Déraciné Recensione | Il walking simulator di Bloodborne
a cura di Paolo Sirio
Ottobre e novembre sono due mesi estremamente caldi per PlayStation VR. Celebrando il secondo anniversario della sua piattaforma per la realtà virtuale, infatti, Sony ha calato un tris di grande impatto per provare a dimostrare come questa sia matura una volta per tutte dopo un primo anno di apprendistato.
Titoli quali Astro Bot: Rescue Mission e Tetris Effect hanno l’onore e l’onere di dimostrare che c’è di più oltre la gimmick della VR, e che questo mezzo ha veramente l’opportunità di essere un’aggiunta sostanziosa in termini di possibilità e portfolio alla PlayStation 4 delle meraviglie.
La dimostrazione passa non solo per un approccio tecnico più convincente e alla portata di una platea più vasta possibile, dopo esperimenti pieni di difficoltà e chinetosi, ma pure e forse soprattutto per la capacità di fornire esperienze complete in termini di minutaggio e articolatezza.
Un esame importante che è stato affidato (anche) a team esperti e rodati come From Software e Japan Studio, i quali hanno portato i loro saperi e i loro marchi di fabbrica su Déraciné.
Nella lettera che ha inviato ai recensori per presentare il suo ultimo prodotto, Hidetaka Miyazaki, presidente di From Software, ha illustrato le ragioni per cui la casa nipponica ha voluto cimentarsi in un’avventura tanto diversa da quanto abbiamo apprezzato sinora.
In poche righe, Miyazaki ha spiegato come il gioco sia pieno di “sperimentazione e nuove idee per noi”, e che l’intento fosse realizzare “un gioco peculiare, piuttosto differente dai nostri altri titoli recenti (…) che spero vi lasci qualcosa dopo che lo avrete provato”.
E, in effetti, le diversità ci sono ma non allontanano Déraciné dal sentiero che, gameplay a parte, ha caratterizzato il lavoro di FS, con uno “storytelling frammentato per raccontare qualcosa di a volte opaco che sia aperto all’interpretazione”.
L’aspetto narrativo è non a caso preponderante ed è caratterizzato dalla cifra stilistica della casa nipponica: per le mani abbiamo una storia oscura, a tratti inquietante, e un’ambientazione misteriosa, impreziosita da mille rivoli di mistero da scoprire uscendo dal seminato, leggendo libri in biblioteche lontane dal percorso principale, e trovando vecchie fotografie in cassetti dimessi e impolverati.
Come da tradizione dello sviluppatore, siamo sulla soglia dell’orrore ma non la varchiamo mai per davvero, e c’è tanta mitologia sparsa per le location che spiega cosa stia succedendo sul serio, non solo nel tracciato lungo cui ci stiamo incamminando ma anche nel mondo intorno a noi, come una spiegazione aggiuntiva non richiesta ma illuminante.
Senza scendere troppo nei dettagli, siamo uno spirito e abbiamo il compito di proteggere, ricorrendo ad una coppia di anelli che ci consentono di viaggiare avanti e indietro nel tempo a patto di sacrificare cose viventi, un gruppo di bambini in un collegio; da chi, come e perché si scoprirà durante la storia, sebbene gli interrogativi aperti siano tanti e creepy pure (anzi, soprattutto) una volta arrivati alla sequenza finale.
Se il gameplay è quello di Ethan Carter, Tacoma e Batman Arkham VR per le ragioni che vedremo più avanti, il tono è quello di Bloodborne, omaggiato non a caso a più riprese attraverso effetti audio, menu, personaggi, e naturalmente easter egg veri e propri.
I due pilastri del gameplay sono manipolazione ed esplorazione. La componente dell’esplorazione prevede che si prendano oggetti e risolvano piccoli enigmi; si può ruotarli per apprezzare i dettagli o attivare i pensieri (spesso rivelatori) dei personaggi cristallizzati nel tempo.
La durata è di 6-7 ore per la run iniziale, cui aggiungere i ritorni nelle molteplici timeline per saperne di più circa spezzoni di storia che avremo l’impressione di aver capito meglio col prosieguo del nostro cammino e la raccolta delle monete, percorso secondario da affrontare liberamente a prescindere dal capitolo.
Trattandosi sostanzialmente del secondo titolo VR ad avere una longevità del genere, si può parlare di una maturazione del mezzo, che sarà però completa quando ci saranno più interazioni e più ambizioni sotto il profilo del gameplay.
Quest’ultimo è infatti strettamente connesso con il filone dei walking simulator, dal momento che, con lo stratagemma narrativo dello scorrere delle ore bloccato, il nostro compito è quello di indagare e al più manomettere, senza un sistema di combattimento di sorta né conseguenze in tempo reale.
L’esplorazione si dipana lungo ambienti dalle dimensioni abbastanza generose, e il movimento è collegato ad una serie di spot blu da raggiungere muovendo la testa, e il PS VR, verso di loro e premendo l’apposito tasto sui Move (obbligatori).
La sensazione non è quasi mai quella della limitazione, visto che questi spot sono tanti e permettono in verità di spostarsi in qualunque anfratto della location desiderata in modo da non perdersi alcun dettaglio; inoltre, consente di risolvere il problema della motion sickness.
La chinetosi ha contraddistinto numerose delle produzioni in realtà virtuale sino ad oggi ma è di fatto assente grazie all’implementazione di questa soluzione che, a movimenti di testa circoscritti, raggiunge un buon compromesso sull’argomento esplorativo e permette di giocare alcune delle sessioni di VR più lunghe che si siano mai viste in realtà virtuale.
Un accenno ridottissimo di maretta potreste averlo giusto all’aperto, dove i salti tra uno spot blu e l’altro potranno essere più lunghi per coprire velocemente le distanze, ma davvero nulla a confronto con un Driveclub o un RIGS del lancio.
Tra i “contro” della componente esplorativa troviamo che, tra una sessione e l’altra oppure in un momento di distrazione, capiti di perdersi qualche passaggio e con l’assenza endemica di indizi – altro tratto tipico del developer asiatico – sia difficile riprendere il filo.
Non avendo troppi particolari a disposizione, ci è successo di girare senza una meta nelle fasi centrali, dove i paragrafi, generalmente molto brevi, si sono allungati e hanno previsto un numero di interazioni seppur di poco superiore alla media degli altri capitoli.
Tecnicamente, quindi, Déraciné si prende la responsabilità di affrontare i problemi principali del mezzo e in qualche caso riesce a superarli, vedasi il motion sickness, sebbene con soluzioni adoperate già altrove.
Sull’argomento strettamente visivo, art e character design sono di primissimo livello e manderanno in visibilio quanti abbiano apprezzato Bloodborne per le tante similitudini e i diversi richiami furbescamente disseminati qua e là.
Se parliamo invece di pura grafica, sappiamo bene che From Software non brilli mai per la risoluzione o la spigliatezza dei propri prodotti in tal senso, e anche il suo debutto su PlayStation VR paga pegno (nonostante sia accomunato in questa sorte dalla stragrande maggioranza dei titoli in realtà virtuale disponibili su console).
Negli interni e specie di giorno, il gioco riesce a sprigionare tutto il suo appeal con un quadro generalmente soddisfacente per gli standard della realtà virtuale, che deve fare i conti con ambienti più spogli e oggetti (come vegetazione, acqua e fondali) “definiti” ai livelli della cara vecchia PlayStation 2 negli esterni.
Il nostro non fa eccezione sotto questo punto di vista, pur presentando un paio di trovate tecnologiche di non poco conto: il ricorso al giorno, al tramonto e alla notte, gli scenari innevati, le location scolastiche e montane, i cunicoli, e in particolare i modelli poligonali ricchi per i personaggi e una resa persino sorprendente in una manciata di scene d’intermezzo precalcolate sono apprezzabili.
+ Storia e mitologia intriganti e di ampio respiro
+ Uso sapiente del mezzo, senza motion sickness e sfruttando i capisaldi della VR attuale...
- Tecnicamente, i compromessi sono sempre tanti
8.0
Déraciné è uno dei migliori esponenti tra i videogiochi tradizionali su PlayStation VR, per il lavoro di natura artistica svolto da From Software e Japan Studio, ed è consigliato a quanti abbiano già dimestichezza con giochi più piccoli e vogliano un titolo “completo” da assaporare in realtà virtuale. Diciamo pure imprescindibile per i fan di Hidetaka Miyazaki con un visore Sony. Per chi volesse un “manifesto” della VR, invece, forse è più il caso di virare su un classico PS VR Worlds o meglio ancora su Astro Bot, visto che qui l’ambizione principale è più narrativa che tecnologica.
Voto Recensione di Déraciné Recensione | Il walking simulator di Bloodborne - Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
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Marchio di fabbrica From Software
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Storia e mitologia intriganti e di ampio respiro
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Uso sapiente del mezzo, senza motion sickness e sfruttando i capisaldi della VR attuale...
Contro
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... ma senza grosse pretese sul gameplay
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Tecnicamente, i compromessi sono sempre tanti