Recensione

Titan Quest - Il ritorno dei titani

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

A ben dodici anni di distanza dal debutto sul mercato, avvenuto in quella che sembra ormai un’altra era geologica, Titan Quest giunge su console di attuale generazione (Switch compresa), sull’onda del porting fatto nel 2016 su sistemi iOS.
Quello che un tempo era uno dei maggiori contendenti per il trono detenuto da Diablo di Blizzard, oggi è un hack’n’slash con visuale isometrica che si presenta ai blocchi di partenza con una grafica un po’ datata, ma una quantità di contenuti invidiabile e un gameplay rodato e solido. Ci siamo sollazzati per voi con la versione per l’ammiraglia Sony, e non vediamo l’ora di dirvi com’è andata.
Questa (non) è Sparta!
Il sottile intreccio narrativo alla base di questa versione di Titan Quest è il medesimo di quello originale, e vede il giocatore calato nei panni di un protagonista (del quale non può che decidere sesso e nome) che si trova, suo malgrado, nell’occhio del ciclone di una Grecia squassata dall’invasione di mostri e bestie mitologiche, causata dall’ennesimo dissapore tra gli umani e gli dei, tanto potenti quanto volubili.
Se in questo genere di prodotti la trama riveste spesso un ruolo marginale, all’epoca il prodotto Ironlore fu apprezzato proprio per il suo tentativo di mettere in scena vicende interessanti, che, poggiandosi un un background narrativo innegabilmente florido come quello dell’antica Grecia, potesse offrire qualcosa di più di una semplice scusa per ammazzare orde di nemici senza sosta. Oggi, a dodici anni dalla prima pubblicazione, con il medium videoludico che ha fatto passi da gigante in termini di profondità delle storie narrate e caratterizzazione dei personaggi, lo sforzo del team di sviluppo originario pare risibile, con dialoghi poco ispirati, quest secondarie abbastanza banali e una narrazione minata dalla scelta di fornire sottotitoli dal carattere minuscolo, praticamente illeggibili in una configurazione di gioco da salotto, con il giocatore sul divano ad almeno un metro e mezzo dallo schermo.
Noi, nonostante gli oltre cinquanta pollici dello schermo in dotazione e una vista che non abbisogna di occhiali, ci siamo affidati al doppiaggio inglese per seguire il plot, vista la quasi totale inutilità delle minuscole scritte.
Ad ogni modo, l’avanzamento durante la quest principale sarà scandito da missioni abbastanza canoniche per il genere di riferimento, arricchite solamente dai continui riferimenti alla mitologia greca, che saranno ricordati con piacere da tutti i nostri lettori che non hanno frequentato il liceo classico. Di certo non giocherete a questa riedizione per lo spessore dei personaggi o la bontà del lavoro di sceneggiatura, ma la trama, in fondo, è la meno colpevole della debacle finale.
Invecchiare maluccio
Anche quando si passa ad analizzare le meccaniche di gioco sembra che si sia fatto tutto il possibile per far fare al gioco una brutta figura: innanzitutto ci è sembrato che nel passaggio dal PC al controllo via pad le hitbox siano andate completamente a farsi benedire, con una quantità enorme di colpi andati a vuoto rispetto alla controparte per personal computer: questo causa combattimenti tragicomici, in cui si sosta per un minuto e mezzo dinanzi al nemico di turno menando fendenti all’aria e colpendolo una volta ogni tre. Ucciso un nemico, in caso si continui a premere il tasto adibito all’attacco (il quadrato, nella versione PS4 oggetto di questa recensione), il nostro avatar si porterà in automatico a portata del successivo, scegliendo spesso (per non dire quasi sempre) il meno azzeccato. Se a questa situazione si aggiungono cali di framerate e boss che richiedono pochissima finezza tattica e una corposa scorta di pozioni della salute, ecco che il quadro generale risulta abbastanza deprimente. Ed è un peccato, perché qualcosa di buono, a ben guardare, c’è, ma proviene tutta dal lavoro originale svolto dodici anni or sono e non da quello recente di riadattamento: il sistema delle maestrie, che aiuta a specializzare il proprio personaggio e favorisce la rigiocabilità del titolo (non è infatti possibile specializzarsi in ognuna di esse in una singola run), funziona ancora benone, consentendo di personalizzare il proprio alter ego come si preferisce, puntando sul corpo a corpo (Maestria del Combattimento) oppure di evocare non morti da scagliare contro i nemici (Maestria dello Spirito), senza dimenticare le capacità curative (Maestria della Natura) e quelle con arco e frecce (Maestria della Caccia).
Quando si arriva al momento di spendere i punti abilità faticosamente conquistati portando a termine quest principali e secondarie, il prodotto Ironlore si apre in tutta la sua complessità, facendo dimenticare, per un istante, tutte le problematiche fin qui citate. Cervellotica anche la scelta di includere l’espansione Immortal Throne, che ispessisce la già corposa offerta contenutistica, ma non l’altra, intitolata Ragnarok, di pubblicazione decisamente più recente.
La possibilità di giocare in co-op online fino a sei giocatori, pur benvenuta, non giustifica, infine, il prezzo richiesto, di circa dieci euro più alto della controparte PC, che offre anche le mod e l’editor dei livelli, assenti dalla release console al momento di redigere questo articolo. Per coloro i quali avessero già sbirciato il voto non esaltante a fondo pagina, ci teniamo a sottolineare, se non si fosse evinto dalla recensione fin qui, che l’insufficienza non riguarda il gioco in sé, che nella sua forma migliore avrebbe meritato una sufficienza piena, quanto piuttosto il pessimo lavoro svolto in fase di conversione, che costringe l’utenza console a doversi accontentare di una versione largamente inferiore alle attese e a quella disponibile su PC.
Non avvicinate quella telecamera
Il versante tecnico del prodotto è, senza mezzi termini, disastroso: il lavoro di svecchiamento ed adeguamento del titolo agli standard odierni è quasi del tutto assente, e, anzi, a molti dei problemi del titolo originale si aggiungono glitch nuovi di zecca, a formare una situazione francamente inaccettabile per l’utenza dell’ammiraglia Sony (sulla quale è stata effettuata la nostra prova). Costruzione, quantità e modellazione poligonale sono largamente insufficienti, e ricordano costantemente la data di uscita del prodotto e il fatto che , anche allora, esso non si fosse distinto sotto il profilo tecnico: la telecamera, di default, è non a caso molto lontana dall’azione, così da celare animazioni grossolane, continue compenetrazioni poligonali, una fisica dei colpi quantomeno discutibile e texture agghiaccianti, che provengono dritte dal periodo in cui avere 512 MB di ram su PC era considerato un lusso. I nostri lettori più affezionati sapranno che consideriamo l’aspetto tecnico di un videogioco una componente secondaria rispetto alla giocabilità e alla narrativa, ma c’è un limite a tutto: se a Titan Quest fosse stato riservato un trattamento equo, aggiornandone la grafica, aggiungendo frame di animazione e smussando parecchi spigoli (non solo figurati…) non avremmo sottolineato la cosa, perché un titolo di oltre una decade fa rimane tale e non andrebbe giudicato per l’epoca in cui è stato partorito.
In questo caso, però, si è pensato, pigramente, di riproporre senza aggiunte di rilievo, a parte l’ovvio innalzamento della risoluzione, un prodotto che invece avrebbe necessitato di interventi consistenti, sull’onda di quelli fatti, giusto per fare un esempio, su Shadow of the Colossus o, volendosi accontentare, su Secret of Mana, che ha sì deluso dal punto di vista del divertimento puro ma ha saputo proporre un adattamento visivo qualitativamente più che degno.
A questa colpevole assenza di interventi si aggiungono problematiche inedite, probabilmente figlie di una sporcizia del codice che potrebbe essere risolta con una manciata di patch, che nondimeno ci troviamo costretti a segnalare.
Ce n’è per tutti i gusti, dal diffuso caricamento ritardato delle poverissime texture di superficie, a sporadici rallentamenti in occasione delle battaglie più affollate, senza dimenticare frequenti fenomeni di pop-in e pop-up anche importanti, che portano elementi dello scenario di dimensioni ragguardevoli (come costruzioni in muratura, alberi e persino NPC) ad apparire dinanzi al giocatore dal nulla, laddove, un istante prima, non c’era che spazio vuoto.
In un solo colpo, quindi, il team responsabile di questa “nuova” versione è riuscito a mancare di rispetto tanto al prodotto originale, che all’epoca rappresentava una più che valida alternativa allo strapotere dei due Diablo di Blizzard, quanto al pubblico delle odierne console, che non dovrebbe veder girare prodotti così trasandati sulle stesse macchine che ci hanno regalato spettacoli visivi come quelli di The Witcher Wild Hunt e Horizon Zero Dawn.

Il titolo originale era solido e duraturo…

…ma il trattamento che gli è stato riservato è tremendo

Esteticamente indietro di due generazioni e mezza

Hitbox confusionarie

Interfaccia farraginosa su pad

Codice decisamente sporco

5.0

Da sua maestà Diablo III ai titoli dedicati a Van Helsing, dall’eccellente (e gratuito) Path of Exile su Xbox One, passando per Victor Vran: ci sono numerosi titoli assai più meritevoli di questa versione sbiadita di Titan Quest, un prodotto originariamente solido e longevo, dotato anche di un’ambientazione affascinante, cui è stato però riservato un trattamento tutt’altro che rispettoso.

Nonostante la grande quantità di contenuti e il fatto che le meccaniche di gioco siano invecchiate discretamente, fatichiamo a consigliarne l’acquisto, quantomeno allo stato attuale delle cose, senza che alcuna patch correttiva sia intervenuta per alleviarne i numerosi problemi tecnici.

L’ondata di rimasterizzazioni e remake degli ultimi anni ha dimostrato, oltre ad una cronica carenza di idee dell’industria, che questi possono essere confezionati con amore e passione, divenendo un acquisto quasi obbligato: questo, ahinoi, non è il caso del prodotto THQ Nordic.

Voto Recensione di Titan Quest - Il ritorno dei titani - Recensione


5

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