Empire of Sin | Recensione - Un'offerta che non potete rifiutare
Alcol di contrabbando, gioco d'azzardo e locali a luci rosse: questa è la Chicago raccontata da Empire of Sin, ultimo strategico creato da Romero Games e Paradox Interactive
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a cura di Daniele Spelta
Redattore
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Romero Games
- Produttore: Paradox Interactive
- Distributore: Koch Media
- Piattaforme: PC , PS4 , XONE , SWITCH
- Data di uscita: 1 dicembre 2020
Era una notte da lupi a Chicago, una di quelle notti che Frankie Donovan e la banda degli irlandesi avrebbero volentieri affogato in un bicchiere di scotch di contrabbando al The Shamrock o puntando qualche dollaro alle roulette del Sapphire Rose.
Mai si sarebbero immaginati di incontrare in fondo a quel vicolo buio i chiodi piantati sulla bara di Tommy “Pebble” Biscuits, gentile cortesia di quel pazzo dinamitardo di Sai Wing Mock e dei suoi uomini, un manipolo di immigrati cinesi con il vizio delle bombe e che hanno puntato gli occhi su un paio di bordelli giù a Little Italy.
Un faccia a faccia finito male, una manciata di parole di troppo e quel proiettile piantato in testa alla sua talpa: una dichiarazione di guerra firmata col sangue del povero Tommy. La Chicago raccontata da Empire of Sin non è un posto per deboli.
Il XVIII emendamento
L’opera nata dalle menti di Romero Games e pubblicata da Paradox Interactive è una chimera dalle numerose anime. Ambientato nella Chicago degli anni ‘20, Empire of Sin è infatti un tycoon game in cui viene richiesto di far fruttare il proprio impero del crimine, è un gestionale al cui centro sono poste le richieste della clientela e l'incontro fra la sporca domanda con l’ancor più sporca offerta, è uno strategico che ha per protagonisti i volti veri e dei nomi inventati della mafia a stelle e strisce di inizio scorso secolo, è un tattico a turni che strizza l’occhiolino ad X-COM, ma è soprattutto un raccoglitore di storie fumose nate attorno al racket dell’alcol e del gioco d’azzardo durante i tempi del proibizionismo.
Far parlare tutte queste anime non è affatto un'impresa semplice e sono numerosi i titoli vittime della più classica bulimia di contenuti, dei gran calderoni in cui tutti gli elementi vivono in comparti stagni e raramente si parlano. Empire of Sin, per fortuna, evita con estrema agilità questa insidia: le varie meccaniche di gioco sono connesse in modo sapiente e ciascuna ha delle evidenti ricadute sulle altre, fino a formare una intricata ragnatela di cause ed effetti.
Wanted
Tutto parte dalla selezione del proprio gangster. Purtroppo non c’è modo di crearne uno ex novo, ma la scelta fra i quattordici protagonisti è più che ampia e spazia dalla circense della malavita Maggie Dyer al pragmatico uomo d'affari Daniel Mackee Jackson, senza dimenticare poi i nomi più noti, come quello del nostrano Al Capone e di Frank Ragen.
Ciascun (anti)eroe è caratterizzato da bonus unici sia dal punto di vista strategico-gestionale – come maggiori incassi per i casinò o più guardie poste davanti ai birrifici – sia sul campo da battaglia, con il già citato Al Capone ad esempio capace di far piovere una pioggia di piombo su più nemici o Frankie Donovan che si trasforma in una furia nel corpo a corpo.
A questo si aggiungono poi classici elementi da gioco di ruolo, come classi differenti e degli skill tree utili a personalizzare sia il proprio avatar sia il resto della gang, specializzando così alcuni picciotti nella nobile arte della lupara, oppure nel più silenzioso degli assassinii con lame affilate. In puro stile XCOM, non è poi raro che i vari gregari facciano una brutta fine, un permadeath che dà ancora maggior peso alle scelte e che crea un legame quasi affettivo con la propria banda.
Oltre a queste abilità, ciò che realmente definisce i protagonisti di questo noir sono i loro background e i loro tratti, momento in cui si nota con forza la mano di Paradox Interactive. Senza arrivare alle vette del recente Crusader Kings III, anche i personaggi di Empire of Sin sviluppano in modo dinamico attraverso le proprie azioni delle caratteristiche peculiari, che li rendono dei freddi cecchini quando c’è da premere il grilletto o, al contrario, dei codardi appena fischiano le pallottole.
Ogni azione ha insomma delle conseguenze e i gangster difficilmente scordano gli sgarri fatti. Ad esempio, dopo aver ingiustamente accusato una nostra “dipendente” di essere una sporca doppiogiochista, quest’ultima non ha più voluto sapere di metter al nostro servizio i suoi coltelli, mentre in un altro caso un assalto ad un bordello nemico è fallito solo perché una delle guardie era uno stretto amico di un nostro affiliato, che si è rifiutato di entrare in battaglia al momento meno opportuno.
Mercato nero
Empire of Sin è ricco di questi momenti carichi di narrativa emergente, un modo di raccontare troppo spesso sottovalutato e tipico dei sandbox. Ecco, qui la storia non è proprio delle più limpide e l’obiettivo finale altro non è che diventare l’unico boss di Chicago, eliminando senza pietà la concorrenza. La strada è tutt’altro che in discesa e per giungere in cima alla piramide occorre sporcarsi le mani, iniziando dal basso e inondando le strade della metropoli statunitense di alcool di contrabbando.
La città americana è divisa nei suoi numerosi quartieri, ciascuno dei quali ospita al suo interno svariati edifici utili ai propri scopi illeciti. Partendo con una semplice base, un bar clandestino e una distilleria nascosta, bisogna a poco a poco allargare il proprio business, magari scacciando dalle loro tane i ladruncoli da quattro soldi e occupare le loro palazzine con un ulteriore casinò o un bordello. Più facile a dirsi che a farsi, perché l’ascesa nell’Olimpo del crimine è costantemente ostacolata dagli interessi degli altri boss, che non si faranno molti scrupoli ad assaltare la concorrenza, e anche dalla polizia in persona, un ingombro che può essere messo a tacere a suon di mazzette.
Per evitare che gli affari saltino letteralmente per aria, occorre dunque migliorare le proprie strutture, ingaggiare ulteriori guardie, migliorare la qualità degli alcolici e degli ambienti e aggiungere ulteriori roulette alle sale giochi. Tutto ciò ha però un costo, così come i gangster che richiedono un costante stipendio e quei fucili scintillanti sul mercato nero di certo non si compreranno con un paio di bottiglie di whiskey vendute a China Town.
Empire of Sin è un gestionale con un peso specifico notevole e far quadrare i conti è alle volte più complesso che aver la meglio negli scontri armati. Disposte in numerose interfacce ci sono le svariate informazioni riguardanti le casse, quali business stanno facendo guadagnare di più, quali sono finiti sotto l’occhio delle forze dell’ordine e dove invece la clientela si sta lamentando per la pessima scelta alcolica.
Si sa, durante il proibizionismo i distillati erano spesso di pessima fattura, ma i frequentatori più abbienti non si accontentano di una birra fatta in una vasca da bagno e magari per soddisfare le loro esigenze conviene convertire tutte le distillerie in qualcosa di più pregiato, piazzando anche un lussuoso hotel accanto ad uno scalcinato bar. Per fortuna un lungo tutorial introduce in modo adeguato ogni componente del gioco, anche se permane qualche dubbio sull'UI, macchinosa da navigare e con shortcut mal evidenziati.
I parametri da tenere sotto controllo sono numerosi e, almeno inizialmente, ci si sente soverchiati dalla quantità di informazioni. Con un’improvvisa inversione di marcia, Empire of Sin mostra però il fianco a lungo andare. Per quanto si espanda la propria rete clandestina e si sviluppino affari in tutti i quartieri, le faccende da sbrigare restano sempre le stesse e gli affari girano comunque attorno alla distribuzione degli alcolici nelle tre attività: bar, gioco d’azzardo e locali a luci rosse.
Le progressione avviene dunque in orizzontale svolgendo sempre le medesime azioni – volendo si possono mettere a capo dei quartieri dei vice-boss per evitare la microgestione – ma manca un avanzamento verticale. Qualche ulteriore meccanica aggiuntiva non avrebbe guastato, soprattutto per evitare un effetto valanga che rende le fasi finali fin troppo semplici e senza spunti quando oramai si è in possesso di mezza città e i rivali d’affari sono solo delle zanzare fastidiose.
Nonostante il fiato un po’ corto, Empire of Sin ha un loop di gioco decisamente interessante e i momenti migliori sono di certo le storie che, costruite ad hoc attorno alcuni boss, sorte in modo spontaneo per via di qualche evento casuale o nate dallo sviluppo di una missione data un NPC incontrato per strada, coinvolgono i vari protagonisti.
Il lato diplomatico non si esaurisce in un paio di schermate fredde e anonime, ma le tregue e le taglie messe sulla testa dei nemici vanno stipulate faccia a faccia, attimi che aggiungono un taglio quasi cinematografico al titolo. Fra frasi fatte, minacce e pericolose dichiarazioni di guerra, con il passare delle ore si viene a formare un intreccio letale che tiene unite la varie fazioni che popolano la Chicago del 1920 e districarsi fra i vari interessi è un delicato gioco di equilibri: una protezione rifiutata, un locale rubato ad un socio del più potente boss del quartiere e presto Empire of Sin si trasforma in una lotta senza quartiere.
"Ti do il tempo di contare fino a dieci per far sparire la tua brutta faccia gialla dalla mia proprietà, prima che ti riempia le budella di piombo!"
Quando la diplomazia fallisce, l’unico modo per sistemare le questioni è una bella imboscata a fucili spianati e così Empire of Sin diventa senza soluzione di continuità un tattico a turni. Le regole di ingaggio sono abbastanza tradizionali e il titolo di certo non rivoluziona il genere. Che sia la strada o l’interno di un locale, l’ambiente in cui si svolge lo scontro viene diviso nelle classiche caselle, una scacchiera su cui muovere le proprie pedine turno dopo turno visualizzando le varie mosse a partire da una visuale isometrica.
Ciascun gangster ha a propria disposizione due punti azione, da spendere per posizionarsi dietro una copertura completa e per far fuoco da una migliore angolazione, aumentando così la percentuale del colpo sparato. C’è il fuoco di copertura, si possono lanciare bombe, ci sono oggetti curativi e ogni arma si comporta in modo unico, eppure tutti i vari ingredienti fanno parte della solita ricetta già assaggiata molte altre volte: tutto è al posto giusto, ma manca decisamente la personalità.
Gli scontri tendono infatti ad assomigliarsi tutti quanti, vuoi per degli spazi che hanno un forte sapore di riciclato, vuoi per dei nemici fatti con lo stampino, situazioni al limite del comico quando due personaggi letteralmente identici iniziano a scambiarsi colpi di rivoltella uno di fronte all’altro.
Solo i duelli con i boss regalano qualche sussulto di interesse. Questi nemici vanno infatti affrontati nel loro quartier generale, spazi divisi in numerosi locali dai tanti spunti tattici, a cui si aggiungono poi nemici più coriacei e il capo clan in persona, dotato dei suoi attacchi speciali.
Nel quadro tattico, l’ago della bilancia pende però con forza verso la monotonia, con ambienti a prova di dinamite e coperture indistruttibili, NPC fatti con lo stampino e, giusto per non farsi mancar nulla, qualche animazione mancante. Complessivamente, tutto Empire of Sin non brilla dal punto di vista grafico, le singole aree della città, al di là di qualche caratterizzazione scenica, sono piuttosto spoglie e abitate dai soliti quattro passanti, mentre le inquadrature ravvicinate con i boss rivelano un lip-sync fuori tempo e delle texture abbastanza sporche.
Promossa invece la colonna sonora, uno swing adatto al contesto storico e capace di mutare repentinamente a seconda delle situazioni. Ancora una volta, qualche traccia in più non avrebbe guastato, ma i ritmi di Empire of Sin sono perfettamente calzanti alla Chicago della mafia.
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Voto Recensione di Empire of Sin - Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
-
Tanti generi tenuti sapientemente assieme
-
Un gestionale abbastanza profondo
-
Ogni azione ha le sue conseguenze
-
Personaggi carismatici e con le loro storie da raccontare
Contro
-
Rischio ripetitività
-
Tattica appena sufficiente
-
Graficamente si è visto decisamente di meglio
Commento
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