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Xenoblade Chronicles X è molte cose. È il gioco su cui WiiU punta maggiormente per piazzare qualche console alla fine dell’anno e nel periodo natalizio, è una sorta di esperimento dei Monolith nel campo dei gdr open world, ed è un mezzo messia dei jrpg per i fan di Nintendo. In particolare questi ultimi vanno capiti: X è pur sempre il seguito dei quello Xenoblade che ha rivoltato il genere come un calzino, guadagnandosi una posizione nell’olimpo dei titoli Wii e mettendo in campo numerose idee brillanti, unite a un background riuscitissimo e ad una narrativa esaltante.
Io stesso avevo aspettative stratosferiche per il gioco. Sulla carta c’era poco che potesse andare storto dopotutto, con una base come quella del predecessore su cui costruire. Invece ora mi trovo qui, dopo decine di ore di gioco, con l’anima spezzata in due. La mia parte critica e “pratica” lo detesta, mentre quella di appassionato del genere e amante del puro gameplay non può non apprezzarlo.
E per voi? Sarà probabilmente la stessa cosa.
Lin is not funny
La partenza di Chronicles X è nettamente più placida di quella del precedente Xenoblade, e non ha all’apparenza alcun collegamento con esso. L’umanità si ritrova alla deriva su un gigantesco pianeta di nome Mira, dopo la distruzione della terra per via del conflitto tra due razze aliene non meglio precisate. Quella che pareva inizialmente una beffa del destino diviene sospettosa quando la principale nave per la colonizzazione di altri pianeti viene nuovamente attaccata durante la fuga dagli stessi extraterrestri. In preda alla disperazione gli umani lasciano cadere un’enorme cupola contenente la città di New Los Angeles su Mira, e tentano di stabilirsi su questa nuova terra popolata da mostri pericolosissimi e misteriose razze umanoidi. Voi siete un poveraccio la cui capsula di stasi, dispersa a causa dell’impatto, viene ritrovata dalla prode Elma, e che dopo aver dimostrato una certa prodezza in battaglia riesce a entrare nei Blade, un’organizzazione a difesa dei terrestri che cerca disperatamente il nucleo centrale della nave tra i continenti del pianeta.
Ci vuole un po’ perché la premessa inizi a carburare. Un bel po’. E non parliamo di una manciata di ore, bensì di decine. La trama di questo nuovo Xenoblade manca infatti della spinta iniziale data da un protagonista caratterizzato degnamente, poiché il proprio alter ego è stavolta personalizzabile, non ha linee di dialogo doppiate al di fuori del combattimento, e durante le conversazioni può di norma scegliere tra due sole opzioni piuttosto semplici. A lui poi si aggiungono comprimari piuttosto piatti, la cui personalità ci mette una vita a delinearsi tramite missioni affinità che si sbloccano durante l’avanzamento. Non scherzo, prima di intravedere un paio di spunti interessanti nella trama ci metterete una dozzina d’ore minimo, e le cose decolleranno solo dopo 25-30 ore di gioco. Una lentezza estenuante che non molti apprezzeranno e deriva in larga parte dalle scelte strutturali sconsiderate che i Monolith hanno fatto.
Attenzione, non stiamo bocciando il gioco del tutto a livello narrativo: tolto qualche momento piuttosto fastidioso, stacchetti umoristici che di divertente hanno ben poco, e certi personaggi davvero da dimenticare, non mancano i momenti inaspettati, i colpi di scena e le personalità di spicco… solo che per scoprire tutto questo dovrete inoltrarvi nelle missioni affinità appena citate, e avere una pazienza infinita.
Follie nipponiche
Non si tratta di un’esagerazione, poiché strutturalmente Xenoblade Chronicles è un disastro su tutta la linea, e non è davvero possibile girarci attorno. Ricordate qual era la debolezza primaria del primo Xenoblade? Esatto, le quest secondarie. Ripetitive e tediose, erano ben lontane dalla qualità della campagna principale ma non andavano a intaccare più di tanto il prodotto perché in larga parte ignorabili. Ora, qualunque sviluppatore sano di mente avrebbe lavorato su queste mancanze, cercando di aggiungere varietà ai compiti o perlomeno di seguire la via di recenti gdr di successo, che hanno puntato molto sulla narrativa. Qui però si sottovaluta quanto aliena sia la mentalità delle software house giapponesi rispetto alla nostra, e Chronicles X è la dimostrazione lampante di questa granitica barriera culturale. I Monolith, in pratica, non solo non hanno in alcun modo tentato di rendere meno tediose le missioni secondarie, ma hanno messo dei paletti alle missioni primarie, costringendo a tutti gli effetti il giocatore ad affrontare in larga parte questi compiti. Mi spiego: i capitoli della storia in questo titolo sono in totale 12, ma non è possibile affrontarli come si approccia una comune campagna costruita attorno alle story missions. No, la maggior parte delle missioni primarie richiede di completare specifici obiettivi per essere avviata, e questi obiettivi sono solitamente il completamento di alcune missioni affinità, o l’esplorazione percentuale di parte dei continenti. “Non è un obbligo completare le secondarie, dunque”, direte voi, ma state sottovalutando i meccanismi messi in tavola dagli sviluppatori per portare il giocatore a perdere ore nel titolo. L’esplorazione non è infatti automatica e graduale, ma richiede il completamento di compiti nei tasselli che compongono le varie mappe sul paddone per aumentare, che possono andare dall’uccisione di mostri potenziati chiamati Tyrant, al ritrovamento di oggetti sparsi che obbligano a specializzarsi in certe conoscenze, al semplice completamento, appunto, di quest secondarie collegate a quella zona. Oltre a questo ci sono limitazioni di livello, che costringono a farmare mostri o spingono comunque ad affrontare le tante quest al terminale Blade presente nella zona amministrativa della città per guadagnare un pochino di preziosa esperienza extra. Non credete che tutto questo sia una follia? Fantastico, perché non è finita qui. La stragrande maggioranza delle quest secondarie sono fetch quest che non indicano nemmeno la posizione degli oggetti o dei mostri da cui questi droppano (salvo casi limite con bersaglio singolo), e costringono a vagare per gli enormi continenti di Mira alla disperata ricerca di materiali la cui ubicazione può alle volte essere molto complicata da raggiungere. Spargete mostri enormemente sovralivellati all’interno delle varie location, e otterrete un’esplorazione che spesso e volentieri consiste in una fuga di gruppo da enormi mostroni di cui avete erroneamente attirato l’attenzione. Ci sono poi sonde da piazzare qua e là per ottenere risorse preziose, e quest che costringono ad aumentare tali risorse e ad aspettare che vengano consegnate per il loro completamento. Non bastasse, le quest affinità non sono cancellabili, accettarle preclude di attivarne altre primarie, e contengono spesso obiettivi altrettanto noiosi.
In parole povere è tutto ciò che non va nelle subquest degli action gdr, concentrato in un unico titolo. Che il grinding e le quest di questo tipo siano una cosa assodata nei jrpg è parzialmente vero, ma nei grandi classici del genere era praticamente sempre possibile scegliere tra la storia principale e il lento vagare alla ricerca di potenziamenti extra e segreti, inoltre si livellava brutalmente più per facilitarsi la vita che altro. Qui non accade, le secondarie sono rondelle inserite a forza negli ingranaggi del titolo Monolith, e la spinta all’esplorazione viene forzata da freddi numeri invece di venir consigliata con metodi più naturali e intriganti. È alienante.
La complessa via del guerriero.
Ma allora come mai non ho bocciato il titolo su tutta la linea, marchiandolo malamente come “dimenticabile e malriuscito”? Semplice, le meccaniche e l’art direction. Xenoblade Chronicles X avrà anche uno scheletro molto fragile e malato, ma è pieno zeppo di muscoli e nervi quando ci si addentra nei suoi sistemi. Il gioco è una dannatissima opera magna dei jrpg quando si parla di personalizzazione dei personaggi, sviluppo degli stessi e profondità. Non si parla tanto della creazione del protagonista, nemmeno troppo ricca di dettagli, ma del numero impressionante di tecniche di combattimento, armi e quant’altro, presenti nel gioco. Vi sono numerosi classi specializzate tra cui scegliere, con ranghi che salgono di compito in compito e sbloccano nuove abilità, tecniche extra da apprendere da alcune quest, bonus passivi sempre legati alla classe da equipaggiare, e la possibilità di potenziare il livello di ognuno di questi poteri con i punti battaglia ottenuti. La ragnatela non si fa meno labirintica quando ci si addentra nei negozi, con produttori di armi sbloccabili durante il gioco che offrono armature dalle statistiche variabili, e possono aumentare gli oggetti venduti tramite donazioni di Miranium ottenuto con le sonde. Presenti persino dei potenziatori, che migliorano i bonus delle singole armi e armature, o vanno equipaggiati negli slot di alcuni pezzi.
Il combattimento poi è una bestia a parte, di quelle difficili da prendere per la coda ma a cui è dura non affezionarsi una volta domata. Siamo di fronte a un sistema molto simile a quello visto nel vecchio Xenoblade, a tutti gli effetti un combat system in tempo reale con similitudini al mondo dei MMORPG, basato quasi del tutto sul timing e sul posizionamento, ma con attacchi “a ricerca” sia da parte dei mostri che dei protagonisti (spesso con range esagerati che permettono di colpire in corpo a corpo anche quando ci si trova a una distanza considerevole). Gli attacchi sono divisi in categorie indicate dal colore, e vanno dai malus agli assalti dalla distanza, passando per aure difensive e poteri di supporto. La risorsa primaria da tenere sott’occhio qui, al di fuori ovviamente dei punti vita, sono i punti tensione, che vanno ad attivare praticamente tutte le abilità più poderose e aumentano a forza di autoattack o effetti di altre tecniche. I punti tensione sono estremamente significativi anche perché permettono di riportare in vita i compagni caduti in battaglia e di attivare il Turbo, un potenziamento notevole che si sblocca a campagna inoltrata.
È una strana coreografia quella delle battaglie di Xenoblade Chronicles X, una gara al posizionamento migliore, arricchita rispetto al passato dalla possibilità di targettare le singole parti dei mostri più grossi con effetti variabili (alcuni vengono storditi se colpiti alla testa, altri si sbilanciano quando colpiti alla coda o alle gambe) e di cambiare tra armi a distanza e corpo a corpo in un istante. Un reale equivalente dei poteri della Monado non c’è, ma la complessità del tutto rende davvero difficile annoiarsi. Al mix si uniscono infine gli urli del guerriero, speciali effetti che si attivano con certe percentuali durante le vostre azioni per garantire dei bonus e un guadagno di punti vita, ma richiedono il completamento di un rapido QTE per essere attivati. Insomma, può sembrare un sistema action piuttosto statico, ma di cose a cui pensare ne avrete molte e le finezze non le abbiamo neppure elencate tutte.
Già una bella base da cui partire, dopodiché arrivano i mech, e cambia tutto in meglio.
Lanciami i componenti!
L’ottenimento delle Doll o Skell, come sono stati rinominati dalle nostre parti, è folle quanto il resto della struttura. Potrete guidarli solo dopo il capitolo 6 (si parla di 20 o più ore di gioco per arrivarci) e per ottenere la patente necessaria sarà obbligatorio completare ben otto missioni, una per ogni team dei Blade. Sono ancora una volta fetch quest o uccisioni di mostri vari, quindi non aspettatevi un grosso cambio di registro. Una volta ottenuta la patente, sarete comunque costretti a portare il vostro team a livello 30 prima di poter assegnare a una squadra intera questi robottoni e, sorpresa sorpresa, non avrete nemmeno modo di volare. Per quello? Oltre 35 ore di gioco, il completamento del capitolo 9, e un’altra quest di ritrovamento materiali, la gioia!
Sì, è una situazione abbastanza atroce, tuttavia l’arrivo dei robottoni trasforma di brutto l’esperienza, poiché questi devastanti telai rappresentano un enorme vantaggio contro i mostri che vagano per Mira. Gli Skell sono poderosi, non hanno abilità, ma sviluppano vari attacchi e tecniche difensive in base alle parti che vengono montate sulla loro corazza, sono indispensabili per combattere contro nemici giganti e zeppi di punti vita, e resistono ai colpi nettamente di più dei corpicini del vostro team. Una volta ottenuti, anche senza volo, l’esplorazione si fa più semplice e gustosa, i combattimenti più rapidi e spassosi, e si apre un nuovo ventaglio di equipaggiamento e sviluppo del personaggio approfondito quasi quanto quello dello sviluppo base. Inoltre i telai sono ricolorabili e rinominabili a piacere, altra chicca per fanatici di Go Nagai, Gundam e compagnia bella.
L’unico punto negativo dei robot è la presenza di una barra del carburante, che si svuota lentamente ma non permette di abusare degli esoscheletri, e va riempita o bloccando i nemici con una speciale manovra quando vengono storditi, o lasciando gli Skell parcheggiati da qualche parte (meglio se con una sonda per la benzina nelle vicinanze), oppure spendendo un bel po’ di Miranium. Sinceramente l’ho trovata un po’ superflua e fastidiosa, specie considerando certe sezioni al chiuso che costringono comunque a lasciare da parte il mech.
Gita in gruppo nella natura
Il gioco ad ogni modo non si limita a questo. Abbiamo detto che ci sono similitudini con gli MMO, ma la situazione non è legata esclusivamente al combat system. C’è infatti una curiosa infrastruttura online in Xenoblade Chronicles, abbastanza ben implementata da arricchirlo ulteriormente.
Quando si entra nei Blade, in pratica, si seleziona un team. Completare certi compiti permette di ottenere punti, poi spendibili in ricompense varie utilizzate nel crafting o per altro. Al contempo, all’entrata nel gioco si seleziona se far parte degli “amanti del singleplayer” o se gruppare con appassionati del multi. Indipendentemente dalla scelta si può accedere a una stanza dedicata all’online, ove si ha la chance di affrontare missioni a tempo o di supporto che offrono esperienza e oggetti aggiuntivi, o di affrontare delle “nemesi”, grossi boss con un funzionamento relativamente simile all’Ur Dragon di Dragon’s Dogma, che cadono dopo un tot di danni fatti da giocatori multipli su più partite, e spartiscono le ricompense in base all’efficacia della propria azione dopo un tot. Altre missioni di gruppo dedicate all’uccisione dei mostri su Mira offrono punti extra.
Non ho finito: è addirittura possibile reclutare gli avatar degli altri giocatori per farsi dare una mano temporaneamente durante gli scontri, e se il proprio avatar viene usato da qualcuno si ottiene un bonus xp. È multiplayer asincrono, ben lontano da una vera esperienza cooperativa, eppure aggiunge un ulteriore strato alla gigantesca cipolla coltivata dai Monolith.
L’altro elemento di spicco di questa esclusiva Nintendo è indubbiamente l’art direction. Non c’è molto nelle lande di Mira a livello di storia, quasi tutto parte dagli umani e dagli xeno che risiedono a New L.A., eppure vagare ha il suo perché, se non altro per lo splendore dei continenti creati dal team di sviluppo. Le pianure verdeggianti di Primordia sono già splendide, ma poi arrivano le zone desertiche di Oblivia, le bianche e futuristiche lande di Sylvalum, i mari di lava di Cauldros. Non c’è un posto sulla superficie del pianeta che non sia bello da vedere, non una ambientazione che non riesca in qualche modo a stupire, e ciò è testamento dell’abilità degli artisti di Monolith. La sola diversità dell’equipaggiamento disponibile è impressionante, e dimostra un lavoro concettuale assolutamente fuori di testa dietro alla creazione del mondo di gioco, rafforzato da una colonna sonora quasi del tutto cantata, che all’inizio appare leggermente fuori luogo ma dopo qualche ora cattura del tutto il giocatore.
Non altrettanto bene il comparto tecnico, che per supportare l’immensità delle mappe ha costretto gli sviluppatori a evidenti sacrifici sul conteggio poligonale dei modelli e sulla fluidità delle animazioni, ma Xenoblade Chronicles X resta un gioco piacevole da vedere in movimento e molto più stabile di quanto ci aspettassimo. Pochissimi anche i bug, al di fuori di qualche momento nel quale la sfera degli obiettivi impazzisce.
La bega maggiore la si ritrova nella telecamera, zoomabile e spostabile a piacere, ma spesso comunque fastidiosa e difficile da seguire. L’occhio cade molto di più sul timer delle abilità, eppure una visuale più ampia in certi casi l’avremmo voluta, specie a bordo dei robot.
La longevità, in chiusura, è al di là di ogni previsione. 60 o 70 ore di gioco saranno necessarie per completare la campagna, e per chi si farà catturare dallo sviluppo di personaggi e Skell si prevedono molte ore spese in più. La domanda è: “una tale complessità può davvero catturarvi se il ritmo di gioco è questo?” Per quanto mi riguarda la risposta è sì, ma con riserva. Nel vostro caso, dipende solo da che tipo di giocatore siete, e da cosa stavate aspettando da Monolith.
– Immenso
– Colonna sonora stratosferica
– Art direction eccezionale
– Meccaniche di profondità e complessità rara
– I DLC della versione giapponese sono inclusi
– Strutturalmente un disastro, con quest spesso forzate ed estremamente ripetitive
– Telecamera ballerina
– Narrativa e personaggi non particolarmente memorabili
– Inizio di una lentezza estenuante
Ci aspettavamo un monumento da Xenoblade Chronicles X, Monolith invece ci ha presentato un’equazione matematica complicatissima, con un sacco di splendidi ghirigori ad abbellirla. Nelle sue formule, invero, abbiamo trovato grande genialità, ma la freddezza dei suoi numeri e la follia della sua struttura non ci hanno convinto. Questo è un gioco che, fondamentalmente, racchiude tutto il meglio e il peggio dei Jrpg, e accentua entrambi. L’amore per lui dipenderà solo da che tipo di giocatore siete. Potete tollerare una ripetitività quasi patologica per apprezzare un sistema profondo e complesso all’inverosimile e un mondo artisticamente splendido? In tal caso, per voi sarà il gioco della vita. Ma se amate le storie indimenticabili e i gdr sì complessi, ma anche fruibili, girate davvero al largo.