Recensione

Wanda - A Beautiful Apocalypse

Avatar

a cura di Sir Drake

Gli indie, croce e delizia del videogiocatore moderno. Giochi spesso senza tante pretese, ma che sanno talvolta stupire con trame ispirate e gameplay non convenzionali. Altre volte, invece, ci si trova davanti ad opere nel migliore dei casi trascurabili, o addirittura pessime. Wanda – A Beautiful Apocalypse, ultima fatica di Kodots Games Studios, va purtroppo annoverata nella categoria di quei titoli neanche vagamente sufficienti, e destinati ad un più che meritato oblio.
È un gioco davvero “fragile”, che prova a far leva sui sentimenti dei giocatori per coprire le lacune di una realizzazione tecnica a dir poco deficitaria, ma che sfortunatamente non riesce nel suo intento per tanti, troppi motivi.
Vediamo insieme perché.

Io, Robot
Il gioco inizia col risveglio dopo un lungo sonno di Big Bot, un simpatico robot umanoide dalle forme molto morbide, che si riscopre essere l’ultimo droide ancora funzionante in un mondo post-apocalittico di stampo fantascientifico. 
Vagando per le strutture delle città in rovina, il nostro novello WALL-E si ritroverà da solo tra decine di carcasse di robot ormai senza “vita”. Sconfortato ed abbattuto da questa esplorazione solitaria, incontrerà però sul suo cammino un piccolo robottino sperduto, Small Bot (la fantasia degli sceneggiatori è da Oscar), con il quale stringerà fin da subito un legame quasi materno. L’istinto di protezione del robot più adulto nei confronti del più fragile Small Bot farà quindi da motore per tutte le vicende di gioco, dove avremo modo di vedere i due androidi alle prese con le varie intemperie e le difficoltà derivanti dal vivere in un mondo ormai distrutto.
Come appare lampante fin da subito, Wanda non si fregia certo di uno script d’autore, eppure la trama alla base dell’avventura, per quanto stereotipata e a volte stucchevole, è forse una delle poche cose vagamente accettabili dell’intero titolo, e in rari casi riesce quasi nel suo intento di far emozionare l’utente (sempre che la noia data dalla ripetitività di location e situazioni non l’abbia fatto prima assopire). Più che altro, a lasciare davvero a desiderare è il modo in cui la storia stessa viene a noi narrata.
Per quanto concerne il gameplay, il titolo cerca uno strano equilibrio a metà tra un puzzle game e un’avventura grafica, dove ad esplorazioni davvero fin troppo limitate e spesso frustranti – visti gli scomodi comandi e la confusione causata dai fondali – si alternano enigmi più o meno complessi. 
Le fonti di ispirazione del gioco sono chiare, ma allo stesso tempo richiamano alla mente scomodi paragoni. Lo stile della narrazione e alcune scelte di design ricordano lo splendido To The Moon, rispetto al quale il gioco di Kodots Games risulta quasi parodistico; mentre il setting e la narrazione non testuale sembrano rifarsi al sorprendente Machinarium, perla di Amanita Design che davvero non ha nulla in comune in quanto a qualità di realizzazione con questa infelice avventura.

“Il mio falegname con 30 mila lire la fa meglio…”
Passando ora ad analizzare il lato tecnico del titolo, non può sfuggire ad uno sguardo attento il tratteggio “a mano” di personaggi e fondali. L’effetto stilizzato purtroppo non convince e, complice anche la bassissima risoluzione fissa delle schermate di gioco, conferisce al prodotto un’aria trasandata e deprimente, che trasuda inesperienza e limiti di programmazione da ogni pixel.
Chiariamoci, molti fondali sarebbero pure apprezzabili e alcune location anche vagamente evocative, ma la povertà di dettagli, i colori slavati, la mancanza di profondità e di rilievo degli oggetti “solidi” vanno a minare ogni velleità artistica dei programmatori.
Il gioco, inoltre, non consente l’overlay di Steam, con tutto ciò che ne consegue, e supporta solo (molto) parzialmente i controller. Per di più, non è provvisto di un vero e proprio menu in-game e costringe il giocatore a uscire dalla partita usando F12 per tornare alla schermata principale.
Sommando tutti questi difetti, è chiaro come ci si trovi di fronte a un titolo che sembra più il mal riuscito esperimento di programmatori inesperti piuttosto che un titolo vero e proprio venduto per moneta sonante.
La struttura degli enigmi non è poi così catastrofica, anzi, ma si inserisce in un contesto fatto di comandi piuttosto scomodi ed un level design a dir poco basilare. I puzzle proposti sono pochi e sanno certamente di già visto, eppure risultano a volte stimolanti. È inoltre d’obbligo segnalare come gli enigmi siano tutti evitabili tramite l’apposito tasto “skip” (cosa che vi sconsigliamo caldamente), nel caso si incontrasse qualche difficoltà nel superarli, tradendo l’impostazione quasi da visual novel del titolo.
Un problema ben maggiore è invece quello inerente la scorrevolezza della storia narrata, che passa attraverso noiose transizioni, esplorazioni super-guidate e filmati ripetitivi e ammorbanti. Solo in pochi frangenti le scene illustrate riescono a coinvolgere il giocatore, mentre nella maggior parte dei casi risultano solo dei frustranti riempitivi tra un puzzle e l’altro. Inoltre, i due robot protagonisti del titolo risultano piatti e stereotipati, e il loro comunicare tramite testi indecifrabili e fastidiosi “grugniti” elettronici crea una barriera emotiva tra l’utente e i droidi da lui impersonati, rendendo difficile l’instaurazione di legami empatici. E in un gioco che fa della narrazione, come detto, il fulcro dell’intera esperienza sono difetti assolutamente imperdonabili.
Un pesce di nome Wanda
Questa “mirabolante” avventura, per fortuna, può essere conclusa in poche ore di gioco (2-3 al massimo). La rigiocabilità del titolo è praticamente assente, non essendoci alcun bivio narrativo nello svolgersi delle vicende di gioco, ma si tratta di un limite comune alla quasi totalità delle avventure grafiche vecchio stile.
L’unica nota lieta è rappresentata dalle musiche. Le melodie proposte sono davvero ispirate e convincenti, spesso dando dignità a scene altrimenti imbarazzanti in quanto a realizzazione tecnica. Quasi dispiace che i brani composti siano andati “persi” in un’opera di sicuro non all’altezza.
Arrivati alla conclusione della recensione, è chiaro come ci si trovi davanti a un prodotto assolutamente trascurabile, eppure sul finale il gioco riesce a strappare qualche emozione e a chiarire come alla base di quest’opera ci fosse comunque la volontà di narrare una storia che potesse far breccia nei cuori degli utenti. Purtroppo, è chiaro come proprio nello sviluppo di tali idee, per incapacità o inesperienza, gli autori del gioco abbiano certamente fallito.

HARDWARE

Sistema operativo: Windows XP/Vista/7/10 Processore: Intel® Pentium® 4 2.0 GHzMemoria: 512 MB di RAM Hard disk: 400 MB di spazio disponibile Scheda audio: DirectSound (scheda audio compatibile)

– Musiche ispirate

– Enigmi tutto sommato discreti

– Storia in alcuni momenti godibile…

– …ma per lo più scontata e noiosa

– Tecnicamente impresentabile

– Giocabilità ai minimi termini

– Dura davvero poco (per fortuna)

5.0

Sfortunatamente, non possiamo far altro che sconsigliare a chiunque l’acquisto di Wanda, avventura indie davvero deludente e poco ispirata. Un racconto che non lascerà alcuna traccia nel bagaglio delle vostre esperienze, a cui fa da pendant un gameplay stilizzato e solo a tratti capace di svolgere in modo adeguato il suo dovere.

Tra una realizzazione tecnica imbarazzante e una narrazione a tratti soporifera, meritano però una menzione d’onore le splendide musiche che accompagnano le vicende di gioco.

Se avete voglia di avventure brevi ma intense, che si concentrino sulla narrazione piuttosto che sul gameplay, il consiglio è quello di recuperare le opere di Freebirds Games e Amanita Design, a cui il titolo recensito attinge a piene mani, purtroppo senza riuscire a rielaborarne le esperienze in maniera compiuta.

Voto Recensione di Wanda - A Beautiful Apocalypse - Recensione


5

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