Kan Gao prende la definizione (spesso usata a titolo spregiativo) di walking simulator e la fa propria, in una maniera talmente impattante che pare di vederlo mentre la abbraccia e poi la bacia alla francese.
Tutto quello che dovremo fare in Impostor Factory è camminare e parlare, e tanto ci dovrà bastare. C’è qualche elemento interattivo all’inizio, rappresentato da qualche saltuario oggetto da raccogliere (e poi usare) e da punti sia di interazione che di osservazione (questi ultimi indicati da piccoli lumicini a seconda dei casi gialli o argentati), ma alla fine della fiera sono solo specchietti per le allodole.
Per tutta la storia il giocatore deve solo farsi strada lungo le varie ambientazioni, leggendo i dialoghi e ascoltando la colonna sonora. Man mano che assisterà alle varie scene raccoglierà frammenti di ricordi utili a sbloccare l’ingresso verso la situazione successiva, fino al completamento di un’avventura intensissima nella sua oggettiva brevità (parliamo di circa tre ore).
Una struttura che per molti è “videogioco” solo di nome, e che potrà essere uno scoglio di pregiudizio troppo grande da superare.
Quando le partite a Cluedo finiscono male
Ora che abbiamo finito con la pioggia acida passiamo a quella di stelle, perché i punti di forza di Impostor Factory sono ben altri. E possiamo che partire dal più imponente, ovvero la trama: un giovane uomo di nome Quincy viene invitato a un ricevimento che si tiene in una lussuosissima villa.
L’atmosfera, nonostante il feroce temporale all’esterno, è quella dell’alta società alla ricerca della prossima innovazione tecnologica cui destinare una generosa sovvenzione. Un incantesimo che però si spezza quando Quincy trova i padroni di casa brutalmente assassinati.
Questo l’incipit; tuttavia passerà davvero poco tempo prima di capire che questo banale whodunnit è solo un altro inganno di Kan Gao. Un trucco talmente palese da esser lavato via abbastanza in fretta onde fare spazio alle cose importanti.
Nei suoi tre atti, Impostor Factory è una storia profonda e inaspettata, capace di giocare con la metanarrativa con sapienza e leggerezza, non mancando poi di mescolarla con la virtualità e il tema della scelta. Nell'occhio di questo immaginario ciclone c’è com'è ovvio Quincy, affiancato dalla misteriosa Lynri; molto più inaspettato è che basterà arrivare in fondo al primo atto per vedere la giovane scalzare di prepotenza Quincy da sotto il riflettore di protagonista.
L’amor che move ‘l sole e l’altre stelle
La vera portata principale del metaforico ristorante imbastito da Impostor Factory è infatti quella della storia d’amore, estesa attraverso anni, difficoltà, scelte e possibilità. Una storia che Kan Gao e i suoi collaboratori scelgono di raccontarci attraverso pochi dialoghi e una marea di non detti, questi ultimi fatti sia di sprazzi sonori che piccole “foto” realizzate con il motore di gioco, fino ad alcune immagini disegnate a mano, queste ultime poche ma significative.
Tali mezzi serviranno affinché Lynri ci racconti la sua vita in maniera estesa e approfondita. Dall’infanzia all’adolescenza fino a una difficile età adulta, Lynri è un personaggio tormentato, impegnato a combattere la guerra persa del conciliare l’inconciliabile. In ogni caso il gioco è direttamente collegato con To The Moon, ma anche il banale dire se ne è sequel o prequel sarebbe uno spoiler abbastanza grave.
Quella di Impostor Factory è infatti una storia tutta da scoprire, da leggere e da vivere, e di cui sarebbe una colpa dare qualunque anticipazione (e credeteci se vi diciamo che ce ne sono troppe persino in queste poche righe). I fan comunque saranno contentissimi di sapere che rimandi e citazioni ai titoli precedenti non mancano, cosa che già ci fa prevedere playthrough multipli da parte degli ammiratori più accaniti.
Finalmente libera da filler e fronzoli, la scrittura di Kan Gao continua a sorprendere e volendo anche a commuovere, anche se a volte si perde in alcune scenette fin troppo bizzarre o tragicomiche. È comprensibile come siano state pensate per spezzare i momenti eccessivamente pesanti della trama (che fidatevi non mancano), ma che tra gatti bipedi e robot cuoci-riso sono talmente “anime-style” da apparire come fuori luogo.
In ogni caso la barriera linguistica non esiste, visto che Impostor Factory gode di una traduzione italiana di tutto rispetto, che evita con un’eleganza quasi vintage di sfociare in qualunque volgarità espressiva (la cosa più triviale che leggerete è il «Ma che caspio» di Quincy).
Impostor Factory: we believe in pixel
Impostor Factory, come abbiamo già detto, è costruito con RPG Maker. La sua pertanto è un’estetica che si rifà alle vecchie glorie della prima metà degli anni Novanta: da quell’epoca ormai dimenticata che andava a cartucce e tracce MIDI, il designer Ken Gao riprende interfaccia e struttura di base, senza mai dimenticarsi di arricchirle al momento giusto, con un gusto che si riaggancia e ispira alla sapienza delle creazioni di pixel art comparse su Game Boy Advance nel decennio successivo.
Abbiamo già parlato delle immagini disegnate a mano con finestre di dialogo, ma non sono l’unica espressione di ingegno: Impostor Factory si arricchisce al momento giusto di sfondi estesi e spettacolari, dalle linee dritte e colori netti. Gli sfondi disegnati abbracciano con amore scenografie dalla squisita fattura al pixel, capace di suscitare il dolce ricordo delle creazioni che sempre nei ‘90 spopolavano nelle sale giochi.
Le musiche sempre straordinarie sono poi accompagnamento perfetto per la vicenda, coronata con un minimale ma eccelso segmento animato a mano per il finale del gioco. Ma ben prima di quel momento, la stessa espressività degli sprite è talmente ben riuscita che fa passare in secondo piano persino il fatto che in molti elementi secondari delle ambientazioni sono fin troppo riconoscibili asset di base di RPG Maker.
Se volete un altro videogioco più mainstream ma sempre dalla grande trama e enorme impatto emotivo, c'è la versione Director's Cut di Death Stranding, l'ultima fatica di Hideo Kojima!
Voto Recensione di Impostor Factory - Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
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Una storia profonda, stratificata e commovente
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La delicata semplicità del pixel
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Colonna sonora straordinaria
Contro
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Gameplay solo di nome
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Qualche momento pseudocomico di troppo