Da bambino ho sempre desiderato un videogame basato sull’esplorazione. Un gioco in cui, invece di prendere a mazzate personaggi controllati dall’IA o da altri giocatori, tutta l’importanza venisse data all’esplorazione di un affascinante scenario selvaggio e alla scoperta dei suoi segreti e misteri. Per questo, quando ho messo gli occhi su Wander ho sentito il dovere morale di giocarlo. “Ok, forse non sarà un capolavoro, ma non importa. Mi piacerà lo stesso” pensavo tra me e me. Mi sbagliavo.
Anch’io una volta ero un avventuriero come te, ma poi…
Partiamo dalle origini: Wander è un MMO buy to play uscito a inizio giugno su PC e PS4. Il gioco necessita quindi di essere connessi a internet ma non richiede ulteriori esborsi oltre ai 22,99€ del client (e meno male). È inoltre un “non-combat MMO”: Wander rifiuta la competizione, volendo invece puntare su un gameplay volto all’esplorazione, alla narrativa e alla collaborazione tra giocatori. Un’idea originale e potenzialmente interessante ma, come avrete capito guardando il voto qui sopra, qualcosa è andato storto. Ma proprio tanto.
Il primo problema è insito nella definizione stessa del prodotto. Il sito ufficiale descrive Wander come un multigiocatore di massa, ma questo non corrisponde a verità: sarebbe più corretto definirlo un gioco “cooperativo online” dal momento che di massa c’è davvero poco. Lo dico chiaro e tondo: in oltre dodici ore su Wander ho incontrato un solo giocatore. Il mondo sembra deserto in tutti i sensi. Il motivo dovrebbe riguardare l’infrastruttura online del gioco: Wander pare funzionare a istanze, cioè cala gli utenti in versioni parallele dello stesso mondo. Una scelta poco felice contando che, nel momento in cui scrivo, Steam conta in tutto nove persone in-game. Insomma, definire Wander un MMO è quanto di più fuorviante esista. Ma lasciamo stare le discussioni formali sul genere d’appartenenza e andiamo avanti.
L’Avatar dei poveri
Quello che probabilmente molti si staranno chiedendo è in cosa accidenti consiste questo gioco. È presto detto: in Wander impersoniamo una figura femminile che tutto d’un tratto si sveglia su un’isola tropicale sotto forma di albero, senza ricordare nulla di chi è, da dove viene e, soprattutto, perchè diamine ha le sembianze di un ceppo che cammina. Per trovare delle risposte a queste domande dobbiamo esplorare l’isola in cui ci troviamo, cercando pietre e monoliti che ci diranno di più sulla storia del posto e di chi ci abita, un po’ come le registrazioni audio di Bioshock.
Per fortuna il nostro caro Ent scopre presto di poter cambiare forma grazie a speciali pietre di trasformazione. Ci sono altre tre forme disponibili: l’Hira che è una bambina indigena particolarmente agile, l’Azertash che è un piccolo drago marino e il Grifone che… beh, può volare. Appena scoperta la forma umana (ovvero la bambina) si sblocca la mappa: alla pressione del tasto relativo la visuale si trasferisce in una stanza sul cui pavimento è possibile vedere la mappa del mondo di gioco dall’alto e sulle cui pareti le trasformazioni già apprese.
Ci troviamo dunque in una giungla incontaminata e dalla vegetazione lussureggiante, e la nostra isola è separata dalle altre da un lembo di mare. In lontananza si possono scorgere paesaggi incantati, come una misteriosa cupola azzurra che svetta all’orizzonte e un’enorme isola sospesa nell’aria dalla cui vetta sgorga una rigogliosa cascata. L’atmosfera sognante ricorda un po’ Avatar, ma se il primissimo impatto può sembrare positivo la magia finisce praticamente subito.
Scordatevi un gameplay asimmetrico che richieda di cambiare forma in modo intelligente, compensando pregi e difetti dei vari personaggi a seconda della situazione. È tutto estremamente banale: l’Azertash va usato in acqua e il Grifone per volare, la bambina essendo la più veloce va utilizzata nell’esplorazione a terra mentre l’Oren (com’è chiamato l’albero) è di una lentezza esasperante e non serve essenzialmente a un tubo, motivo per cui non lo userete più appena scoperte le altre forme.
Billie Jean
Come avrete compreso il gameplay è molto semplice e ruota attorno al vagare in giro e cercare cose. Se già questa prospettiva appare poco allettante di per sè, a peggiorare drasticamente la situazione arriva la realizzazione pratica: tutto il sistema di movimento è pressapochista a livelli indecorosi, con compenetrazioni poligonali continue, collisioni estremamente imprecise e una fisica non pervenuta. Persino il fall damage è assente: possiamo buttarci giù da un dirupo usando la bambina e quest’ultima, una volta atterrata, accennerà giusto una piccola smorfia.
Lo scarno menu consente soltanto di settare le impostazioni grafiche/sonore e giocare; non è possibile neanche rimappare i comandi, scelta masochista (o sadica, a seconda dei punti di vista) se si considera che i pochi comandi che il gioco presenta sembrano disposti a casaccio (sia con la tastiera sia col joypad). Ma quel che è peggio, le animazioni sono da ficcarsi una matita nell’occhio: la bambina si muove slittando come se avesse dei pattini ai piedi e sempre con la stessa animazione. Questo significa che l’animazione della corsa di lato e della corsa all’indietro è la stessa della corsa in avanti: in altre parole, la bambina si muove all’indietro facendo il moonwalk. Le animazioni di Wander insomma sono una delle cose più brutte su cui mi sia capitato di mettere gli occhi ultimamente, e questo non è esattamente un difetto marginale per un gioco che è basato, essenzialmente, sul camminare.
Wander tenta di trasmettere delle emozioni con i suoi suggestivi paesaggi, e in alcuni momenti non va molto lontano dal riuscirci, ma l’esperienza generale presenta un’incuria come pochi prodotti al giorno d’oggi posso vantare (si fa per dire). D’altra parte il gioco vorrebbe almeno regalare all’utente un’esperienza immersiva, ma fallisce clamorosamente nel suo intento per via di invasivi messaggi che compaiono a cadenza regolare nel tentativo di stimolare l’utente a usare il sistema di comunicazione di Wander.
Ma l’alfabeto latino era troppo mainstream?
Ecco, parliamone un attimo. Il gioco al posto della chat sfrutta un peculiare sistema pensato per eliminare le barriere linguistiche tra giocatori di differenti nazionalità. Nell’universo di Wander si parla infatti il Rozhda, un primitivo linguaggio di fantasia costituito da ideogrammi. Per imparare nuove parole è necessario trovare delle pietre su cui siano incisi dei glifi: ogni glifo corrisponde a una parola, come “caverna” o “cascata”. Per pronunciare una parola bisogna disegnare l’ideogramma (cioè il glifo) corrispondente, usando il mouse o il touchpad del controller su PS4. Un’idea sulla carta carina, ma ancora una volta il team di sviluppo di Wander non ha fatto i compiti a casa.
Il sistema è infatti complicato e macchinoso, e la stragrande maggioranza delle volte non riconosce l’ideogramma disegnato: dover faticare persino per dire cose semplici come “sì” o “no” vi farà presto passare la voglia di usarlo. Il dramma, come anticipato poc’anzi, è che il gioco ci tiene talmente tanto a farci impratichire con questa lingua che ci invita continuamente ad usarla, con messaggi come “Scrivi la parola” o “Inizia la conversazione” che rompono l’immersione nel mondo virtuale (e anche qualcos’altro). Dopo un’oretta di gioco avrete voglia, più che di imparare il Rozhda, di buttare il monitor giù dalla finestra.
Gameplay criptico o gameplay stupido?
Stupisce, poi, l’assoluta mancanza di un tutorial, o anche solo di una schermata con scritti i comandi base: Wander ti butta su un’isola e lì ti abbandona. Intendiamoci, non sto dicendo che un gioco deve accompagnarti per mano ad ogni momento: Dark Souls ha fatto del suo essere criptico la sua arma vincente, si sa. Ma nei Souls il gameplay, il lore e il level design sono attentamente pensati attorno a questo. In Wander, invece, l’assenza di informazioni è decontestualizzata e rappresenta un esercizio fine a se stesso. Sì, perchè qui il gameplay è talmente mal pensato che, con un pizzico di sfortuna, potreste dover penare per ore intere per colpa di una situazione che gli sviluppatori non hanno preso in considerazione.
Mi spiego meglio: è previsto che la forma umana sia la prima che va imparata. Non è particolarmente difficile trovare la relativa pietra di trasformazione, dal momento che è distante meno di dieci minuti dal punto in cui si nasce sotto forma di alberi. Ma se decidessimo di iniziare a esplorare in direzione opposta? Il gioco d’altronde non ci indirizza in alcun modo, neppure vago, sulla strada da prendere. In questo caso potrebbe succedere di trovare prima le altre pietre, e sarebbe un bel problema: se sblocchiamo prima quelle forme, infatti, la mappa del mondo non funzionerà e non sarà possibile trasformarsi finchè non avremo imparato la forma umana. Dite che è un’idiozia? Lo penso anch’io.
Pregando che tutto vada per il verso giusto, è possibile imparare le tre forme nel giro di circa quattro ore, anche se per trovare la pietra della trasformazione in Grifone conviene dare un’occhiata su Google. Ci tengo a chiarire una cosa: io sono tendenzialmente contrario alle guide su internet, e ogni volta che posso tento di cavarmela con gli strumenti che un titolo mi offre. Ma in Wander qualsiasi sforzo è ingiustificato, dal momento che il gioco non premia l’abilità o la capacità ma soltanto la fortuna richiesta nel trovare casualmente un preciso luogo all’interno di un mondo inutilmente grande e dispersivo.
Sandbox… o voidbox?
Vale la pena spendere due parole a questo proposito. Dal momento che non vi sono quest nè obiettivi prefissati, qualcuno potrebbe scambiare il titolo per un sandbox. Niente di più falso: Wander non è un sandbox, ma un gioco vuoto.
In Wander sarete in perenne solitudine: i personaggi controllati da umani, come abbiam già visto, proprio non abbondano, ma non ci sono manco gli NPC. Che non ci siano mob ok, ci può stare dal momento che si tratta di un gioco senza combat, ma almeno qualche NPC neutrale o alleato vogliamo metterlo? Invece niente di niente, neanche un animale o l’ombra di uno spaventapasseri con un punto esclamativo sopra. Sembra quasi che gli sviluppatori si siano dimenticati di farli spawnare.
In ogni caso, non sono solo quest e NPC a mancare. Scordatevi il crafting, la raccolta di risorse, la costruzione di strutture, un’infrastruttura per party e gilde, una qualche feature vagamente survival, insomma qualsiasi attività che possa rendere interessante un gioco online: in Wander tutto quel che si può fare è girare per il mondo e tentare di comunicare con gli altri giocatori, sempre se li trovate e per miracolo vi capite col linguaggio dei segni. Ma la domanda sorge spontanea: che cosa dovrei mai voler comunicare a un altro giocatore, se non c’è niente da dire?
“Endgame? Che cos’è?” è probabilmente la domanda che devono essersi posti i programmatori mentre lavoravano sul titolo. Dopo venti ore di gioco su Wander infatti si fanno le stesse cose che si fanno dopo due ore: si vaga in giro senza una meta, cercando glifi e monoliti non ancora individuati. Un gameplay così piatto sarebbe risultato monotono persino nel 1995, figuriamoci un ventennio dopo. Certo, una volta sbloccato il Grifone si possono raggiungere zone prima precluse come l’isola volante. Ma a che pro? Queste location, una volta scoperte, danno un achievement. Che gioia.
Volare nel blu dipinto di… verde
Il comparto grafico è l’unico aspetto in cui Wander si salva parzialmente, più grazie all’affidabile CryEngine che non per merito degli sviluppatori. L’impatto visivo è dignitoso, con discreti giochi di luce come i godrays al tramonto che danno un senso al ciclo giorno/notte. Graficamente, insomma, il titolo si salva, ma non pensiate che sia una meraviglia, tutt’altro. Gli screenshot sembrano molto più belli del gioco visto in movimento: i problemi di pop-up sono pesantissimi, per cui davanti ai vostri occhi vedrete in continuazione spawnare dal nulla alberi e rocce. Spesso e volentieri inoltre le texture non vengono caricate correttamente, per cui capita di vedere il proprio PG senza testa o parti del cielo verdi. Dulcis in fundo, Wander crasha continuamente, sia all’avvio sia alla chiusura del gioco, e se a questo aggiungiamo i bug e glitch sopra descritti la situazione diventa al limite dell’ingestibile.
Il sonoro non si schioda dalla mediocrità a causa di musiche estremamente rade ed effetti sonori blandi: correre su un pavimento di legno o su un manto erboso produce lo stesso rumore ovattato.
Vaga… ho detto VAGA!
Infine dedichiamo un paragrafo alla localizzazione in italiano di Wander. Il gioco è tradotto con Google Translate, letteralmente: basti pensare alla voce “Can’t move?” (pensata per quelle volte in cui il personaggio rimane stuckato nello scenario) tradotta con un improbabile “Non può muoversi?”.
Ma il meglio deve ancora arrivare. Dopo una mezz’ora di gioco premo il tasto Esc che mi porta al menu (tra l’altro estremamente scarno e con frasi tagliate a metà) e mi vedo comparire davanti un’enorme scritta “VAGA”. Perplesso, penso tra me e me che dev’essere una di quelle schermate di pausa che, oltre a servire da menu, ti dice anche cosa devi fare, come talvolta capitava nei giochi di una volta. Non è così. “Vaga” è la traduzione letterale di “wander”: il traduttore automatico ha tradotto anche il titolo del gioco, senza alcuna pietà per la nostra bella lingua.
Per carità, fa sempre piacere quando un gioco viene tradotto nell’italico idioma, ma se questa è la qualità allora è meglio lasciar perdere. Questo piccolo aneddoto dovrebbe bastare per far capire che in italiano Wander è uno scempio e va giocato in lingua originale. Anzi, non va giocato proprio.
– Concept di base interessante…
– Ambientazione suggestiva, nei primi 5 minuti
– Graficamente dignitoso
– Non siete costretti a giocarci
– … ma sfruttato malissimo
– Scelte di design folli
– Animazioni brutte, e tanto
– Impossibile rimappare i comandi
– Traduzione in italiano scandalosa
– Totale assenza di uno scopo a lungo termine
– Dove sono gli altri giocatori?
Wander fallisce in tutti gli obiettivi che si pone come MMO, come avventura libera e come esperienza immersiva, e rappresenta una grossa occasione sprecata per realizzare un originale gioco online non basato sul combattimento. Noioso, pressapochista, contenutisticamente povero e tecnicamente disastroso, Wander è definitivamente affossato dall’impossibilità di rimappare i già pessimi comandi e da scelte di design che rompono costantemente il gameplay. Fortemente sconsigliato, a meno che non siate malati cronici di insonnia: in quel caso un’ora passata a camminare per le tristi e vuote spiagge di Wander potrebbe davvero aiutarvi a cadere dolcemente tra le braccia di Morfeo.