Quando uscì su Steam,
The Swapper riuscì a dimostrare a una community ancora poco fiduciosa verso gli indie con quanto coraggio si potessero trattare argomenti complessi e inconsueti anche attraverso un genere che, solitamente, non è esattamente il più gettonato per farlo. Vedere dispiegarsi davanti ai propri occhi tematiche che abbracciano la disperazione esistenziale, all’interno di quello che in sostanza è un puzzle game, è in effetti raro e quasi inaspettato. Eppure,
The Swapper riesce a farlo magnificamente.
Lost in space
Vi ritroverete improvvisamente da soli nello spazio, abbandonati a voi stessi, senza nessuno attorno, senza niente a darvi speranza. La particolare avventura di Facepalm Games si apre senza fretta, attraverso degli stralci di informazioni sedimentati in delle strane rocce, da dove la voce di un’antica civiltà sembra parlarvi direttamente in testa. L’isolamento obbligato, in
The Swapper, è anche il vostro compagno più fedele, e mentre vi sposterete lungo gli scenari, non potrete fare a meno di capire quanta profondità ci sia nel sostrato narrativo di questa incredibile perla. La bellezza di
The Swapper sta soprattutto nella capacità degli sviluppatori di legare a doppio filo le meccaniche di gioco ai temi fortemente metafisici e filosofici che ammantano la produzione. Approcciarsi alle dinamiche offerte, infatti, significa automaticamente essere pronti ad accettare le implicazioni che ne derivano: ecco dunque che il ciclico ripetersi della morte e della trasmigrazione dell’anima si trasformano da meccaniche basilari, a grossi interrogativi sul valore della vita e sull’interiorità dell’individuo. Detto così, potrebbe quasi sembrare assurdo o difficile da capire, ma già dai primi momenti in cui muoverete il vostro astronauta lungo le vacue ambientazioni in cui risuona persistente l’assordante rumore del vuoto, capirete perché è stato dato così tanto peso al particolare modo di risolvere i puzzle ambientali. Bisogna innanzitutto premettere che
The Swapper prevede un avanzamento a compartimenti stagni, con la risoluzione di rompicapi che vanno complicandosi in modo armonico, senza presentare picchi in cui l’utente si sente realmente frustrato. Il titolo del gioco si riferisce al dispositivo col quale entrerete in contatto sin da subito: un marchingegno futuristico che permette di creare fino a quattro repliche di voi stessi, capaci di eseguire diligentemente gli stessi movimenti di chi state controllando, come se fossero dei cyborg programmati per imitarvi.
L’essenza
Il raggio verso cui direzionare i vostri cloni non può ovviamente attraversare le pareti, ma può essere rivolto in ogni punto, soprattutto nelle zone in cui altrimenti non potreste arrivare. Molto spesso, dato che non basterà far eseguire gli spostamenti alle vostre repliche, vi toccherà trasferire la vostra coscienza dal corpo che stavate controllando a quello che poco prima era un clone. Ciò, significa trasformare voi stessi in un involucro facilmente sacrificabile, pertanto capiterà di frequente vedere il vostro vecchio corpo cadere da grandi altezze e schiantarsi al suolo in posizioni innaturali, o di testimoniare decessi di altro genere. Vi ritroverete dunque a pensare a quale sia realmente il valore di una vita, a quale sia la reale essenza di un essere vivente, alla sua interiorità e alla metempsicosi anticipata che riduce un corpo a un ammasso cellulare privo di rilevanza. In altri giochi non sarete portati a badarci più di tanto, ma i messaggi che troverete lungo gli scenari, quelle parole ora striscianti e sibilline, ora solenni, toccheranno le vostre corde più profonde, stimolate anche da una colonna sonora a dir poco magnifica, vibrante e a tratti drammatica. Risolvere i puzzle essendo costretti a creare cloni, usarli, e poi ucciderli, apre a riflessioni profonde, e sebbene tutto sommato si tratti di un processo tutte le volte inevitabile, stando attenti e interpretando le parole nel modo migliore, non potrete fare a meno di sentire addosso tutto il peso di ciò che siete: un’attimo di nulla nell’infinito che cinicamente scorre. Il puzzle solving è sempre brillante e intelligente, e crea spesso delle situazioni in cui delle particolari barriere impediscono l’interazione o la creazione dei cloni. Stiamo parlando di alcune luci che limitano lo svolgere delle normali operazioni con lo Swapper: la luce blu, impenetrabile, non permette di posizionare il clone dove vorremmo; la luce rossa, invece, blocca il trasferimento della coscienza da un corpo all’altro. Bisognerà pertanto riuscire a capire come aggirare il problema per poter così andare avanti, e a questi elementi di disturbo si aggiungeranno ben presto altre meccaniche interessanti, come il rallentamento del tempo che permette di scegliere con relativa calma dove rilasciare le proprie repliche. Grazie a ciò, nel gioco si avanza anche verticalmente, con cambi rapidi di corpi che si susseguono uno dopo l’altro, mentre magari vengono trasportati da correnti gravitazionali che li spingono altrove, verso l’ignoto. Se non avete avuto il piacere di giocarvelo al tempo su PC, la versione PS4 è un’ottima occasione per recuperare una di quelle perle indie che non andrebbero mai e poi mai ignorate. Trovare argomenti così particolari all’interno di un gioco, non è cosa di tutti i giorni: rimediate.
– Tematiche molto profonde
– Design e meccaniche legate alla narrazione
– Ottima colonna sonora
– Puzzle sempre stimolanti e intelligenti
– La conversione su console deve fare i conti con la mancanza del mouse
– Narrativa non per tutti
La conversione di The Swapper su PS4 è stata realizzata come meglio si poteva, ma è ovvio che durante il passaggio tra mouse e analogici qualcosa sia andato perduto in termini di immediatezza. Ciononostante, il titolo di Facepalm Games è uno dei rari esempi in cui un gioco riesce a far riflettere seriamente su argomenti complessi come l’interiorità dell’individuo e il valore stesso della vita. Da non perdere per nessun motivo.