Recensione

What did I do to deserve this, My Lord 2?

Avatar

a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Giunta quasi alla fine del suo ciclo vitale, PlaystationPortable, nonostante le critiche indirizzate a Sony da più parti, può vantare una serie di esclusive di primo piano, giochi particolari e che hanno saputo portare una ventata d’aria fresca al settore, in ambito portatile ma non solo. Pensiamo a Jeanne D’Arc, al trittico dei Patapon ma anche, in maniera meno mainstream, a piccole gemme come quelle made in NIS, da Z.H.P. Unlosing Ranger all’impronunciabile What did I do to deserve this, My Lord?, di cui ci apprestiamo a recensire il seguito, da poche settimane disponibile anche in versione retail, dopo essere sbarcato sul PSN da ormai un anno.

Helping BadmanCome spesso accade quando al timone c’è Nippon Ichi Software, parlare di trama è quasi del tutto superfluo, visto che il titolo è un crogiuolo di nonsense, freddure e giochi di parole, figlio di uno dei gruppi di sviluppatori più fuori di senno dell’attuale scena videoludica. Come per la stragrande maggioranza dei punti che affronteremo in questo articolo, una rilettura della recensione di Spaziogames aiuta: nel gioco impersoneremo un dio malefico, invocato da un altrettanto crudele signore degli abissi, in cerca di qualcuno che gli tolga di torno tutti gli avventurieri della domenica, i quali, in cerca di gloria, si avventurano in ogni dungeon pur di scovarlo e porre fine al suo regno di terrore. Togliete ogni velleità di raccontare una storia un minimo credibile, aggiungete tonnellate di ironia e di auto-referenzialità e un continuo dileggio degli standard che il genere dei giochi di ruolo ha imposto al pubblico da oltre vent’anni a questa parte e avrete l’essenza di questo seguito, o almeno della sua parte narrativa.

A capo della catena alimentareSe si eccettua la presenza della Chamber privata di Badman, nella quale sbizzarrirsi in ogni tipo di esperimento per affinare e rendere le nostre truppe un’armata invincibile, e qualche nuovo mostro (dai nomi impronunciabili come da tradizione), il gameplay è rimasto praticamente immutato rispetto al prequel, uscito due anni e mezzo fa, e questo, a seconda dei punti di vista, potrebbe rappresentare la miglior virtù piuttosto che il limite più grande di questo secondo capitolo made in NIS: le meccaniche di gioco difficili da digerire, un tutorial lacunoso (e con alcuni capitoli bloccati all’inizio del gioco), un livello di difficoltà che riporta le lancette indietro di almeno 20 anni, quando finire un gioco di questo tipo era una cosa di cui vantarsi e non la normalità, ma anche allo stesso tempo una profondità incredibile, un sistema che offre grandi soddisfazioni a chi riesce, con pazienza, a padroneggiarlo. Insomma, c’è tutto quello che c’era, e nessuno ha pensato né ad abbassare il livello di difficoltà né a offrire variazioni consistenti sul tema, riproponendo con coerenza, ma anche con un pizzico di pigrizia, una formula che non avevamo esitato a definire di nicchia già in sede di recensione del primo Badman!.Far propri i meccanismi che regolano la catena alimentare alla base del titolo non sarà semplice, ma, d’altronde, il gioco è leale nella sua estrema difficoltà e, anche nei momenti che più si avvicinano alla frustrazione, restituisce sempre l’impressione che esista una via d’uscita la quale, in genere, passa per un trial and error nel quale dovremo impiegare tutta la materia grigia a disposizione. Il resto lo fanno il limitato numero di picconate che potremo dare, il tempo (invero molto esiguo, anche più del primo episodio) che intercorre tra la nostra prima picconata e l’arrivo degli eroi all’ingresso del nostro dungeon e l’ibridazione con dinamiche tipicamente puzzle, derivate dalla possibilità di piazzare Badman nel punto che riteniamo più inviolabile del nostro dungeon e dal creare un percorso obbligato per gli avventurieri, costringendoli, di fatto, a venire a contatto con il nostro simpatico bestiario. Giocare a questo titolo, come anche al capostipite, è un esercizio che richiede dedizione, una buona quantità di tempo e certamente la pazienza di digerire un gran numero di sconfitte, necessarie a padroneggiare al meglio tutte le sfaccettature che il prodotto offre, che, si badi bene, sono necessarie e non accessorie. Questa è una differenza da non sottovalutare, soprattutto per l’utenza portatile: molti titoli offrono una abnorme quantità di contenuti, ma molto spesso solo una parte di questi è di fondamentale importanza per arrivare ai titoli finali. In What did I do to deserve this, My Lord 2? non vedrete mai la fatidica scritta The End se riterrete di lasciare per strada anche solo una delle sottili dinamiche di gioco, con tutto ciò che ne deriva.

Il passato che ritornaPotremmo saltare a piè pari l’usuale paragrafo dedicato agli aspetti tecnici: esattamente come da copione, anche questo secondo episodio tralascia clamorosamente (e volutamente, come altri della stessa softco prima di lui) ogni lustrino grafico, proponendo un adorabile aspetto da produzione 8-bit della seconda metà degli anni ’80 che, se mantiene uno stile inconfondibile, colpisce meno della sua prima uscita in assenza dell’effetto sorpresa.Medesimo discorso per la colonna sonora, inclusa per dovere di firma ma del tutto insipida e, anzi, ripetitiva già dopo 4-5 ore di gioco, tanto da incitare ad abbassare il volume e risparmiare batteria.Eh sì, perché la batteria della vostra PSP, se vi lascerete sedurre da questo piccolo (ma grande) gioco, andrà inevitabilmente incontro ad un tour de force, indici di valori di giocabilità e longevità decisamente sopra la media.Eppure, in chiusura di recensione, non possiamo non sottolineare nuovamente come questo sia un prodotto difficile, diverso, non troppo adatto a sessioni di gioco “on the go”, di certo non per tutti.

– Intrigantemente diverso

– Profondo

– Longevità superiore alla media

– Curva di apprendimento più ripida che mai

– A volte poco “portatile”

7.2

Due giochi speculari, difficili, per pochi, eppure molto affascinanti, latori di meccaniche, grafica e concept di gioco molto “vecchia scuola”: NIS si conferma una software house che non ha paura di osare, di proporre qualcosa di diverso, che esuli dall’ennesimo sparatutto in prima persona ad ambientazione militare o dal racing game tutto grafica e supercar.

Cionondimeno, nemmeno What did I do to deserve this, My Lord 2?, come il suo predecessore, è esente da difetti, che risiedono soprattutto in un livello di difficoltà che metterà a dura prova la pazienza di molti e nella scarsa fruibilità quando non si hanno almeno una quarantina di minuti a disposizione.

Ci sentiamo di premiare questo secondo capitolo con un voto finale leggermente più alto del primo per sottolineare il coraggio della casa madre, ma le avvertenze e le valutazioni fatte all’epoca sono valide anche oggi.

Voto Recensione di What did I do to deserve this, My Lord 2? - Recensione


7.2

Leggi altri articoli