Recensione

Ys Origin

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Approdato su PC qualche anno fa, e accolto in maniera positiva tanto dal pubblico quanto dalla critica, Ys Origin, primo capitolo della lunghissima timeline iniziata negli anni ’80, si appresta a sbarcare anche sulle console Sony, dapprima in versione casalinga (quella da noi testata) e in seguito, il trenta maggio, anche su Vita, supportando la mai troppo lodata formula del cross buy. Dietro il progetto ci sono i ragazzi francesi di DotEmu, al lavoro anche sui remake di Windjammers e di WonderBoy, due prodotti che faranno scendere diverse lacrimucce sulle guance dei meno giovani.
Che siate vecchi lupi di mare cresciuti con le avventure di Adol Christin o neofiti alla ricerca di un buon gioco di ruolo a forti tinte action, Ys Origin potrebbe fare la caso vostro.
All’alba dei tempi
Il primo e immediatamente riconoscibile tratto distintivo di Ys Origin è rappresentato dal fatto che, a memoria, sia il primo capitolo della lunghissima saga di Falcom a non vedere Adol Christin nei panni dell’eroe: questo non significa che il rosso avventuriero sia del tutto assente, ma i protagonisti, in questa circostanza, sono altri.
Nella fattispecie, ci riferiamo a Yunica Tovah, combattente dotata di un’enorme ascia, e di Hugo Fact, incantatore dalla grande abilità: il mondo in cui questi personaggi si muovono è quello che abbiamo imparato a conoscere, ma ben settecento anni prima dell’avventura d’esordio di Adol, ovvero Ancient Ys Vanished, uscito su diversi sistemi tra cui l’indimenticabile Sega Master System e il DS (qui in forma di remake).
La molla che fa scattare gli eventi è rappresentata da una tremenda invasione di demoni e mostri, che sporca terre un tempo pacifiche e verdeggianti e costringe gli abitanti di Ys a rifugiarsi in apposite città fortificate, costruite, generalmente, in luoghi sopraelevati.
Come se non bastasse, le due dee gemelle che proteggono il regno sono state rapite e rinchiuse in una torre dall’aspetto inquietante, che si eleva nei cieli quasi a voler sfidare i divini: Reah e Feena, questi i nomi delle due divinità, devono quindi essere tratte in salvo, perché solo con le loro abilità e la loro eminenza possono aiutare a purificare la nazione, corrotta dai demoni e dal sangue che essi hanno sparso.
L’intreccio, in pieno stile Ys, è poco più di una traccia, un generico setting fantasy che offre al giocatore una scusa per gettarsi nella mischia, ma, in questo prequel, la situazione è ulteriormente semplificata, non solo per la pochezza del plot in sé ma anche per la mancanza di un overworld da esplorare, con una certa monotonia che, inevitabilmente, si materializza ascendendo la torre.
Il lato positivo, invece, è rappresentato dal fatto che ogni personaggio garantisce l’accesso a dialoghi e filmati inediti, sebbene il cuore della narrazione rimanga immutato, così da spingere a giocare l’avventura quantomeno due volte, per poter vedere tutto ciò che ha da offrire.
Old but gold
Chiunque abbia giocato ad uno qualsiasi dei titoli usciti a cavallo tra PSP e PC nell’ultimo decennio, da Oath in Felghana a YS Seven, troverà una formula tanto familiare quanto avvincente, che propone un gioco di ruolo dalle forti venature action, con nemici visibili su schermo e affrontabili in tempo reale facendo ricorso ad una serie di mosse e combo che va via via ampliandosi con il progredire dell’avventura.
L’approccio al combattimento dei due personaggi inizialmente selezionabili è radicalmente differente, così da consentire due stili di gioco diversificati per andare incontro ai gusti di due audience apparentemente inconciliabili: nei panni di Yunica, infatti, Ys Origin aderisce maggiormente ai canoni tipici della serie, che faranno felici gli appassionati di hack’n’slash, mentre in quelli di Hugo il gioco ricorderà ora uno sparatutto isometrico ora un twin stick shooter.
L’arma in dotazione di Yunica la costringe ad avvicinarsi ai nemici, entrando nel range della maggioranza dei loro attacchi ed esponendola maggiormente ai danni; in compenso, soprattutto nella seconda metà dell’avventura, la quantità di danni che la combattente sacra può infliggere è sensibilmente superiore rispetto al compagno di viaggio.
Hugo, dal canto suo, può permettersi di mantenere le distanze, colpendo, nel contempo, più nemici contemporaneamente, ma non può contare su un output di danni altrettanto imponente.
Anche il modo in cui i due personaggi si controllano è leggermente differente, con l’arco di salto di Hugo che può coprire distanze maggiori rispetto a quello di Yunica, il che rafforza l’impressione che i due personaggi (un po’ come Chris Redfield e Jill Valentine ai tempi del primo Resident Evil) non si distinguano solo per le caratteristiche, ma anche per un livello di difficoltà diverso, che, in questo caso, favorisce Hugo, rendendolo la scelta ideale per i neofiti.
Abbiamo anche notato che, rispetto all’ultimo episodio giocato in ordine di tempo (Memories of Celceta su Vita), lo stacco tra i nemici comuni e i boss si è ampliato, laddove i primi risultano carne da macello raramente impegnativa, e i secondi pongono il giocatore di fronte a sfide davvero stimolanti, come d’altronde è sempre stato per i titoli appartenenti alla serie.
Enormi insettoidi, semidei mutanti, e costrutti rocciosi sono solamente alcuni dei boss che sbarreranno la strada verso la cima della torre, ognuno con dei pattern riconoscibili ma non per questo semplici da evitare e con generosissime barre dell’energia: in questi frangenti, complice una colonna sonora sempre sul pezzo, Ys Origin riesce a dare il meglio di sé, offrendo un tasso di adrenalina e di sfida d’altri tempi.
A detrarre dall’esperienza di gioco, allora, ci sono una durata complessiva scarsa se si prende in considerazione la singola run e, soprattutto, l’impoverimento delle meccaniche esplorative che sono diventate un marchio distintivo delle avventure di Adol Christin: in Ys Origin, come anticipato, avrete accesso solamente ad un’unica, enorme location, incapace di rinnovarsi più di tanto e di offrire soluzioni ludiche e visive fresche.
Avremmo anche gradito qualche aggiunta supplementare rispetto al supporto per il widescreen, anche in considerazione del fatto che il prezzo della versione PC è al momento leggermente inferiore, ma il lavoro di conversione svolto dai ragazzi di DotEmu è, nel complesso, più che buono.
Come il vino
Com’è naturale che sia per un prodotto che ha debuttato nel 2006, l’analisi tecnica non può essere la stessa che si riserva a i titoli contemporanei: qui abbiamo un peculiare ma riuscito mix diambientazioni poligonali, interamente in tre dimensioni, e personaggi bidimensionali, un’accoppiata che ci ha ricordato tanto i tempi d’oro dei JRPG sulla prima Playstation, quando le limitazioni tecniche costringevano a spingere, piuttosto, sul character design e sul versante artistico.
Certo, da questo punto di vista la versione PS4 risulta forse un po’ penalizzata, perché, su televisori ad altissima definizione e dalla diagonale generosa, le magagne di un prodotto vecchio di undici anni sono più evidenti di quanto non sarebbero, ad esempio, sul luminoso schermo di PlaystationVita.
Le texture di superficie tradiscono l’età del prodotto, e DotEmu non ha aggiunto tantissimo rispetto alla versione PC, supportando solo il widescreen, ma i sessanta frame per secondo già visti su personal computer sono graditissimi anche qui, e favoriscono l’ipercineticità del gameplay.
Abbiamo notato strani glitch durante alcun dei filmati (in primis quello di apertura), con l’aspect ratio che sembrava stranamente forzato, e anche la splendida colonna sonora, un must come per tutti gli episodi precedenti del franchise, soffre di qualche problemino e si silenzia senza motivo in certi frangenti: parliamo comunque di piccole problematiche che potranno essere facilmente sistemate via patch in breve tempo e che non pregiudicano la godibilità del titolo.
Il consiglio, se ne avete la possibilità, è di procurarvi la colonna sonora originale, che fonde violini, sintetizzatori e chitarre come se gli anni ottanta non fossero mai finiti, e li mescola con sonorità ritmate che si sposano perfettamente con l’incessante azione a schermo.
Di tutto rispetto anche la durata complessiva, purché si abbia la voglia di rigiocare il titolo con tutti i personaggi: la singola run, infatti, dura “solo” tra le sei e le otto ore a livello normale, ma, portando a termine il gioco una prima volta, si sbloccano nuovi personaggi giocabili, nuovi livelli di difficoltà, una modalità boss rush ed una time trial.
I maniaci dei trofei saranno poi contenti di sapere che Ys Origin nasconde, tra le pieghe del suo codice, anche un platino.

– Gameplay invecchiato benissimo

– Rigiocabile…

– Colonna sonora tremendamente coinvolgente

– Poca varietà di ambientazioni

– …ma un po’ corto

– Quasi nulla di nuovo rispetto alla versione PC

7.5

Non tutti i giocatori più giovani lo apprezzeranno, non è latore di grosse novità né rispetto alla serie cui appartiene né alla versione PC disponibile ormai da diversi anni, eppure Ys Origin ci ha stimolato, sfidato, divertito.

Parliamo di un prodotto innegabilmente legato a meccaniche semplici, a tratti quasi basilari, ma che, proprio per questo, è invecchiato molto meglio di quanto si possa pensare, e saprà regalare qualche ora di divertimento a tutti gli appassionati di giochi di ruolo con una forte anima action.

Ys è una di quelle saghe che non vorremmo veder morire mai, e Origin costituisce un antipasto saporito all’ottavo capitolo, in arrivo quest’anno in occidente, nonché una testimonianza che i remake di Windjammers e WonderBoy sono in buone mani.

Voto Recensione di Ys Origin - Recensione


7.5

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