Recensione

Underground

Avatar

a cura di Aeffe87

Quando la valutazione negativa di un gioco troneggia così impietosa in cima alle nostre pagine, indorare la pillola al lettore con ricche introduzioni o preamboli di cuore è sempre impresa impegnativa per il recensore. È pur vero che, nel caso di Underground, i fatti relativi alla genesi del prodotto rappresentano l’unico aspetto vagamente curioso dell’intera questione, motivo per cui riteniamo valga la pena di sfruttarli per dare un briciolo di senso a quanto si scriverà a breve. Tutt’altro che caso isolato nella moderna industria del digital entertainment, il titolo Grendel Games è stato primariamente ideato e progettato per fini didattici, a uso e consumo, nello specifico, di praticanti medici specializzati in laparoscopia, particolare tecnica video-chirurgica volta a operazioni addominali scarsamente invasive. In tale contesto, il software del team olandese si è posto come una sorta di “passatempo professionale”, rivolto a chi desiderasse un po’ d’apprendistato extra sotto forma ludica. Non a caso, l’opera ha mostrato una certa vena sperimentale fin dal suo prototipo per Nintendo Wii, basato per di più sull’uso di un bizzarro set di due Wiimote collegati a una base comune, teso a simulare l’impiego dei ferri del mestiere in sala operatoria – tale adattatore è ancora in commercio sul sito Grendel, tra l’altro. Consci di non essere in grado di giudicare l’efficacia educativa di un software del genere, non possiamo però celare il nostro pensiero in quanto il gioco è ormai integralmente disponibile all’interno dell’eShop di Wii U nelle vesti di puzzle game dai tratti marcatamente casual, peraltro al prezzo non proprio irrisorio di € 19,99. Perché, da una nicchia di ricercatori e studenti a una più vasta platea di gamer, la via che porta all’accettazione non è poi così breve. E il divertimento, fattore chiave per la seconda categoria d’utenza, rischia alle volte di perdersi lungo il cammino. Purtroppo, Underground si pone come caso esemplare di questo processo mancato; i motivi son così numerosi che, sinceramente, non è facile nemmeno capire da dove iniziare a parlarne.

Intelligenza ArtificiosaGiusto per dare un minimo di background al tutto, il gioco è stato interamente ambientato nelle profondità del sottosuolo, lungo l’enorme distesa di gallerie e cunicoli dove il padre della giovane Sari è solito spedire i suoi robottini meno valorosi a sgobbare notte e dì. Il problema nasce nel momento in cui anche l’operato di Sw4nk, sorta di maggiordomo cibernetico della ragazza, viene valutato negativamente dall’intransigente vegliardo, il quale, di conseguenza, sbatte il malcapitato ai lavori in miniera senza possibilità d’appello. Sari, in un moto di profonda delusione, decide di ribellarsi al babbo scendendo nell’abisso alla ricerca di Sw4nk, il quale, dal canto suo, inizia ad adoperarsi per riportare in superficie quanti più altri robot possibile con l’ausilio di uno strambo macchinario dai lunghi arti, recuperato nei sotterranei in modo fortuito.Il titolo fa propria una formula puzzle abbondantemente sfruttata da una nutrita frangia di produzioni recenti, molte delle quali provenienti dal mercato mobile: sostanzialmente, in ciascun livello, composto da più porzioni contigue a inquadratura frontale lievemente rialzata, è indispensabile modificare lo scenario affinché gli omini di metallo riescano a raggiungere l’uscita indenni. Fin dal primo dei ventiquattro stage, l’utente viene messo al comando del trabiccolo di Sw4nk – del quale, in soggettiva, vedrà unicamente le lunghissime braccia – con l’obiettivo di manovrarla all’interno delle location 3D tramite le sole due levette analogiche del GamePad. Ciascun analogico muove la protesi del rispettivo lato in modo svincolato dall’altra, e con ognuna è possibile compiere, previa pressione del rispettivo dorsale del pad, fino a tre azioni differenti, da combinare o meno a seconda dell’evenienza. Dunque, la punta di ciascun braccio può trasformarsi all’uopo in trivella per frantumare le pietre che ostruiscono il tragitto, in saldatore per liberare i droidi dal ghiaccio o eliminare gli orrendi mostriciattoli avversari, o ancora in tenaglia per afferrare scalini, ascensori e passatoie utili a collegare lembi di terreno separati dal baratro. Per creare le piattaforme di transizione è indispensabile raccogliere i rottami di metallo sparsi sul terreno e gettarli in specifiche fornaci, dalle quali in seguito estrarre il pianale desiderato per infine collocarlo sul terreno.

Di fatto, i nostri assistiti dovrebbero spostarsi in maniera indipendente verso la fine del quadro in base al grado di transitabilità del percorso tracciato, ed è qui che sorge il primo, pesantissimo problema di Underground: essi, il più delle volte, rispondono ai suggerimenti del giocatore in modo del tutto irragionevole. Conseguenza di una programmazione dell’IA compagna evidentemente superficiale, faticheremmo a indicarvi con esattezza il numero di volte in cui ci siamo trovati a dover affrontare da capo alcuni stage poiché i robot, neanche fossero colti dalla peggior forma di labirintite, non sono stati capaci di riconoscere il tragitto da noi creato, pur logico e lineare che fosse. Tra un immobilismo dei NPC spesse volte ingiustificato e barriere invisibili che ne negano l’avanzamento, fare previsioni sulle regole interne che il software seguirà dopo ogni input diventa sovente un vero e proprio terno al lotto. Un duro colpo alla giocabilità viene poi inferto dal control system, deficitario fin dalla gestione delle due braccia artificiali. Figlio di quella pratica chirurgica per la quale è stato originariamente progettato, lo spostamento delle due aste elettroniche è perennemente lento e macchinoso, il che tende ad abbassare irrimediabilmente il ritmo di gioco generale e a rendere la risoluzione di ogni rompicapo un salasso. Forse, in questo senso, un impiego attivo delle funzionalità tattili del GamePad avrebbe contribuito a snellire l’azione, laddove il touchscreen si limita invece a consentire lo switch dei tre tool sopracitati, senza alcun altro impiego creativo. Ancora, muovere i due lunghissimi arti attiva automaticamente, in determinate circostanze, uno zoom in avanti della camera virtuale, pensato probabilmente per facilitare la raccolta degli oggetti spazialmente più lontani. Tuttavia, anche sotto questo aspetto, la funzione si dimostra più fastidiosa che pratica, in quanto, non essendo chiaro secondo quale criterio la telecamera vada effettivamente a zoomare, ci si ritrova spesso a fare i conti con inquadrature strette su porzioni di scenario su cui non si voleva porre attenzione. Il risultato è un in-game perlopiù confuso e frammentato, in cui si passa più tempo a cercare di capire come svicolare dai disastri di programmazione piuttosto che concentrarsi sugli enigmi da portare a termine.

Un Inferno in (o meglio, sotto) terraGiunti a questo punto, avrete certamente capito che completare Underground non sia l’esatto equivalente di una piacevole scampagnata, non tanto per la difficoltà delle sfide logiche che caratterizzano l’esperienza, quanto per le numerose magagne di sviluppo contro cui si andrà a sbattere continuamente il grugno. Se nel corso dei primi due mondi – sorta di giganteschi tutorial con scenari medio-brevi – il problema, pur irritante, non è del tutto insormontabile, la questione si fa invece ben più concreta nella seconda metà dell’avventura. Infatti, col tempo, le location s’ingrandiscono esponenzialmente, e viver nel timore di dover riavviare il livello in fase di puzzle solving avanzato per demeriti non propri, vi assicuriamo, diventa ben presto un tedio insopportabile. Dove l’esperienza si fa molesta in termini di gameplay, ci si aspetterebbe quantomeno un po’ di gradevolezza dal punto di vista visivo; vana speranza, in quanto l’engine che presidia la produzione Grendel arranca vistosamente in più occasioni. Tralasciando l’instabilità del frame rate, il comparto tecnico del titolo stenta a brillare perfino se rapportato a prodotti di due o tre generazioni addietro, sgradevole nei modelli dei personaggi e nell’applicazione delle texture, legnoso nelle animazioni e minato da compenetrazioni poligonali che risaltano grottescamente nei momenti di gioco meno opportuni. Tutto da buttare, quindi? La colonna sonora è forse l’unico elemento a salvarsi in questo vasto assortimento di orrori e lacune. I brani orchestrali che la compongono non sono numerosissimi, ma creano un sottofondo adeguato al contesto di gioco. Comunque, dubitiamo che questa lieve nota di positività possa spingervi all’acquisto. Lungi da noi consigliarvelo, peraltro.

– Colonna sonora dignitosa

– Se avete venti euro in tasca, potete impiegarli in altro modo (o tenerveli)

– IA dei robot agghiacciante

– Sistema di controllo scomodo e macchinoso

– Gameplay eccessivamente lento e tedioso

– Gestione della telecamera problematica

– Uso dello schermo touch pigro e pretestuoso

4.0

Nel passaggio da software per la pratica chirurgica a videogioco di massa, qualcosa, in Underground, è andato irrimediabilmente storto. Oltre a poggiare su una formula ludica abusata e francamente ripetitiva, il rompicapo targato Grendel Games si dimostra agonizzante sotto l’intero profilo tecnico, effetto, in primis, di un’intelligenza artificiale scriteriata e di un sistema di controllo ingombrante e macchinoso. I venti euro richiesti per l’acquisto sono evidentemente fuori luogo, specie perché, nella libreria digitale della casalinga Nintendo, offerte puzzle più dignitose – oltre che economiche – non mancano di certo. In relazione al livello qualitativo del prodotto, “Underground” dimostra di essere un nome tristemente profetico e azzeccato.

Voto Recensione di Underground - Recensione


4

Leggi altri articoli