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Darkest Dungeon 2 | Recensione - Bentornati all'inferno

Darkest Dungeon II è un punto di rottura rispetto al passato per la sua struttura roguelite, ma le battaglie a turni sono sempre un concentrato di tattica.

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a cura di Daniele Spelta

Redattore

In sintesi

  • Un tattico a turni che non scende a compromessi
  • La direzione artistica è un fiore all'occhiello
  • La progressione da roguelite ha una marcia in meno rispetto alla componente gestionale del primo capitolo

Informazioni sul prodotto

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Darkest Dungeon II
  • Sviluppatore: Red Hook Studios
  • Produttore: Redo Hook Studios
  • Testato su: PC
  • Piattaforme: PC , SWITCH , PS4 , PS5
  • Generi: Strategico
  • Data di uscita: 26 ottobre 2021 (Accesso Anticipato) - 8 maggio 2023 - 15 luglio 2024 (Switch)

Darkest Dungeon fa parte dei classici moderni, un titolo dal valore seminale che ha quasi inventato un genere e che ha dato vita ad una serie di cloni più o meno riusciti. Al cospetto di questo – forse anche inaspettato – successo, Red Hook Studios aveva due vie da perseguire nella creazione di un eventuale secondo capitolo.

Poteva imbucare la classica strada del “bigger is better”, mantenendo intatto quel mix di gioco di ruolo e gestionale, e riempire semplicemente di più contenuti i suoi dungeon infestati di mostri e diavolerie varie.

Oppure poteva staccarsi con forza dal suo passato e scommettere su una formula rinnovata, nella speranza di trovare una nuova chiave di lettura per raccontare il suo orrore cosmico.

Come è parso evidente sin dall’arrivo in accesso anticipato – in esclusiva su Epic, ma di cui potete trasferire i salvataggi anche su Steam – il team di sviluppo ha preferito imboccare questo secondo percorso, decisamente meno battuto, più tumultuoso e ricco di insidie, proprio come quello attraversato da noi a bordo di una scalcinata carrozza, nella speranza di sconfiggere un male che è sfuggito dall’antica magione e ha ora invaso tutto il mondo.

Senza giungere ad affrettate conclusioni, possiamo dire che Darkest Dungeon II si è rivelata una scommessa vinta a metà.

Il solito orrore che non si può spiegare?

L’avventura – se così si può definire – riprende esattamente dove l’avevamo interrotta. Subito si scopre che il male che giaceva sotto la magione era in realtà solo la punta dell’iceberg e che, tra rotazioni dell’asse terrestre e notti perenni, ora tutto il mondo è invaso da cultisti immondi, bestie marcescenti e orrori difficili da descrivere.

Questa volta non vestiamo più i panni dell’erede, ma di un giovane universitario che, assieme al suo mentore, ha riportato alla luce antichi misteri conosciuti solo da popoli perduti nella storia – un viaggio in un passato carico di simboli e misticismo, presentato al giocatore in brevi dialoghi narrati tra una spedizione e la successiva.

Come per il suo predecessore, anche in Darkest Dungeon II è evidente l’ispirazione all’universo descritto da H.P. Lovecraft, basti pensare ad esempio che ogni missione termina con un viaggio verso la montagna, chiaro rimando al romanzo Le montagne della follia.

Anche in Darkest Dungeon, esattamente come le decine e decide di opere vagamente ambientate nella cosmologia di Lovecraft, gli orrori cosmici sono tradotti in esseri tentacolari e deformi e solo in pochi casi, come per i boss finali, abbiamo avuto la sensazione di trovarci al cospetto di qualcosa di più vicino all’immaginario difficilmente riproducibile tramandato dallo scrittore statunitense.

Francamente, non siamo sicuri che Lovecraft amerebbe la proliferazione e mercificazione delle sue opere e questa riproduzione oramai canonizzata del suo universo. A differenza dei suoi simili, Darkest Dungeon II ha però dalla sua una direzione artistica gotica e grottesca davvero di primissimo piano, questa volta sostenuta anche da un comparto tecnico che ha compiuto degli evidenti passi in avanti, con una grafica in 3D e animazioni molto più complesse e dettagliate. 

Binari accidentati

Il reale punto di rottura di Darkest Dungeon II è il sistema di progressione. Red Hook Studios ha infatti deciso di abbandonare tutta la componente gestionale e ha optato per una struttura in puro stile roguelite, dove ad ogni sconfitta segue un ritorno alla casella di partenza e un nuovo viaggio verso l’incubo.

Il cambio di rotta è radicale e, in tutta sincerità, ci siamo sentiti orfani senza le nostre pedine da sacrificare, da buttare in qualche ospedale o da spedire dentro un dungeon ben sapendo che avrebbero fatto una brutta fine. L’esercito di mercenari, quella accozzaglia di disperati a cui era difficile non affezionarsi, è stato ora sostituito da un gruppo di (anti)eroi già definiti, ciascuno con il suo ruolo, le sue abilità e tratti unici.

La componente strategica risiede ora nel trovare la corretta combinazione tra i tanti personaggi, per creare una squadra ben assortita che possa avere la meglio in un mondo dove anche un semplice manipolo di zombie può portare al game over.

Nonostante la scelta iniziale appaia più ristretta, in realtà c’è parecchio spazio di manovra, soprattutto dopo svariate run e in seguito alla sblocco di nuove mosse e percorsi unici – ossia delle varianti dei classici – per gli sfortunati protagonisti.

La componente strategica risiede ora nel trovare la corretta combinazione tra i tanti personaggi.
Solo per fare alcuni esempi, la Furia o il Militare sono dei perfetti bastioni da piazzare in prima linea e, con il loro elevato numero di punti vita, sono anche degli ottimi bersagli su cui far concentrare gli attacchi nemici. Al contrario, il Fuorilegge è decisamente più leggero, ma un suo colpo di pistola sa penetrare anche la corazza di un soldato non morto. C’è poi spazio anche per un adeguato cast di supporto, come la Vestale o l’Occultista, utili per curare le ferite dei propri compagni e per annullare i pesanti effetti dei vari status. 

Una volta composto il team di quattro componenti, non resta altro da fare che selezionare una delle cinque confessioni – missioni a sé stanti che si sbloccano una volta completata la precedente – e intraprendere un viaggio lungo una strada ricca di insidie e anche qualche bottino. In puro stile roguelite, le tappe del viaggio sono spesso delle incognite e non si sa mai quali saranno i pericoli che si incontreranno dietro l’angolo.

Il percorso è un piccolo labirinto fatto di bivi, lungo cui è possibile fermare la carrozza sia per (pochi) piacevoli incontri, sia per per pericolosi faccia a faccia con creature infernali.

Ad esempio, le torri d’osservazione sollevano la nebbia sui prossimi incroci, non è raro incontrare dei disperati e decidere se ricevere o dare a loro qualche piccolo aiuto, mentre le biblioteche sono veri e propri dungeon da affrontare fino in fondo per ricevere risorse sempre più preziose. Uno degli elementi da tenere maggiormente sotto controllo è poi la fiamma che accompagna il gruppo di mercenari che, a seconda della sua intensità, determina la pericolosità dei nemici. 

Sconfitta e rinascita

Grazie a queste numerose opzioni, ogni run si rivela diversa dalla precedente, ma la classica casualità degli eventi penalizza spesso la pianificazione e alcune nostre spedizioni sono finite proprio sul più bello, quando la carrozza ha subito per tre volte di fila un’imboscata da parte di alcuni soldati di ventura.

Inoltre, visto che ogni partita porta con sé sempre delle risorse da utilizzare nella missione successiva, in alcuni casi abbiamo preferito abbandonare un’avventura dall’esito scontato e ripartire dall’inizio con qualche probabilità di successo in più. Questa impostazione ha eliminato del tutto l’impatto morale delle scelte del giocatore.

Nel primo capitolo, vestendo i panni dell’erede, siamo alla lunga diventati dei cinici manager pronti a sacrificare le nostre pedine in modo permanente pur di far avanzare la ricerca nei sotterranei della magione. Al contrario, ora la morte di un mercenario è solo uno spiacevole inciampo, un inconveniente che viene annullato riportando la carrozza ad inizio viaggio. 

La casualità degli eventi penalizza spesso la pianificazione.
Come nel precedente capitolo, a seconda delle scelte intraprese, i quattro mercenari sviluppano inoltre rapporti positivi o sentimenti ostili tra di loro, pesanti bonus e malus quasi impossibili da prevedere e che spesso, con il loro impatto, determinano in modo chiaro la futura vittoria o la sconfitta.

Nella loro casualità, queste spedizioni hanno sempre dei punti fissi, come gli immancabili boss e la locanda. Questo punto di ristoro suddivide le varie sezioni dell’avventura ed è il momento perfetto per distribuire le cure, riparare la carrozza, potenziare le abilità delle pedine e curare lo stress accumulato durante le battaglie. Sì, Darkest Dungeon II è ancora una volta un titolo crudele e spietato.

Affilare le lame

A prescindere dalla direzione intrapresa, arriva sempre il momento del duello. Le battaglie a turni hanno subito meno rinnovamenti e le regole sono più o meno le stesse rispetto al passato.

I quattro personaggi e i nemici sono ancora disposti su una linea orizzontale e ciascuno occupa un preciso spazio. Il corretto posizionamento è fondamentale, dato che ogni abilità, che sia offensiva o difensiva, può essere attivata solo in alcune caselle e può essere diretta ancora una volta solo verso certi slot. Le sfide diventano così delle disperate partite a scacchi, dove giocare d’astuzia per guadagnare un posto favorevole e per inanellare quella serie di combinazioni fondamentali per avere la meglio. 

Elencare tutte le variabili che entrano in gioco durante le battaglie è davvero impossibile. Ogni personaggio ha infatti delle abilità uniche e le mosse a sua disposizione crescono approfondendo i rispettivi background, senza contare gli oggetti consumabili e gli amuleti in grado di aumentare ad esempio i punti vita, i danni inferti – o, ancora, la resistenza a certi status.

In Darkest Dungeon II c’è sempre un rovescio della medaglia e la progressione non è mai lineare. Ogni abilità potenziata porta con sé qualche malus, le nuove classi sbloccate – ossia i già citati percorsi – hanno sia dei pro che dei contro e certi orpelli indossati causano alle volte più problemi che vantaggi.

Sta quindi al giocatore risolvere questa complessa equazione, cercando di far lavorare all’unisono i punti di forza delle pedine a sua disposizione, almeno fino a quando qualcuno del team deciderà che è meglio darsela a gambe al posto che restare a combattere. 

Anche nelle battaglie ha infatti un peso forse eccessivo l’aleatorietà. Appena avviato, Darkest Dungeon II avverte il giocatore che molte delle sue spedizioni finiranno con un fallimento, ma vedere la parola game over solo perché la nostra Furia ha mancato il bersaglio per tre turni di fila, causando del risentimento in un suo alleato, che a sua volta è stato sovrastato dallo stress e ha perso tre quarti dei suoi punti vita, ci sembra uno spietato esercizio di cinismo e crudeltà che piega anche le strategie meglio calibrate.

Nel bene e nel male, questo è il marchio di fabbrica della serie e se cercate una tranquilla scampagnata avete sbagliato di grosso la strada.

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Voto Recensione di Darkest Dungeon | Recensione


7.8

Voto Finale

Il Verdetto di SpazioGames

Pro

  • I numerosi eroi garantiscono molta flessibilità tattica

  • Ogni run offre qualcosa di diverso

  • Spietato, come da tradizione

  • Netto passo in avanti dal punto di vista tecnico

Contro

  • L'abbandono della componente gestionale non ci ha convinti

  • Come in tutti i roguelite, c'è molta casualità

  • Rispetto al primo capitolo si sente meno il peso morale delle scelte

Commento

In un universo parallelo privo del precedente episodio, Darkest Dungeon II avrebbe ricevuto di certo una valutazione differente. Il nuovo tattico di Red Hook Studios è ancora un validissimo esponente del suo genere, ma impossibile non fare confronti con il suo passato, soprattutto per il sistema puramente roguelite adottato. Le battaglie a turni spiccano ancora per quel mix di strategia e crudeltà, ma sono tenute assieme da un sistema di progressione dove le scelte hanno un minor peso e la sconfitta assume semplicemente le sembianze di un fastidioso ritardo.
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