Recensione

Virtua fighter 3 team battle

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a cura di Evil God

Virtua fighter 3 team battleFu talmente ricca di insuccessi la storia del Saturn, la console che secondo la maggioranza delle menti videoludiche condannò al ridimensionamento una delle più grandi software house che la storia abbia conosciuto, che Sega fu costretta a sopprimere gli ultimi spiragli vitali del controverso sistema di gioco per favorire, l’allora neonato, Dreamcast.Un esempio lampante di quanto detto è rintracciabile nell’abbandono del progetto Model 3, un sostanzioso hardware upgrade che teoricamente avrebbe permesso a sistemi 32 bit di replicare perle fin troppo complesse per l’architettura originale come il terzo capitolo di Virtua fighter.Avendo quindi il primo nato della 128 bit ben più potenziale rispetto ad un semplice upgrade strutturale del Saturn, era auspicabile, se non altro, una perfetta conversione: mai supposizioni furono più sbagliate. Il lancio giapponese del Dreamcast fu accompagnato da una trasposizione tanto frettolosa quanto brutta, sotto ogni profilo tecnico o ludico preso in esame, deludendo enormemente ogni appassionato della serie.L’utopistico ariete di sfondamento di una potente e neonata macchina divenne pane per i detrattori che sostenevano fosse ancora troppo presto per osservare l’alba di una seconda generazione tridimensionale, criticando le reali potenzialità della console, paragonata più volte ad una Playstation, fino all’arrivo di quello che fu definito un miracolo tecnologico, ovvero Soul Calibur.Furono le molteplici critiche ricevute che indussero Suzuki a revisionare il proprio lavoro, limandone le caratteristiche in una “nuova” edizione curata per l’occidente, ricca di sostanziali miglioramenti rispetto alla versione nipponica.

Tecnicamente parlandoAll’uscita nelle sale giochi, Virtua fighter 3 rispecchiava i sogni più inconfessabili di ogni tecnofilo di fine millennio. Gli stupendi modelli poligonali, i compressissimi fondali e la presenza di effetti grafici di alto livello, come ombre dinamiche, corredavano quello che era il più estasiante spettacolo visivo che si fosse mai visto fino ad allora, grazie alle capacità della scheda da bar Model 3.Come già accennato, la conversione nipponica su Dreamcast, inspiegabilmente, non rese minimamente giustizia all’immenso capolavoro tecnico osservato in sala giochi riscontrabile nelle evidenti mancanze dei personaggi, spogli di poligoni e poveri di dettagli, nei fondali decisamente depauperati e nella mancanza di effetti importanti.In due anni di lavoro, che sono serviti a Suzuki per confezionare questa edizione occidentale, non potevano che esserci numerose migliorie rispetto all’orripilante versione asiatica.I personaggi, forti di ombre dinamiche e nuovi poligoni, ritornavano agli antichi fasti, sebbene non raggiungessero totalmente i livelli delle controparti da sala, e risultarono decisamente più adeguati al panorama di ultima generazione, sebbene nel 1999 gli standard erano altri ed erano dettati da Soul calibur. I fondali, d’altro canto, tornarono a splendere e tuttora risultano fra i più apprezzabili mai visti su Dreamcast, aumentando notevolmente la qualità visiva del picchiaduro in questione.Le composizioni e gli effetti sonori, abbastanza antiquati e decisamente meno ispirati rispetto al passato (ed al futuro fortunatamente), non riescono a compiacere totalmente l’appetito dei sostenitori della serie che, in genere, ritengono il reparto sonoro del terzo capitolo il peggiore fra i cinque.

Riguardo al gameplayOltre ad aggiungere una modalità 1 on 1 versus, inspiegabilmente assente nella edizione asiatica, questa versione occidentale offre la possibilità di scontrarsi in combattimenti a squadre (fino a 3 membri per squadra) nei quali sarà possibile ricorrere ad ogni membro del team senza imbattersi in fastidiose schermate di caricamento; una vera novità per l’epoca, considerata l’impossibilità per una console di gestire un fenomeno simile in un titolo 3D, data la povertà di ram con cui i programmatori erano soliti scontrarsi in precedenza.Altra caratteristica propria di questa edizione è da ricercare nel training mode, decisamente limato rispetto alla pessima incarnazione nipponica; sarà possibile programmare i movimenti e la posizione dell’avversario come fosse un robot ai nostri comandi o anche facendolo combattere, riportando finalmente sugli standard dettati da Tekken anche quest’ultima modalità.Per quanto riguarda il gameplay non vi sono state cruciali modifiche oltre all’arrivo di nuovi personaggi, purtroppo non caratterizzati secondo le aspettative (addirittura Taka-Arashi, l’unico lottatore di Sumo presente nel roster di Virtua fighter, non apparirà in altri episodi, in quanto del tutto inadatto alla serie) e non riescono ad integrarsi completamente con il resto dei combattenti, mostrando forti mancanze di personalità nello stile; anche se Aoi Umenokouji, nel quarto episodio della serie, evolverà quasi completamente il proprio stile, guadagnando moltissimo appeal.

Gameplay granitico come da tradizione

Fondali impressionanti

Team battle

superiore alla versione giapponese sotto tutti i punti di vista

Ancora lontani dall’arcade perfect

Modelli poligonali superati non all’altezza

Sonoro al di sotto delle aspettative

New entry poco carismatiche

E’ poco più di un update grafico…

8.0

Ci troviamo davanti al peggior episodio della serie. Una tappa non indispensabile nel panorama dei picchiaduro. Virtua fighter 3 non si dimostrò all’altezza delle aspettative di una serie che aveva fatto gridare al miracolo su Saturn, sebbene il riscatto arriverà qualche anno dopo con il quarto episodio, che rappresentò tutto ciò che il terzo capitolo avrebbe dovuto essere, riscattando gli AM2 e l’intera serie. Fatta questa premessa, è comunque innegabile che Virtua fighter 3 sia un picchiaduro di qualità e che, sempre che siate fan della serie, non dovreste vergognarvi di averne una copia in ludoteca, a patto che sia la versione occidentale.

Voto Recensione di Virtua fighter 3 team battle - Recensione


8

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