Recensione

The Secret of Monkey Island

Avatar

a cura di Tsubasa

Siamo nel 1990. La macchina a 16-bit della Sega è appena uscita sul mercato e promette veramente bene ed, assieme all’Amiga di Commodore, rappresenta le massima espressione videoudicha presenti sul mercato: non c’è ancora quel divario tra i personal computer (IBM compatibili) e le console al quale siamo abitutuati da diversi anni. Difficilmente infatti il PC è la macchina da gioco preferita dagli utenti. Finchè, grazie alla Lucasfilm, uscì un gioco rivoluzionario, che avrebbe settato dei nuovi canoni e che avrebbe introdotto (o più correttamente perfezionato) un nuovo genere che avrebbe fatto innamorare i videogiocatori: alcuni la chiamano avventura grafica, altri punta e clicca.Il risultato è il medesimo: un capolavoro che è diventata una pietra miliare nella storia dei videogiochi e che ha introdotto un genere che ha dominato per i successivi cinque anni e che, possiamo dirlo con certezza, è ormai morto e sepolto.

“Mi chiamo Guybrush Threepwood e voglio diventare un temibile pirata”La storia inizia nell’isola di Melèe, nel mar dei Caraibi, dove nei panni di Guybrush Threepwood (il nome è già tutto un programma) dobbiamo riuscire nell’impresa di diventare pirati. Per fare ciò occorre superare tre prove per dare dimostrazione del proprio coraggio e determinazione che consistono nel perfezionare l’arte della spada, quella del furto e quella della caccia al tesoro. Da quì in poi si creano diverse situazioni, a volte demenziali, a volte avventurose che ci condurranno dall’isola di Melèe fino a scoprire il segreto di Monkey Island.

Lo SCUMM, ovvero punta e clicca!Bene, direte, una storiella sui pirati, magari banalotta e anche un po’ pallosa. E invece nulla di tutto ciò. Innanzitutto l’interfaccia è probabilmente la cosa più semplice e perfetta partorita dalla mente dei programmatori. Unicamente tramite il Mouse controlliamo Guybrush e, grazie alle azioni selezionabili in basso (vedi le foto), lo facciamo interagire con l’ambiente e con i personaggi cliccando sulle azioni e poi sulle aree dello schermo (da quì il termine “punta e clicca”). Il tutto è curato in maniera maniacale e condito dalla demenzialità più pura. Quando parliamo con gli altri pirati appariranno le varie frasi selezionabili nella parte inferiore dello schermo. Ci muoviamo in ambienti in 256 colori con accostamenti cromatici a dir poco perfetta (guardando l’isola di Melèe di notte sembra di muoversi in un quadro) e le situazioni che si creano sono a dir poco irresistibili. Un assaggio ci è dato subito all’inizio del gioco. Appena entrati sull’isola di Melèe ci dirigiamo verso la taverna dove parlare con diversi pirati per capire come diventare come loro. Per citare un paio di gag parlando con un pirata quest’ultimo inizierà a farci pubblicità di Loom (un altro gioco della Lucas uscito in quegli anni, presto vi parlerò anche di lui) decantandone la grafica e la bellezza, se invece ci avviciniamo al cane sarà possibile intraprendere una discussione con lui a base di Woof, Arrf e Arofh!. A volte si è portati a dire stupidaggini ai nostri interlocutori unicamente mossi dalla curiosità di vedere la situazione che si andrà a creare. I dialoghi con i personaggi si snodano tutti in questo modo e stupisce, soprattutto alla luce dei giochi odierni, quanto siano curati, nonostante non siano mai invasivi e noisi. Potrà sembrare blasfemo ma probabilmente neanche in Shen Mue si assiste ad una cura così maniacale ed attenta per il dettagli. Nessun personaggio vi riperà due volta la stessa cosa (a meno che non siate voi a chiederlo esplicitamente) e parlando con loro si ha l’impressione che siano vivi, e non solamente un ammassso di poligoni (o pixel in questo caso) programmati per sputare frasi precostituite.

Grazie Ron Gilbert!Come già accennato la avventura è adorna da una veste grafica eccezionale ed accompagnata da una colonna sonora ancora oggi orecchiabile, mai stancante e calzante a pennello con l’ambiente piratesco – demenziale. Appare ovvio, anche se non ancora citato, che il gioco si basa sulla risoluzione di enigmi, a volte relativamente semplici a volte strizzacervelli (e pensare che 15 anni fa trovare una soluzione era impresa ardua). La cosa che però non lascia mai delusi è che tali enigmi sono sempre fondati su un filo logico e mai impossibili. E’ emblematico notare che, molti giochi odierni, sono infarciti da filmati che a volte risultano invasivi e noisi mentre Monkey Island, seppur esente da sessioni di azione allo stato puro, non sfiora mai da lontano la noia nè la ripetitività, anzi interagire con l’ambiente e ancor più con i pirati è un piacere e ci strapperà diverse risate. I geni della Lucasfilm, primo fra tutti Ron Gilbert, hanno mescolato sapientemente enigmi contorti, una storia coinvolgente e situazioni demenziali, il tutto contornato da una veste audiovisiva pittoresca, partorendo ciò che, ancora oggi a detta di molti, è considerato uno dei migliori videogiochi della storia.

Per la cronaca il gioco esiste anche in versione Amiga, con qualche colore in meno ma con una musica migliore (dove fu originariamente concepito), Sega CD e Macintosh (senza dubbio la migliore, l’unica in alta risoluzione).

HARDWARE

MS-DOS 5.0 o superiore386/33 DX (486 consigliato) 1 Mb EMS richiesta (2 Mb EMS consigliata) Mouse 256 color VGA/MCGA SoundBlaster e 100% compatibili, Adlib, Roland MT 32

MULTIPLAYER

Assente

– Struttura ludica rivoluzionaria

– Comparto audiovisivo di prim’ordine

– Storia avvincente

– Dialoghi demenziali

– Curato in ogni minimo dettaglio

– Non fatemi ridere, non ne esistono!

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Sono certo che chi non ha mai giocato al primo Monkey Island non può capire di che gioco si tratta. E’ un genere troppo diverso da quelli ormai in voga al giorno d’oggi: non c’è un supertammarro con mosse stilose, non ci sono macchine da elaborare e non ci sono nè fireball nè miriadi di proiettili da evitare. D’altra parte non c’è nulla che lo ricordi da vicino. C’è solo una storia eccezionale, divertente come poche, toccante dal punto di vista audiovisivo e che vi obbliga a ragionare per venire a capo dei numerosi enigmi partoriti dalla mente dei programmatori.

Quì lo dico, e so di non esagerare. Se non avete mai giocato a Monkey Island vi siete persi una di quelle perle che mai verranno replicate nel mondo dei videogiochi.

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