Quando passi da Kickstarter chiedendo 900.000 dollari e finisci con il racimolarne oltre quattro milioni, ti cuci addosso l’etichetta di successore spirituale di quello che da molti è considerato il miglior gioco di ruolo occidentale di tutti i tempi (Planescape Torment), postponi l’uscita di oltre due anni, ambienti il tuo nuovo gioco nell’universo creato da un certo Monte Cook e, per finire, susciti un vespaio di polemiche per non aver rispettato fino in fondo le promesse fatte in sede di crowdfunding, hai creato una colonna di fumo visibile anche dalla luna.
Dopo averlo già fatto con la versione Early Access, ci siamo persi per le contorte strade di Numenera anche nella loro versione finale, per vedere se, oltre a tanto fumo, in Torment – Tides of Numenera ci fosse anche l’arrosto e, in caso affermativo, che sapore avesse: se, come noi, avete l’acquolina in bocca dopo il recente rinascimento dei giochi di ruolo classici, è arrivato il momento di assaggiare una delle pietanze più attese del 2017.
Il prezzo di ingannare la morte
Ingannare la morte è uno degli obiettivi principali dell’uomo sin dai suoi primi vagiti: l’unico antidoto alla paura del dopo, però, non è alla portata di tutti, e solo in un futuro non meglio precisato, in un mondo che sembra essere morto e rinato decine di volte, un mortale sembra esserci riuscito.
Egli trasferisce la sua coscienza da un corpo all’altro, vivendo infinite volte e serbando intatti i ricordi delle esperienze fatte, delle persone conosciute e dei luoghi visitati, tanto da guadagnarsi, nel tempo, l’appellativo di Changing God, il dio cangiante.
Oltre che prolungare innaturalmente il proprio ciclo vitale, il Changing God genera vita come farebbe un creatore, visto che, ogni volta che lascia un corpo, in questo si sviluppa una coscienza nuova, che prende possesso delle spoglie ed è libera di condurre l’esistenza che preferisce.
In principio, il legame tra il dio cangiante e i cosiddetti Castoff è paragonabile a quello che unirebbe un padre e dei figli: il primo si prende cura di loro, e questi ultimi lo seguono come un messia, senza mai metterne in dubbio decisioni e leadership.
Il passaggio dei secoli, però sembra allontanare sempre più il padre dai loro figli, le cui fila si ingrossano a dismisura, e tra questi ultimi, abbandonati a se stessi, inizia a serpeggiare il malumore: una nutrita fazione decide di seguire the First, ovvero la prima Castoff di tutti i tempi, in una guerra senza fine contro il Changing God e coloro che gli sono rimasti fedeli.
L’immortalità degli attori e il sostanziale bilanciamento delle due forze in campo fanno guadagnare allo scontro il nome di Endless Battle, cui, sotto forma di mercenari e spade assoldate, prendono parte anche altre razze, umanoidi, meccaniche e mutanti.
Ingannare la morte, però, ha sempre un prezzo, e questa volta il prezzo ha tentacoli e denti: un’entità maligna, dalla potenza sconfinata, si è messa sulle tracce del Changing God e di tutti i suoi figli, decisa a porre fine alle loro esistenze nel modo più cruento possibile.
Proprio con questa mostruosità, chiamata The Sorrow, il nostro avatar dovrà brevemente confrontarsi a pochi minuti dallo scorrere dei titoli di testa, solo per giungere alla conclusione che l’unica soluzione è la fuga.
In Torment, vestiremo i panni del Last Castoff, il più giovane dei figliocci del Changing God, che prende coscienza di sé proprio mentre sta precipitando dal cielo, chiuso all’interno di una capsula che, per sua fortuna, lo protegge dall’urto tremendo e lo mantiene in vita.
Di qui, e dal repentino incontro con due dei sei possibili compagni di viaggio, l’enigmatica Callistege e il tormentato Aligern, ha inizio un viaggio memorabile, tra le dicotomie e le bruttezze del Ninth World, un inglorioso collage di molte delle precedenti civiltà, innalzatesi solo per poi crollare miseramente.
In un coacervo di razze, usi, e culti, attraverso location che spaziano da città fluttuanti alle pulsanti interiora di un semidio, Torment abbandona il giocatore in un universo che attende impazientemente di essere esplorato, popolato da decine di personaggi non giocanti dal fascino indiscutibile, ognuno con una storia da raccontare, molti dei quali meriterebbero un gioco dedicato.
Che si tratti di trovare un assassino misterioso, di aprire varchi interdimensionali, di prendere posizione nell’eterna lotta tra le due fazioni di Castoff o, banalmente, di proteggere una ragazzina finita in un giro piuttosto losco, l’ultima fatica di inXile sfoggia descrizioni e dialoghi degni della migliore narrativa cartacea, pur specchiandosi un po’ troppo nel piacere di scendere nei dettagli più insignificanti.
Le vette di Planescape Torment rimangono ineguagliate, ma non sono nemmeno così lontane: al lancio del gioco, la sensazione costante è quella di entrare in un mondo altro, che esisteva prima dell’avventura che saremo chiamati a vivere in prima persona e che esisterà anche dopo, qualunque scelta si decida di prendere.
Ogni dialogo può dare la stura ad una serie di quest una più brillante dell’altra, ogni decisione può influire sul finale e sulla vita o la morte di uno o più personaggi, e, soprattutto, ogni volta che saranno sguainate le armi le conseguenze saranno gravi.
Non crediamo di esagerare nell’affermare che Torment sia uno dei titoli narrativamente più significativi delle ultime due o tre generazioni di hardware: il rovescio della medaglia, inevitabilmente, è insito in una certa mancanza di ritmo, derivata dalla miriade di testi da leggere, peraltro incredibilmente densi, solo in lingua inglese e con un doppiaggio assai limitato.
Il potere del verbo
Sebbene, all’apparenza, Torment vada ad ingrossare il filone dei cRPG che abbiamo visto rifiorire negli ultimi anni, la sua ossatura ludica si rivela sensibilmente differente, tanto nella creazione del personaggio e nel suo sistema di crescita, quanto nel controllo del party in senso più ampio.
Le statistiche di base e le classi selezionabili sono soltanto tre: i Nano, equiparabili ai maghi dei congeneri, hanno la loro ragion d’essere nell’intelligenza, i Glaive, sorta di guerrieri, nella forza e i Jack, simili a ladri, nella velocità.
Ognuno dei personaggi che controlleremo possiede un valore numerico per tutti e tre questi parametri ed esso, oltre a rappresentare la statistica corrispondente, funge anche da serbatoio cui attingere per svolgere determinate funzioni: aprire un lucchetto richiede di spendere punti in velocità, sfondare una porta necessita di uno sforzo fisico, tanto quanto persuadere un NPC richiede di usare la materia grigia.
Oltre che spendendo oggetti curativi, i personaggi potranno ripristinare questi serbatoi semplicemente dormendo, e, in ogni caso, la presenza dell’alea non è del tutto scongiurata, proprio come se, giocando di ruolo, si tirasse un dado per determinare la riuscita di un’azione: generalmente le percentuali mostrate si dimostrano affidabili, ma, come ricorda una delle schermate di caricamento, in Torment fallire può significare aprire una nuovo ventaglio di possibilità inesplorate.
Il sistema di dialoghi ramificati e scelte multiple, oltre a donare rigiocabilità al prodotto, permette di dare forma all’universo di gioco in maniera incredibile, tanto che, per apprezzare il peso e le conseguenze delle nostre scelte, siamo più volte tornati sui nostri passi, mettendo la trama principale in standby.
Il fatto che il combattimento non porti alcun tipo di ricompensa, se non l’equipaggiamento che è possibile strappare dai freddi cadaveri dei nemici sconfitti, la dice lunga sull’impostazione che inXile ha dato alla sua creatura: lo scontro armato non è solo caldamente sconsigliato in moltissime circostanze (per manifesta inferiorità numerica, per non incorrere in sanzioni o essere arrestati), ma non è quasi mai imposto nemmeno dal gioco, se non per poche missioni secondarie e un paio di quelle principali.
Nonostante un Glaive torni comodo nei rari casi in cui ci sia da menare le mani, allora, costruire un personaggio che eccelle in doti come la capacità di persuasione, l’intimidazione o l’abilità nell’ingannare i nemici paga sul medio e lungo termine, consentendo di sbloccare centinaia di dialoghi opzionali e risolvere anche le situazioni più disperate senza spargimenti di sangue.
Peccato, allora, che, come molti titoli dalla forte impronta narrativa, Torment impedisca di influire davvero sulla build del proprio alter ego e, ancor di più, su quella dei compagni di viaggio: al passaggio di livello, che avviene con una certa frequenza, è sì possibile scegliere come investire i punti ottenuti, ma da una lista molto limitata di opzioni, che non si rinnovano se non al passaggio al “tier” successivo, ovvero ogni cinque o sei livelli.
Questo toglie importanza alle decisioni del giocatore, che si troverà, semplicemente, a scegliere quale abilità ottenere prima o quale statistica aumentare, in maniera alquanto passiva.
Ancora meno libertà viene concessa quando si tratta dei companion: oltre a non poterne cambiare l’equipaggiamento di base, che si potrà solo potenziare un paio di volte durante il corso dell’avventura, il giocatore si trova costretto a scegliere chi portarsi dietro più sulla base dei ruoli assegnati e delle abilità specifiche che non dell’empatia sviluppatasi.
Durante il nostro playthrough, ci siamo visti costretti a lasciare indietro due personaggi reclutabili e sostituirli con altri più utili alla causa, per non rischiare di avere un party sbilanciato e disporre di sufficienti poteri curativi.
Questa pochezza di opzioni tattiche si riflette, inevitabilmente, anche sull’andamento delle battaglie, soprattutto durante la prima metà dell’avventura, quando, con un numero esiguo di skill a disposizione, gli scontri si alternano l’uno simile all’altro, senza lasciare il segno.
Le cose vanno decisamente meglio in alcune quest secondarie e nella seconda metà, quando il gioco sembra divertirsi a mettere il party in condizioni difficili, vincolando la vittoria a specifici obiettivi piuttosto che alla semplice eliminazione di tutti gli avversari.
Il combat system è a turni, con l’alternanza di nemici ed alleati sempre visibile nella parte alta dello schermo, regolata dai singoli valori di velocità; abbiamo particolarmente gradito la presenza del fuoco amico, che controbilancia la spropositata potenza di alcuni degli incantesimi ad area dei Nano, che avrebbero altrimenti sbilanciato pesantemente l’esperienza di gioco e il livello di sfida.
Quest’ultimo risulta comunque risulta abbastanza limitato, anche in considerazione del fatto che il protagonista è immortale, e si risveglia all’interno della sua mente quando incontra una prematura dipartita.
Strong in Unity
Torment si appoggia allo stesso motore utilizzato da Pillars of Eternity e Tyranny prima di lui, ovvero una versione modificata dell’Unity engine, flessibile e solido ma non certo spettacolare in quanto a performance.
Se, infatti, la quasi interezza degli utenti PC dovrebbe avere la possibilità di godere del prodotto, visti i bassi requisiti di sistema che la scelta di Unity garantisce, la potenza del motore è limitata, sebbene svolga egregiamente il compito, visto che si parla di un gioco di ruolo a turni con visuale isometrica.
Ciò che davvero distingue l’ultima fatica InXile dalla massa è la stupefacente direzione artistica, che tratteggia con maestria un mondo pieno di contraddizioni, incoerente nelle sue architetture, frutto del susseguirsi di civiltà nate sulle ceneri di quelle precedenti, come una tavola da pranzo a cui si sono succeduti troppi commensali.
Relitti di civiltà perdute vengono scambiati e rivenduti, ignorandone la funzione e il reale valore, case malridotte sorgono sulle fondamenta di edifici misteriosi, antri sotterranei diventano un rifugio per ogni specie di reietto: ogni angolo del mondo di gioco sembra aver qualcosa da raccontare.
Già dal primo centro abitato visitato, Sagus Cliffs, appare evidente la multiculturalità di un mondo nel quale convivono decine di razze, in cui la necrofagia e la schiavitù sono socialmente accettate, in cui non è raro incrociare per strada macchine senzienti o strane creature albine.
Dove molti giochi di ruolo di stampo occidentale si accontentano di proporre un mondo coeso e coerente, Torment non ha paura di giocare con il tempo e con lo spazio, di puntare sulla forza delle illustrazioni statiche, di doppiare (anche se molto bene) solamente una piccola parte del milione e duecentomila vocaboli inseriti, di proporre un bestiario sì numericamente limitato ma assai vario ed ispirato.
L’aspetto visivo, insomma, si rivela il bastone ideale della storia, dei personaggi, di un setting che sprizza fascino da tutti i pori, e, pur cedendo di fronte alle produzioni multimilionarie cui il mercato ci sta abituando, incarna perfettamente lo stile e il tono delle produzioni di inizio millennio cui il team di sviluppo non ha mai fatto mistero di ispirarsi.
Il codice da noi testato, peraltro, si è rivelato sorprendentemente stabile: al netto di qualche sporadico problema di pathfinding dei compagni di viaggio, non abbiamo riscontrato cali di framerate, crash al desktop, o bug degni di nota, un risultato non da poco visti l’ambizione del prodotto e l’abnorme quantità di testo.
Crediamo che la versatilità e la solidità di Unity lo rendano la piattaforma perfetta per progetti di questo tipo anche per il futuro prossimo, e che, se mai ce ne fosse bisogno, Torment ribadisca che in un videogioco l’aspetto artistico conta almeno quanto quello meramente tecnico.
– Mondo pulsante in cui perdersi
– Decine di quest secondarie di grande spessore
– Gioco di ruolo nel senso più puro del termine
– Longevo e rigiocabile
– Scarsa personalizzazione del party e della battaglie
– Manca di ritmo
– Mai come stavolta pesa la mancata localizzazione
Come per l’illustre predecessore a cui il team di sviluppo si è dichiaratamente ispirato, Torment Tides of Numenera non è un gioco per tutti, lento com’è nell’incedere, dotato di un sistema di combattimento buono ma non eccezionale e di limitate possibilità di personalizzazione del party.
A monte di tutto ciò, l’assenza della sottotitolazione italiana e la complessità della trama e delle tematiche trattate rappresentano un ulteriore ostacolo alla fruizione del prodotto.
Nondimeno, coloro i quali sapranno digerire queste caratteristiche, peculiari nella nouvelle vague di giochi di ruolo con visuale isometrica, troveranno un’avventura meravigliosamente scritta, un mondo di gioco dalla profondità e dalla varietà incredibili e una manciata di personaggi cui sarà impossibile non affezionarsi.
Se conservate ricordi piacevoli delle nottate passate a giocare di ruolo con carta, penna, birra (o coca per gli astemi) e tanti amici, l’ultima fatica inXile saprà regalarvi moltissime soddisfazioni.
Se, invece, non cercate altro che il miglior gioco di ruolo sviluppato con Unity, la vostra scelta dovrebbe ancora cadere su Pillars of Eternity.