Vediamo insieme perché.
Il gioco inizia col risveglio dopo un lungo sonno di Big Bot, un simpatico robot umanoide dalle forme molto morbide, che si riscopre essere l’ultimo droide ancora funzionante in un mondo post-apocalittico di stampo fantascientifico.
Vagando per le strutture delle città in rovina, il nostro novello WALL-E si ritroverà da solo tra decine di carcasse di robot ormai senza “vita”. Sconfortato ed abbattuto da questa esplorazione solitaria, incontrerà però sul suo cammino un piccolo robottino sperduto, Small Bot (la fantasia degli sceneggiatori è da Oscar), con il quale stringerà fin da subito un legame quasi materno. L’istinto di protezione del robot più adulto nei confronti del più fragile Small Bot farà quindi da motore per tutte le vicende di gioco, dove avremo modo di vedere i due androidi alle prese con le varie intemperie e le difficoltà derivanti dal vivere in un mondo ormai distrutto.
Le fonti di ispirazione del gioco sono chiare, ma allo stesso tempo richiamano alla mente scomodi paragoni. Lo stile della narrazione e alcune scelte di design ricordano lo splendido
To The Moon, rispetto al quale il gioco di Kodots Games risulta quasi parodistico; mentre il setting e la narrazione non testuale sembrano rifarsi al sorprendente
Machinarium, perla di Amanita Design che davvero non ha nulla in comune in quanto a qualità di realizzazione con questa infelice avventura.
“Il mio falegname con 30 mila lire la fa meglio…”
Passando ora ad analizzare il lato tecnico del titolo, non può sfuggire ad uno sguardo attento il tratteggio “a mano” di personaggi e fondali. L’effetto stilizzato purtroppo non convince e, complice anche la bassissima risoluzione fissa delle schermate di gioco, conferisce al prodotto un’aria trasandata e deprimente, che trasuda inesperienza e limiti di programmazione da ogni pixel.
Chiariamoci, molti fondali sarebbero pure apprezzabili e alcune location anche vagamente evocative, ma la povertà di dettagli, i colori slavati, la mancanza di profondità e di rilievo degli oggetti “solidi” vanno a minare ogni velleità artistica dei programmatori.
Il gioco, inoltre, non consente l’overlay di Steam, con tutto ciò che ne consegue, e supporta solo (molto) parzialmente i controller. Per di più, non è provvisto di un vero e proprio menu in-game e costringe il giocatore a uscire dalla partita usando F12 per tornare alla schermata principale.
Sommando tutti questi difetti, è chiaro come ci si trovi di fronte a un titolo che sembra più il mal riuscito esperimento di programmatori inesperti piuttosto che un titolo vero e proprio venduto per moneta sonante.
La struttura degli enigmi non è poi così catastrofica, anzi, ma si inserisce in un contesto fatto di comandi piuttosto scomodi ed un level design a dir poco basilare. I puzzle proposti sono pochi e sanno certamente di già visto, eppure risultano a volte stimolanti. È inoltre d’obbligo segnalare come gli enigmi siano tutti evitabili tramite l’apposito tasto “skip” (cosa che vi sconsigliamo caldamente), nel caso si incontrasse qualche difficoltà nel superarli, tradendo l’impostazione quasi da visual novel del titolo.
Un problema ben maggiore è invece quello inerente la scorrevolezza della storia narrata, che passa attraverso noiose transizioni, esplorazioni super-guidate e filmati ripetitivi e ammorbanti. Solo in pochi frangenti le scene illustrate riescono a coinvolgere il giocatore, mentre nella maggior parte dei casi risultano solo dei frustranti riempitivi tra un puzzle e l’altro. Inoltre, i due robot protagonisti del titolo risultano piatti e stereotipati, e il loro comunicare tramite testi indecifrabili e fastidiosi “grugniti” elettronici crea una barriera emotiva tra l’utente e i droidi da lui impersonati, rendendo difficile l’instaurazione di legami empatici. E in un gioco che fa della narrazione, come detto, il fulcro dell’intera esperienza sono difetti assolutamente imperdonabili.