Recensione

Ys: The Oath in Felghana

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Dopo anni di digiuno, molte saghe fondanti della recente storia videoludica stanno tornando in auge grazie soprattutto alle console portatili, dove gli sviluppatori, probabilmente meno vincolati a ferree regole di mercato ed alla necessità di stupire a livello tecnico, ripropongono grandi classici del passato in veste rinnovata. Ecco così ben tre episodi della serie Dragon Quest materializzarsi in poco più di tre anni su Nintendo DS e un trittico di titoli della storica saga di Ys su PSP. Dopo aver passato molti pomeriggi movimentati in compagnia del settimo episodio ed in attesa della raccolta denominata Chronicles, che racchiuderà i primi due capitoli, eccovi un’analisi di Ys: The Oath in Felghana, remake del terzo episodio del filone principale.

Adol vs the worldOriginariamente apparso su Personal Computer con il titolo completo di Ys III: Wanderers from Ys, il gioco porta con sé un retaggio che ne costituisce, nel contempo, uno dei principali punti di forza e una delle debolezze più evidenti, sotto molti punti di vista. Partendo proprio dalla trama: nessuno dei capitoli della saga di Ys ha mai brillato per sceneggiature particolarmente emozionanti o complesse, e in questo si è posta agli antipodi di prodotti come la storica saga di Final Fantasy, che, a partire dal terzo capitolo, era invece pesantemente incentrata sulle peripezie dei protagonisti. Come e ancora di più che in Ys Seven, The Oath in Felghana consta di un comparto narrativo ridotto all’osso, che propone l’ennesima avventura per Adol il rosso, il quale prende a cuore, di volta in volta, le vicende di un paese o di una bella donna: stavolta tocca a Felghana, terra natale del fidato Dogi che, rispetto alle ultime uscite, rivestirà tuttavia un ruolo fondamentale, non combattendo nemmeno a fianco del nostro eroico “pel di carota”. I dialoghi sono rapidi, scarni si potrebbe dire, i personaggi poco approfonditi e le situazioni stereotipate, il procedere della trama principale scontato e poco intrigante ma, ad onor del vero, conoscendo questa gloriosa saga, non ci aspettavamo altro. Questo stato di cose va a nozze con il tipo di fruizione per cui PlaystationPortable era stata originariamente concepita, ed entusiasmerà quanti non vanno d’accordo con le interminabili sessioni di dialogo proprie dei JRPG, o delle lungaggini sentimentali cui Square Enix negli ultimi anni sembra essersi affezionata: scambi di battute rapidi e indolori non interromperanno un’avventura veloce, adrenalinica e, per molti versi, scacciapensieri.

Action che più action non si puòGli appassionati di lunga data della saga Falcom sapranno che il terzo capitolo è ricordato come quello contenente maggiori elementi platform degli innumerevoli usciti su varie console, dal PC Engine in poi: anche questo elemento tornerà, ma non si tratterà purtroppo di un revival dei più graditi. Andiamo con ordine: chi ha avuto modo di mettersi alla prova con il recente settimo capitolo troverà delle piacevoli conferme, come un sistema di combattimento incentrato sulla velocità, il tempismo e la frenesia più assoluti, con un ritmo elevato, ben più di quanto recenti giochi di ruolo d’azione abbiano saputo offrire (Kingdom Hearts su tutti), un set di mosse non troppo ampio ma estremamente funzionale e nemici ad ogni angolo. Fin qui nulla di nuovo e, anzi, il ritorno al passato operato dalla software house giapponese risulterebbe ottimamente riuscito: l’enfasi posta sull’esplorazione è merce rara nell’odierno panorama dei giochi di ruolo su console, ancor di più nel mercato portatile, e gli scontri contro i boss, presenti in gran numero, sono tra i più difficili e ben congegnati nei quali ci siamo imbattuti nell’ultimo periodo. Ciò che non consente a questo remake di raggiungere vette di eccellenza è proprio la sua intrinseca natura di titolo non originale: il porting dalla versione originale è stato affrontato senza troppe cure e, a distanza di tanti anni, moltissime scelte risultano quantomeno discutibili: anche i comandi, in parte a causa della conclamata scarsa ergonomia dell’handheld Sony, non rispondono come avrebbero dovuto. Dove il gioco originale consentiva salti singoli e doppi di grande precisione, la versione PSP regala frustrazione, con una gestione imprecisa del salto del protagonista, che rende una vera e propria iattura l’incontro con i (più che comuni) nemici volanti: incastrato in una tridimensionalità illusoria, quasi fosse uscito da una litografia di Escher, il povero Adol manca clamorosamente il bersaglio e subisce delle disonorevoli sconfitte da nemici che, se i controlli fossero stati meglio ottimizzati, avrebbero fatto la parte della carne da macello. Non abbiamo contato le volte in cui, per una errata valutazione dello spazio che divideva due piattaforme, siamo caduti nel vuoto, costretti a ripetere una consistente porzione del dungeon in cui l’avventura ci aveva condotto, con relativa serie di improperi della peggior specie. Lo stick direzionale risulta impreciso e il nostro alter ego restituisce la sgradevole impressione di rispondere ai nostri input con una frazione di secondo di ritardo, letale in un gioco che fa della velocità e della precisione nel saltare e nel colpire due elementi base del suo gameplay. Paradossalmente, gli sviluppatori sembrano essersi preoccupati della cosa giusta ma nel modo sbagliato: dopo numerosi tentativi di abbattere un dragone grande cinque volte il nostro personaggio, si finisce per apprezzare molto la possibilità di abbassare il livello di difficoltà dello scontro, senza per questo sentirsi degli inetti. Questa soluzione evita la frustrazione e consente di bypassare alcuni punti critici, arrivando così alla fine dell’avventura soddisfatti. Sempre che si sia sopravvissuti ai vari burroni e dirupi che affollano i dungeon, a partire dal primo. Se gli sviluppatori si fossero preoccupati di più della precisione dei controlli e meno dell’abbassamento del livello medio di “abilità” denotato dalle ultime generazioni di utenti casual, il risultato finale avrebbe sicuramente guadagnato in qualità e giocabilità. Menzione negativa, infine, per scelte di gameplay che abbiamo trovato inadeguate all’audience odierna, su tutte quella di non includere alcun tipo di pozione curativa, costringendo il giocatore a dosare gli attacchi ed a speculare sulla distanza che lo separa dal prossimo punto di salvataggio, al cui tocco la barra di energia del nostro avventuriero si ripristinerà.

Vagabondi nell’età dei poligoniAnche sul versante tecnico il titolo mantiene una certa coerenza con lo stile retrò delle meccaniche di gioco: una gamma di colori scuri e opachi ci introduce ad un mondo sbiadito, che il rosso fuoco dei capelli del nostro protagonista squarcerà. Abbiamo preferito questa soluzione rispetto all’eccessivo cromatismo che ha caratterizzato il settimo episodio, e tuttavia siamo lontani dalla magnificenza grafica che, al tempo, caratterizzò i primi episodi della saga, annoverati ad oggi tra i giochi più belli da vedere per la storica console Nec: anche a livello tecnico, nonostante una generale ripulita e una maggiore brillantezza garantita dall’ottimo schermo 16/9 di PSP, Falcom ha deciso di non apportare modifiche sostanziali alla grafica del gioco, che si presenta spoglia e davvero troppo minimalista, tanto nel design dei mostri quanto nei loro modelli, che, bidimensionali come quello del nostro Adol, mal si amalgamano con l’incerta tridimensionalità del motore grafico. Di certo quest’ultimo cnon può essere accusato di lentezza, se è vero che, anche con diversi sprite a schermo, non mostra incertezze di sorta.Di tutt’altra pasta l’accompagnamento sonoro: qui riprendere la tradizione è stato davvero un affare per il giocatore, le cui orecchie (cuffie consigliatissime) vengono inondate di motivi rock adrenalinici e appropriati alle atmosfere di gioco, sia che si opti per la colonna sonora originale (che, ricordiamolo, già godeva della qualità CD) sia che la scelta ricada sui nuovi arrangiamenti. La versione americana, oggetto della nostra recensione, è in commercio con un CD musicale contenente tutte le tracce del gioco, e questo da solo varrebbe i soldi dell’acquisto. Crediamo, con questo, di aver detto tutto. Se armati di sufficiente pazienza, nel ripetere decine di volte un dato salto o nel perire ripetutamente per mano di draghetti alati, impiegherete da dieci a quindici ore per portare a termine il gioco, che però gode di livelli di difficoltà per tutti i gusti (sconsigliamo, a riguardo, il livello “Inferno”, davvero titanico) e un abbondante Game Plus, comprendente artwork esclusivi del titolo e una modalità Time Attack in cui misurarsi con tutti i boss del gioco in rapida sequenza.

– Action RPG così non se ne trovano più

– Boss fight epici

– Colonna sonora che vale da sola il prezzo del gioco

– Trama appena abbozzata

– Controlli scandalosamente imprecisi

– Poca cura riposta nel lavoro di adattamento

7.7

Avremmo voluto premiare anche questa vecchia/nuova avventura di Adol Christin, nostro inseparabile compagno di giochi da vent’anni a questa parte, come avevamo fatto solo pochi mesi fa con il pur perfettibile settimo episodio.

Ma un remake che ripropone in toto anche tutti i difetti di un titolo che non era perfetto già alla sua uscita, senza nessuno sforzo di adattamento al nuovo formato ed all’odierno mercato di riferimento, finisce con l’essere un prodotto riuscito solo a metà: farà sicuramente impazzire lo zoccolo duro dei fan della saga, che probabilmente apprezzeranno la trama esile e il ritmo forsennato, ma deluderà quanti si aspettavano un lavoro di riedizione che rendesse ancora più splendente una perla del passato, che, a conti fatti, risulta invece inficiata da controlli davvero irritanti.

Voto Recensione di Ys: The Oath in Felghana - Recensione


7.7

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