Bleeding Edge, il poco ma buono di Ninja Theory - Recensione
Un picchiaduro 4v4 divertente e dal sistema di combattimento originale, che perde qualcosa nella quantità e inseguendo i capisaldi del filone multiplayer
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a cura di Paolo Sirio
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Ninja Theory
- Produttore: Microsoft
- Piattaforme: PC , XONE
- Generi: Azione , Picchiaduro
- Data di uscita: 24 marzo 2020
Superata la sorpresa, superate l’alpha e la beta, è il momento del giudizio finale per Bleeding Edge, il primo titolo multiplayer di Ninja Theory – un team che forse conoscete per Hellblade: Senua’s Sacrifice, qualcosa cioè di completamente diverso.
Il gioco è disponibile con cross-play su Steam per tutti i sistemi operativi Microsoft, in copia digitale o Xbox Game Pass per Xbox One e Windows 10, e ne abbiamo parlato appena qualche ora fa anticipandovi quelle che erano le primissime impressioni nel codice completo fornitoci da Xbox.
Adesso, con qualche chilometro in più alle spalle, possiamo raccontarvi com’è andata e soprattutto quant’altra strada potrà fare questo esperimento in chiave multigiocatore della software house inglese.
Un picchiaduro 4v4
La versione italiana traduce con “picchiaduro 4v4” la definizione che abbiamo dato finora di Bleeding Edge, ovvero “brawler multiplayer”; è una definizione che ci piace particolarmente, complimenti al team della localizzazione, perché rende esattamente l’idea di cosa i giocatori dovrebbero aspettarsi entrando nei server del titolo per PC e Xbox One.
Il look vivace e stravagante potrebbe restituire l’idea di un Overwatch sotto steroidi, e come vedremo più avanti per tanti versi la sensazione di un prodotto fortemente derivativo è palpabile, ma sarebbe fuorviante ridurla soltanto a questo; fin dall’inizio, infatti, l’obiettivo della squadra capitanata dalla combat designer di DmC Devil May Cry Rahni Tucker era proporre un picchiaduro che fosse giocabile in rete, con e contro altri utenti, e non l’ennesima replica degli sparatutto online di successo. Già questo basterebbe a rispondere la domanda, che ci avete fatto e immaginiamo ci farete ancora, che suona più o meno così: “ma era proprio necessario fare un altro titolo multiplayer?”.
La nostra risposta abbastanza franca è che, no, non era necessario, non tanto per disaffezione verso il genere quanto per il fatto che il mondo dei videogiochi è ormai popolato fino sino all’orlo di titoli multigiocatore abbastanza pretestuosi. Ma che, avendo in mente di entrare in questo ramo, il guizzo di Tucker e dei suoi è piuttosto intrigante, e costituisce di per sé un buon motivo per provare a ritagliarsi una propria userbase e tentare di coltivarla col tempo – magari, così leggiamo il lancio all’ultimo anno di una generazione agli sgoccioli, con la furbata di un’edizione definitiva al day one di Xbox Series X “gratuita” per gli acquirenti abbonati (tramite una classica prova gratuita a tempo) a Xbox Game Pass.
Senza fare particolari voli pindarici, però, il sistema di combattimento che abbiamo cominciato a sviscerare nei giorni e nelle settimane passate è abbastanza unico da valere il prezzo del biglietto: siamo di fronte ad un picchiaduro, dicevamo, e nella capacità di inanellare attacchi si rivela una prerogativa fondamentale per quanti volessero misurarcisi. Il gioco dispone di tutte le combo fondamentali che ci si aspetterebbe da un esponente del genere, ma in aggiunta premia quanti siano in grado di concatenare le abilità incluse nella libreria di ciascun personaggio; ben presto, gli utenti più attenti potranno infatti imparare ad una mossa dovrà seguirne un’altra per massimizzare l’effetto sia del primo che del secondo colpo.
Quando avrete acquisito la giusta consapevolezza dei comandi e delle dinamiche di gioco, vi ritroverete a compiacervi della naturalezza con cui dopo un attacco, magari che vi avvicinerà agli avversari, ne assesterete subito un altro letale – con Buttercup, ad esempio, una delle due Ultimate cioè la sgommata immediatamente dopo aver usato la sua presa dalla distanza -, e magari riderete di quando pensavate di scendere in campo senza aver neppure consultato la lista delle mosse del vostro personaggio.
Un’altra componente fondamentale nell’ossatura di questo sistema di combattimento è la capacità di leggere quando entrare e quando uscire da uno scontro; gli scontri sono progettati in modo da garantire (quasi) sempre una scappatoia, che siamo stati noi o meno ad innescarli, e proprio come nei MOBA – un’influenza costante nel design di Bleeding Edge – capire quando sia il momento di fiondarsi in una fase o in un’altra è una chiave per la vittoria.
Ognuno al suo posto
La fuga non sia letta come un momento di “vergogna” per il giocatore, dal momento che spesso sarà importante ripiegare per preservare non tanto se stessi, ché il respawn è dietro l’angolo, quanto le celle energetiche che ci si potrà ritrovare a tenere addosso in vista dello scarico e dunque dell’assegnazione dei punti; inoltre, è in questi frangenti che paradossalmente emergono alcune delle peculiarità della costruzione degli ambienti, discreti nell’ampiezza in senso orizzontale ma estesi pure su più livelli di verticalità come in un platform che premi l’approccio stealth o appunto l’ingresso oppure l’uscita intelligente in/da una fase delicata di una partita.
Ninja Theory ha poi pensato il suo brawler multiplayer con in mente un delicatissimo equilibrio di squadra, nel quale anche soltanto la scelta sbagliata di un personaggio può determinare una partita giocata male da tutti e quindi persa. Il tasto più importante da toccare è sicuramente la mentalità dei giocatori coinvolti, che hanno bisogno di capire – cosa che in questa fase non succede spesso, soprattutto di sera quando l’affluenza e specie dai paesi del Nord America aumenta – per quale obiettivo si stiano mettendo in competizione e come possano raggiungerlo tutti insieme.
Naturalmente, al di là delle belle parole, i ruoli sono un faro luminoso da seguire, per fare in modo che ci sia almeno un healer, almeno un DPS, almeno un tank, e via discorrendo. La composizione delle squadre può variare e questo è chiaro – ad esempio, mi sono ritrovato a sperimentare team con due healer, soluzione non impraticabile visto che i personaggi di questa categoria sono comunque dotati di una discreta capacità offensiva/difensiva oltre che strettamente connessa alla loro natura – ma per godersi un match come si deve non si può prescindere da una strutturazione sensata e magari di una buona reattività, in modo da cambiare rapidamente qualcosa nel caso ci si accorgesse di starne prendendo troppe.
Il roster si suddivide in tre tronconi principali – Assalto, Supporto, Tank – e ciascuno di essi è in grado di offrire esperienze di gioco completamente diverse; la sensazione è che, per com’è stato architettato il titolo, la classe dei Tank sia quella con la maggiore coerenza rispetto al design originale, riuscendo ad esprimere in genere un buon numero di attacchi ranged ma soprattutto a dare l’idea di come sia lo scontro fisico, molto vicino ai canoni che siamo abituati a percorrere nei picchiaduro tradizionali.
Evidentemente, però, questa centralità dei tank ha fatto sì che ci fossero meningi spremute su come rendere il gioco godibile anche da tutti gli altri tipi di personaggio: Ninja Theory ha per questo dotato ciascuno di abilità differenti e ognuna valida nella gestione della partita, che si tratti di una manovra stealth per facilitare la fuga o un attributo di velocità proibitivo per un nemico dal volume elevato. Nel complesso, lato sviluppo, la quadra sembra sia stata trovata e non abbiamo rilevato particolari scompensi durante i nostri playthrough, se non dettati da una scarsa inclinazione eventualmente degli utenti coinvolti al gioco di squadra.
Abbiamo utilizzato il termine “derivativo” per discutere di Bleeding Edge in un passaggio precedente ma, per quanto questo abbia un’accezione diffusamente negativa, ad arrivare così tardi ci sono dei vantaggi palesi: quello di Ninja Theory è infatti un titolo particolarmente rifinito, con una serie di strutture e misure volte a rendere l’esperienza quanto di più moderno ci sia in circolazione, e non – è successo ad esempio con i seguiti dei principali service game, come Destiny 2 – come se si dovesse partire di nuovo da zero sotto tutti i punti di vista.
Ci sono gli anticorpi per i comportamenti nocivi, per dirne una, con un sistema di penalità che punisce con tre turni senza ricompense e l’inserimento in sessioni con altri “leaver”; ci sono suggerimenti ad inizio partita che riferiscono dei ruoli scoperti nei team e indica quali andrebbero presi per ottenere un match equilibrato; c’è un ping system che, sebbene richieda due passaggi non comodissimi in combattimento, consente di comunicare con gli altri giocatori anche se non muniti di microfono, con alcune opzioni cucite addosso sulle meccaniche del titolo, come quella che invita i compagni alla ritirata – pure a questo ci riferivamo quando, nel nostro articolo preliminare, affermavamo che persino da soli si sarebbe potuto, e dovuto, giocare organicamente di squadra.
Chicche di non poco conto in questo stesso filone sono costituite dalla mole di statistiche, il cui livello di dettaglio – totale o per personaggio, percentuali di vittorie e sconfitte, ore giocate, e via discorrendo tramite molteplici tipologie di grafici – è funzionale se ricordiamo che la progressione è divisa tra combattente e profilo del giocatore, e la possibilità di recuperare contestualmente le clip delle proprie sessioni più recenti accedendo in tutta comodità ad una voce dedicata nel menu d’avvio. In un’altra voce si possono invece seguire le trasmissioni in diretta, segno di una propensione agli esports che potrebbe sbocciare qualora il pubblico premiasse lungo almeno quest’annata lo sforzo di Xbox Game Studios.
Un gioco molto “raccolto”
Se da un punto di vista delle funzionalità possiamo ritenerci soddisfatti del lavoro qualitativo e quantitativo, sono i contenuti a destare qualche dubbio, e del resto sono perplessità simili a quelle che abbiamo affrontato dando il benvenuto ad altri service game pur non prettamente arena-based. Bleeding Edge è un gioco molto “raccolto”, che porta in dote la visione doppia-A intrinseca nel modo di fare videogiochi di Ninja Theory, ovvero una produzione estremamente rifinita ma dalle dimensioni contenute per ovviare alle dimensioni di un team che – pur essendo attualmente foraggiato da Microsoft – si è mantenuto sempre nell’ordine della ventina di membri.
Il risultato di questa mentalità è la realizzazione di due modalità di lancio, senza gioco competitivo almeno ad oggi, una che prevede la conquista a tempo di punti strategici lungo la mappa e l’altra in cui siamo chiamati a depositare celle di energia per ottenere i punti necessari alla vittoria, spalmate su cinque mappe diverse, una in più rispetto a quelle che abbiamo provato nell’ultima beta.
Il numero di personaggi – undici più uno in arrivo – è soddisfacente anche in considerazione del fatto che padroneggiarli a dovere è una questione che richiede tempo, ma nel complesso l’approccio all’argomento della quantità abbastanza conservativo; è chiaro che qualcosa sia stato lasciato fuori in modo da foraggiare l’esistenza futura del prodotto, ed è stato già precisato come ci sia una roadmap di contenuti in arrivo per il post lancio, ma è innegabile che i piani vadano delineati presto in pubblico per non causare un rapido esodo di giocatori. Sarà interessante capire in quale direzione si muoveranno gli sviluppatori, se aggiungeranno altre modalità (e se saranno originali o qualcosa di classico come un deathmatch) o si limiteranno ad ampliare il roster e l’ambito della personalizzazione.
Al confronto con la beta, Ninja Theory ha comunque già ritoccato qualche elemento: la sfera “live” delle mappe, che implica piogge di missili in certi punti o il passaggio di treni velocissimi (e pericolosissimi) in altri, è stata ulteriormente approfondita, e si tratta di tutti elementi che è possibile sfruttare strategicamente a proprio vantaggio con un po’ d’attenzione. Spingere un avversario a rincorrerci, a piedi o su un hoverboard ancora più rapido, può aiutarci a farlo arrivare sui binari e venire investito, oppure trattenerlo su una piattaforma-area da conquistare mentre ci stiamo avvicinando ad una barriera elettrificata può stecchirlo e lasciarci campo libero per la conquista.
È questo, inoltre, un altro indicatore del fatto che il team di sviluppo giocherà parecchio con le componenti connesse al suo tessuto di gioco online, e ce n’è un’altra in effetti che avrà presto bisogno di una ripassata: l’economia interna è molto restrittiva, come capita spesso nei periodi di lancio per non inflazionare il valore degli oggetti acquistabili, e abbiamo avuto l’impressione che la distribuzione delle due valute – entrambe in-game, non ci sono microtransazioni a pagamento di sorta – alla fine dei match tenda a premiare troppo poco l’impegno degli utenti usciti vincitori da una partita.
Le due valute hanno scopi diversi: con quella arancione si possono acquistare skin ed emote, tutta la componentistica necessaria alla customizzazione dei pg, e se ne guadagnano poche decine a fronte di una spesa massima (per le skin) di 2000 crediti; con quella blu si comprano le mod, altro retaggio della discendenza MOBA cui non ha mai fatto mistero di riferirsi lo studio di Cambridge, e pure su questa il gioco ha alquanto il braccino, per quanto sia data l’opportunità di riciclare le modifiche superflue in cambio di 250 crediti. Le skin sono soltanto quattro per personaggio, di cui una l’originale, una la Punk inclusa con i pre-order e su Xbox Game Pass; le emote appena tre.
Le mod sono un aspetto affascinante del titolo, dal momento che permettono di potenziare le abilità a disposizione dei singoli personaggi. Non parliamo di cambiamenti dal giorno alla notte ma, con aumenti percentuali sulle skill in genere tra il 5% e il 15%, abbiamo notato l’impatto della loro applicazione sull’ammontare della cura ricevuta o sulla velocità di ricarica di una mossa; uno spostamento di pochi secondi che può fare la differenza, e un giocatore che abbia compreso appieno quali abilità sfrutti di più e meglio del suo “eroe” ne trarrà indubbiamente notevole vantaggio.
L’unico contro risiede anche in questo caso nella quantità di elementi a disposizione, di per sé esigua ma incrinata pure dalla natura “fiduciaria” del rapporto con il proprio personaggio tipico di un picchiaduro: la formula giusta la si trova abbastanza rapidamente e non ci sono particolari incentivi a cambiarla o sperimentare, specie se si finisce con l’avere un personaggio principale e un buon numero di vittorie nel palmares.
+ Mappe vive e ingegnose
+ Le esperienze pregresse significano grande rifinitura...
- Economia interna col freno a mano tirato
- ... e un look and feel derivativo
7.3
Una notizia particolarmente positiva è che unendovi adesso a Bleeding Edge godrete di un titolo online dall’indole peculiare, con un netcode dalla notevole stabilità e tempi di attesa nella coda del matchmaking ridotti alla decina di secondi; tra qualche mese, o anche solo settimana, non sappiamo se la situazione rimarrà florida a questi livelli, quel che è certo è che una base – non originalissima nella presentazione, non corposissima nella modulazione dell’offerta contenutistica – è stata gettata e ora andrà soltanto alimentata nella speranza di non essere fagocitati come tanti altri dai capisaldi del genere.
Voto Recensione di Bleeding Edge - Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
-
Sistema di combattimento profondo
-
Mappe vive e ingegnose
-
Le esperienze pregresse significano grande rifinitura...
Contro
-
Offerta contenutistica ridotta
-
Economia interna col freno a mano tirato
-
... e un look and feel derivativo
Commento
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