Mentre scorrono i titoli di coda, mi domando se sia stato io a giocare a The Red Strings Club, o se sia stato lui a giocare con me. L’avventura narrativa nata dalle menti di Deconstructeam è difficile da raccontare, è un’opera piena di risvolti, ben lontana dalla mera giustapposizione di temi tipicamente cyberpunk, tra hacker moralisti e megacorporazioni che vogliono controllare il mondo: tutto questo è presente, ma nella sala del The Red Strings Club emergono questioni diverse, che spaziano da riflessioni sul game design fino a interrogativi sulla semantica, il tutto condito con toni cupi, ma che tutto d’un tratto lasciano spazio ad un’amara risata. Con Gods Will be Watching, il team spagnolo si era già distinto per la sua capacità far passare attraverso semplici schemi ludici dilemmi morali, sacrifici e scelte senza ritorno, ma il loro primo titolo viveva in costante equilibrio sul filo del rasoio, sospeso tra la sua natura di esperimento volto a stressare le capacità di scelta del giocatore in determinati contesti, e la semplice frustrazione dovuta ai ripetuti game over. The Red Strings Club è invece la rappresentazione della piena maturità di Deconstructeam, un thriller interattivo dove sono le scelte del giocatore a determinare lo svolgimento dell’azione, dove non esistono il nero e il bianco, ma in cui ogni riga contiene sfumature di denso grigio.
I protagonisti dell’avventura sono Donovan, il barista del The Red Strings Club, locale e scenografia principale da cui passano tutte le informazioni su una città al neon e dai fantascientifici grattacieli mai nominata, e Brandeis, suo compagno di vita nonché simpatizzante dei PROXYMA, un gruppo di attivisti hacker in lotta contro la Supercontinent Ltd, la classica corporazione senza morale guidata da una misteriosa CEO e specializzata nel trattamento delle emozioni degli esseri umani, grazie all’impianto di tecnologie in grado di alterare lo stato mentale e percettivo. L’esasperazione e la degenerazione dell’idealismo iniziale della corporazione ha dato vito ad un programma chiamato Social Psyche Welfare, il cui scopo finale è quello di eliminare dall’arco emotivo umano le estremizzazioni dei sentimenti, come la depressione, ma non la tristezza, l’odio, ma non la rabbia. È lecito spingersi fin qua, o si tratta di cancellare l’autodeterminazione umana? Il terzo attore principale è Akara 184, un androide senziente con sembianze da ragazza e giunta, dopo una serie di rocamboleschi eventi, a varcar la soglia del The Red Strings Club. Questo robot è uno dei fili conduttori dei vari atti in cui è diviso il gioco ed è il primo prototipo sviluppato dalla Supercontinent Ltd in grado di provare e sentire le emozioni, proprio come se fosse un essere umano, ma dalle conoscenze e potenzialità illimitate, che rendono il modello adatto a svolgere qualsiasi tipo di lavoro. Scenografia, atti e attori non sono termini casuali, perché The Red Strings Club, oltre ad essere un’esperienza interattiva, è anche una pièce teatrale, dove i personaggi si muovono, dialogano ed entrano ed escono dal palcoscenico con dei ritmi che chiaramente rimandano alla forma d’arte, dove il giocatore è allo stesso tempo protagonista, regista e pubblico. Il team di sviluppo si è limitato a dettare le linee guida di un canovaccio in cui è sempre l’utente a scrivere il capitolo successivo, un’improvvisazione costante fatta di continui intrecci e svariati finali, una composizione che, se suonata, dà sempre note differenti. Il bar gestito da Donovan – per lunghi tratti dell’avventura – funziona proprio come il palcoscenico principale, sul quale si alternano alcuni degli impiegati Supercontinent Ltd dai quali rubare le informazioni necessarie per fermare l’avvio del Social Psyche Welfare: i ritmi sono scanditi alla perfezione, la porta del The Red Strings Club sembra davvero un filtro tra la scena e il dietro le quinte e non si disdegnano ricorsi a strumenti tipici, come l’occhio di bue, che sottolinea un’accurata direzione registica. Anche nei personaggi sono ravvisabili alcuni dei modelli classici teatrali, come la stessa Akara, una sorta di servo 2.0 della commedia greca e latina, lo schiavo furbo e scaltro delle opere di Menandro o di Plauto, che spesso ruba la scena al padrone – Donovan – mettendolo alle strette con domande e riflessioni. Solo in rarissimi casi, il passaggio degli “attori” appare fin troppo rapido e forzato, quasi un espediente per introdurre nuovi elementi di gioco che, altrimenti, non si saprebbe come spiegare.
La teatralità di The Red Strings Club va oltre alla sua struttura ad atti, all’impiego di tecniche registiche e al richiamo a determinati archetipi, ma si propone come un distinzione rispetto al semplice rito: pur incastrandosi alla perfezione nel genere letterario cyberpunk, l’opera di Deconstructeam esplora la condizione umana, quella attuale e quella di un futuro prossimo, non una dimensione idealizzata e spostata su un piano puramente fittizio: in The Red Strings Club – cosa che mi ha lasciato parecchio spiazzato all’inizio – ci sono svariati richiami alla nostra realtà e le citazioni a nomi con cui quotidianamente interagiamo sono come un rasoio tagliente in mezzo ai tantissimi dialoghi. L’unica vera barriera è rappresentata dall’assenza dell’italiano, mancanza che potrebbe far sentire il suo peso data la mole di testo da leggere. L’opera esplora a fondo l’intimità e le emozioni, senza mai risultare banale e stucchevole e, senza quasi che ce ne si accorga, passa dall’interazione e dai dialoghi fra i personaggi, ad un “tu” che pare rivolto direttamente a chi sta dall’altra parte dello schermo. Tutto si gioca su questo stretto confine della quarta parete: gli interrogativi morali posti dai dipendenti della Supercontinent Ltd, da Akara o da Brandeis hanno costantemente una doppia chiave di lettura, quella inerente allo svolgimento dell’avventura – dove si è portati a dare determinate risposte per ottimizzare il risultato – e quella che tocca direttamente il modo di sentire e di essere del giocatore. Il team di sviluppo spagnolo si è divertito a spaziare completamente fra gli ambiti più disparati, attingendo a sentimenti primordiali, come la solitudine, l’allegria e le emozioni, o a cliché tipicamente cyberpunk, con i riferimenti all’umanizzazione dei robot e al sempre più labile confine fra uomo e macchina, in pieno stile Blade Runner. In mezzo a questo spettro passano anche riflessioni sull’attuale mondo del lavoro e sul problema del burnout, ma anche argomentazioni sul game design o sul significato e significante. The Red Strings Club è capace in pochi minuti – anche perché complessivamente l’avventura dura circa 5 ore – di far sentire sulla pelle del giocatore qualcosa di molto vicino all’uncanny valley, per poi portarlo a riflettere sull’ipotetica giustificazione da dare a un omicidio e infine proiettarlo dentro uno dei primi capitoli di Spaghetti Hacker, nel tentativo di accedere ai dati di ignare persone, semplicemente dalla cornetta di un vecchio telefono.
The Red Strings Club è un’avventura quasi interamente narrativa e non fa della componente ludica – passatemi il termine – il suo punto di forza, anche se le poche interazioni vengono sfruttate egregiamente per dare un maggior senso di controllo sul flusso degli eventi, di cui si può tener traccia ricorrendo ad un’icona posta nella parte alta dello schermo. La meccanica di gioco principale risiede nella creazione di cocktail – siamo pur sempre il miglior barista in circolazione – ma non dei semplici miscugli di alcoolici, bensì delle vere e proprie pozioni in grado di andare ad influenzare lo stato emotivo del cliente, accentuando magari il suo egocentrismo, facendolo pentire del suo contratto per la Supercontinent Ltd, oppure insinuando nei suoi pensieri dei rimorsi per quel che riguarda il Social Psyche Welfare. In base allo stato d’animo suscitato, le linee di dialogo si aprono a nuovi sbocchi, indispensabili per ottenere ulteriori informazioni e sventare il piano della corporazione: per aiutare il giocatore, è inoltre presente un taccuino su cui vengono riportate le notizie giunte all’orecchio di Donovan e gli obiettivi ancora da raggiungere. Queste facilitazioni, unite all’assenza di un vero e proprio game over, rappresentano un’inversione di tendenza per Deconstructeam, consci forse di avere allontanato una fetta di pubblico ai tempi di Gods Will be Watching: in The Red Strings Club non esiste la tensione provocata da un counter che pende come una spada di Damocle sulla testa del giocatore, ma la sensazione di imminenza e di precarietà riesce comunque ad essere trasmessa attraverso le battute scambiate dai protagonisti. La creazione dei cocktail si concretizza, a livello ludico, in pochi e semplici passaggi, tutti affidati al solo mouse, con il quale selezionare e versare i vari tipi di alcolici. Gli stati d’animo del cliente sono rappresentati a schermo con delle icone, sulle quali fare combaciare un indicatore che si sposta in base agli alcolici miscelati. Avanzando nel gioco, la meccanica viene stratificata attraverso l’introduzione di altri elementi, come il ghiaccio, lo shaker o altri alcolici, rendendo così più complesso il match perfetto tra cocktail ed emozioni: qualche passaggio a vuoto è inevitabile e basta una piccola sbavatura col mouse per dover rifare la bevanda da capo, ma i tentativi sono infiniti e l’assenza di un timer lenisce l’effetto frustrazione. Oltre a questo mini-gioco, nelle fasi iniziali e vestendo i panni di Akara, ci si trova anche alle prese con la creazione e l’impianto delle tecnologie create nei laboratori della Supercontinent Ltd. La formazione di queste biomasse avviene in un modo simile alla modellazione della creta, con tanto di disco da ruotare e tre strumenti da utilizzare per dare la giusta forma all’impasto: se da un lato questa trovata restituisce la sensazione di artificiosità data dall’alterazione di un corpo umano, dall’altro sembra di trovarsi davanti ad una tavolozza di Aseprite, dove occorre lavorare sul singolo pixel, con non poche imprecazioni.
Non può piovere per sempre
In The Red Strings Club ogni elemento contribuisce a creare l’atmosfera pesante e il senso di vuoto che aleggia costante, ma sono soprattutto la pixel art – fatta di luci al neon, innesti cybernetici e della classica e instancabile pioggia – e la colonna sonora a trasferire al giocatore quel mood da noir 2.0 che permea ogni angolo dell’opera di Deconstructeam. Nonostante nel titolo le ambientazioni si contino sulle dita di una mano, ciascuna è curata fin nel minimo dettaglio, così come ogni personaggio è stato caratterizzato accuratamente, grazie ad atteggiamenti e modi di vestire, pur nella semplicità delle animazioni, il tutto mentre sullo sfondo risuonano le note lente e distorte della soundtrack, composta anche questa volta da Fingerspit, autore delle musiche di Gods Will be Watching.
Hardware
Requisiti minimi:
– Sistema operativo: Windows 7/8.1/10 x64
– Processore: Intel Core 2 Duo E6320 (2*1866) or equivalent
– Memoria: 4 GB di RAM
– Memoria: 300 MB di spazio disponibile
– Ogni dialogo lascia il segno
– Tante strade differenti
– Le scelte hanno una reale ricaduta
– Direzione artistica senza sbavature
– I temi spaziano fra più argomenti, senza mai esser banali
– I mini-giochi funzionano a tratti
– Qualche personaggio viene poco sfruttato
Deconstructeam, già con Gods Will be Watching, si era rivelato un team capace di creare opere che trasmettessero e suscitassero al giocatore innumerevoli sensazioni e riflessioni, per poi perdersi purtroppo in un labirinto fatto di game over e frustrazioni. The Red Strings Club mantiene intatti tutti i pregi del suo predecessore ed elimina quella barriera di ingresso che avrebbe potuto allontanare una fetta di utenza: la scelta è sicuramente vincente, perché l’avventura narrativa in salsa cyberpunk è una delle perle di questo inizio 2018, dove ogni singola linea di testo è pregna di significato, in cui la morale ha pochissimo spazio d’azione, costretta tra l’imminente lancio del Social Psyche Welfare da parte della Supercontinent Ltd e l’eterno dilemma sui limiti dell’autodeterminazione umana.