Dagli albori del videogioco come medium, e da quando esistono tutte le altre forme di intrattenimento, l’esplorazione dello spazio infinito è indubbiamente uno tra i temi più affascinanti che siano mai stati affrontati, nonché più declinati.Nel cinema e nella televisione le produzioni sono letteralmente sconfinate, da Star Wars a Star Trek, ma anche la giovane storia del videogioco ha già visto la sua serie di esponenti del genere, da Asteroids a No Man’s Sky, passando per Mass Effect.Su questi temi, sull’esplorazione di galassie ignote piene di pericoli ed opportunità, si poggia The Long Journey Home di Daedelic Entertainment. C’è una grande atmosfera, un senso di smarrimento, paura e sorpresa alle volte, unito a meccaniche di gioco punitive e, spesso, difficilmente assimilabili, un mix che produce un prodotto interessante sulla carta, ma che alla fine non riesce a convincere pienamente.
Suicide SquadDopo anni di sviluppo scientifico e tecnologico, l’umanità è ormai perfettamente a suo agio con l’esplorazione dell’universo. Nel viaggio che darà il via all’avventura, però, qualcosa va storto: dopo una breve sosta su Marte per rimpinguare i rifornimenti, la nave si ritrova inspiegabilmente alla deriva ad oltre trentamila Parsec dal sistema solare, per colpa di un salto nell’iperspazio finito male. Comincia così il lungo viaggio verso casa, tra una galassia e l’altra nella speranza di sopravvivere e, finalmente, vedere nell’orizzonte cosmico la casa che chiamiamo Terra.È effettivamente interessante la premessa, seppur poco originale, perché The Long Journey Home fa di tutto per rendere il viaggio della sfortunata spedizione difficile, forse anche troppo. I primi problemi compaiono all’inizio, quando si deve scegliere l’equipaggio di quattro persone che salirà sull’astronave, la quale peraltro può essere scelta da una sparuta selezione, ognuna con le sue peculiarità (con tanto di lander altrettanto particolareggiato, come vedremo). Ogni personaggio ha un suo ruolo dei più classici come il medico, l’ingegnere, il pilota, ma anche mansioni più stravaganti come il blogger scientifico dell’università. Ogni membro dell’equipaggio ha anche una diverso carattere, il quale influisce nei rapporti con gli altri membri, nonché una resistenza ai traumi fisici e psicologici peculiari. Se un astronauta giovane è più stoico verso gli atterraggi rocamboleschi e difficilmente subirà fratture vari ed eventuali, ma sarà più suscettibile ai traumi psicologici vista la sua poca esperienza, l’anziano ingegnere avrà meno fatica a resistere ad uno shock, ma il suo corpo sarà decisamente più fragile. Il problema di The Long Journey Home è che, pur inserendo tutte queste dinamiche molto interessanti, non fa niente per introdurle al giocatore nella maniera più opportuna. La stessa cosa vale per il funzionamento dell’astronave che, ovviamente, va controllata in ogni suo aspetto. Carburante, resistenza dello scafo, numero di “ipersalti” disponibili, manutenzione delle bocche da fuoco, questi sono alcuni dei parametri con cui il giocatore dovrà sempre fare i conti. Gli stessi (esclusi salti nell’iperspazio e armi) sono trasposti anche nel lander, il modulo di atterraggio con il quale esplorerete i pianeti in cerca di risorse, informazioni o artefatti. L’astronave ed i lander possono essere scelti, come dicevamo, all’inizio della partita, così da pianificare un minimo di strategia. Ci sono astronavi più adatte alla raccolta dei minerali (i quali possono rimpinguare il carburante, oppure solidificare lo scafo) e varie risorse tra artefatti e strane piante, mentre altre sono più adatte ai viaggi oppure al combattimento. Stesso discorso per i lander, anch’essi più o meno adatti a situazioni climatiche diversi, oppure più resistenti di altri nel caso di atterraggi di fortuna, ad esempio.
Nello spazio nessuno può vederti fare game overA rendere le cose ulteriormente complicate ci si mettono anche le galassie generate proceduralmente, un elemento di game design che ammetto di non apprezzare particolarmente. Questo significa che, durante le prime partite, ci si ritrova ad affrontare The Long Journey Home alla cieca, perché tutte le informazioni che abbiamo citato (più tantissime altre relative all’ambientazione, ma anche alla diffusione dei minerali ad esempio) possono essere scoperte solamente giocando. Ci si può ritrovare tranquillamente senza carburante nelle prime galassie ad esempio, assistendo alla morte lenta ed inesorabile dell’equipaggio per colpa del malfunzionamento dei sistemi vitali dell’astronave. In una run mi è capitato di far esplodere il lander dopo l’ennesimo atterraggio in un pianeta dalla gravità insensata. In quel caso sono riuscito a recuperare il progetto per costruirne uno nuovo, ma nessuno dei membri del mio equipaggio era in grado di farlo, pertanto mi sono dovuto mettere in cerca di qualche alieno in grado di farlo. Viaggiando il carburante iniziava a scarseggiare, per farne di nuovo avevo bisogno di minerali che non potevo raccogliere senza il lander, e non potevo neanche comprarlo da un mercante perché non avevo soldi e niente da vendere… ed alla fine non ho avuto altra scelta se non avviare una nuova partita.Ci sono due possibilità che possono rendere le partite più piacevoli, al netto delle situazioni catastrofiche che il sistema procedurale può creare. È possibile scegliere tra tre diversi livelli di difficoltà (nella mia prova ho testato il base e l’intermedio, non ho osato avvicinarmi al più difficile), ma soprattutto immettendo un codice è possibile rigiocare nella stessa galassia. In questo modo verrà meno il fascino della scoperta, ma conoscendo la posizione dei pianeti e delle insidie il gioco diventa più accessibile e meno frustrante. Lo stesso codice, per altro, può essere usato da giocatori terzi.
Viaggia, esplodi, ripetiUna volta in confidenza con il sistema di gioco (il che richiede almeno un paio di run fallimentari), The Long Journey Home offre un’esperienza tutto sommato interessante, seppur non originale o innovativa, con qualche problema però. L’esplorazione dei pianeti perde presto tutto il suo fascino, perché non si allontana dal poter atterrare in alcuni punti della superficie per raccogliere risorse oppure “indagare”, azione che si risolve in alcune linee di dialogo da leggere con al massimo un paio di scelte da compiere. Oltretutto, una parte dei pianeti andranno evitati all’inizio perché troppo inospitali, oppure con minacce ambientali troppo gravi da affrontare, ed oltretutto c’è il carburante da risparmiare. Le dinamiche di combattimento sono molto semplici, e spesso neanche ci si ritrova in battaglie spaziali contro dei nemici, mentre è interessante l’idea di affidare i rapporto con gli npc a dialoghi testuali. Squisitamente anacronistici, gli “eventi” del gioco vengono gestiti in modo simili alle avventure testuali dei tempi che furono. Può capitare di partecipare ad un concorso a premi intergalattico; subire una ispezione da parte delle autorità; promettere favori ad una delle razze aliene (anch’esse generate casualmente ad ogni partita) trovandosene inevitabilmente altre nemiche; gestire una compravendita o contrattare per le riparazioni della propria navicella, e tanto altro. Ognuna di queste situazioni, sopravvivere nella galassia, trovare portali che accelerano il viaggio, ricevere scorte e potenziamenti, è unicamente finalizzata a raggiungere la Terra, scopo finale dell’avventura. Un’avventura costruita con uno stile grafico spartano ma efficace, che richiama anche l’estetica della fantascienza anni ’50 in alcuni momenti, insieme ad un accompagnamento sonoro molto efficace che spazia dall’inquietudine delle esplorazioni più difficili, fino alle tracce più rilassanti nei momenti più leggeri.
– Presupposto dell’avventura intrigante
– Colonna sonora efficace
– Estetica non eccezionale ma gradevole
– Gli appassionati di esplorazione ne avranno per molto
– Livello di sfida a volte soverchiante
– Il sistema procedurale a volte fa venire i sorci verdi
– Risulta ripetitivo dopo poco
– Completamente in inglese
The Long Journey Home è un’avventura spaziale particolare. Ostica un po’ per volere un po’ per tracotanza delle galassie generate proceduralmente che, a volte, creano ecosistemi infernali. Il titolo di Daedelic Entertainment vuole fare un sacco di cose pescando da altrettanti generi e, come spesso accade, non riesce ad eccellere in niente di particolare. Tuttavia, se le sfide impegnative non vi spaventano e l’intransigenza di un universo ostile vi affascina, dovreste dare una possibilità a The Long Journey Home (e aggiungere un paio di punti al voto della recensione, va).