The Inpatient, recensione del prequel in VR di Until Dawn
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a cura di Nicolò Bicego
Redattore
Until Dawn è stato un esperimento atipico e dallo sviluppo travagliato, che si è rivelato però incredibilmente riuscito. Talmente riuscito che i suoi sviluppatori, i ragazzi di Supermassive Games, hanno deciso di non abbandonare il mondo da loro creato, tornandovi con l’ottimo spin-off Until Dawn: Rush of Blood, uno dei titoli che ha accompagnato l’uscita di Playstation VR. Ed è proprio su PS VR che gli sviluppatori vogliono continuare la storia di Until Dawn, stavolta con un prequel canonico dal titolo di The Inpatient;dopo due episodi discreti, ci siamo lanciati in questa nuova avventura carichi di aspettative e fiduciosi verso il lavoro svolto. Il risultato, però come capire se avete già letto il voto, non è stato proprio quello sperato.
Ritorno al sanatorio Blackwood
Le vicende narrate in The Inpatient hanno luogo sessant’anni prima di quelle viste in Until Dawn, all’interno del sanatorio di Blackwood. Chiunque abbia giocato il titolo originale sa cosa è accaduto in quel luogo durante quegli anni. Per non fare spoiler a chi non avesse finito Until Dawn diremo solamente che si tratta di uno dei nodi principali della trama del primo episodio. In The Inpatient indosseremo i panni di un paziente del sanatorio, di cui potremo scegliere sia il sesso che la tonalità della pelle. Il nostro protagonista non ricorda come sia finito all’interno del sanatorio a causa di una misteriosa amnesia che, stando ai dottori, sarebbe il motivo del suo ricovero. Recuperare la memoria non sarà la nostra unica preoccupazione: ben presto strani eventi cominceranno a manifestarsi all’interno del sanatorio, mettendo a dura prova la nostra fiducia nello staff medico, che sembra sapere più di quanto ci dice. Non vi vogliamo dire altro: in The Inpatient la storia è l’aspetto più importante della produzione e rivelarvi troppi dettagli significherebbe rovinare la vostra esperienza di gioco. Quello che possiamo dirvi è che la storia narrata è interessante, sebbene non raggiunga il livello qualitativo del primo episodio. Come in Until Dawn, anche qui il tutto si svilupperà in base alle nostre scelte: alcune di esse comporteranno solo piccoli cambiamenti nei dialoghi, mentre altre avranno ripercussioni sull’intera storia e, talvolta, sull’esito finale. Purtroppo il comparto narrativo è afflitto da un grande difetto: l’estrema lentezza che fin dalle prime fasi accompagna il ritmo di gioco. Si arriva allo scorrere dei titoli di coda con la percezione che la storia debba ancora davvero ingranare ed è un peccato perché le idee ci sono e sono buone. Mancano poi gli spaventi o “jump-scare” tipici di questo genere: per quanto possa sembrare strano, in The Inpatient vi spaventerete solo in due o tre occasioni, il che sembra incredibile considerando come Until Dawn fosse particolarmente riuscito sotto questo aspetto, eppure è così.
Passando al comparto tecnico, una nota positiva va alla realizzazione delle ambientazioni e dei personaggi, che pur soffrendo dei limiti tecnici di PS VR riescono comunque a convincere. Permane purtroppo l’effetto blur che avvolge parte della visuale, e che talvolta può esservi d’intralcio.
Una breve degenza ospedaliera
Sul fronte del gameplay, The Inpatient si discosta da entrambi gli episodi che lo hanno preceduto. Se dovessimo categorizzarlo, classificheremmo il gioco come un walking simulator a sfondo horror. Il movimento potrebbe causare una forte sensazione di nausea, nonostante gli sviluppatori abbiano inserito, come di consueto, la possibilità di regolare lo spostamento della visuale (a scatti o libera). Inoltre, muovere il personaggio risulta particolarmente scomodo, principalmente perché il nostro protagonista non può muoversi sull’asse laterale. Per eseguire azioni semplici, dunque, come entrare in una porta, dovremo ricorrere a dei movimenti macchinosi per ovviare a questa mancanza che ci appare incomprensibile. Per il resto, l’interazione è limitata al minimo: oltre a camminare, infatti, potremo interagire solamente con alcuni oggetti al fine di proseguire nella storia. Altri oggetti, inoltre, sbloccheranno dei filmati flashback, che potremo rivedere anche dal menù principale e che ci daranno maggiori informazioni sul background narrativo del gioco. L’altro ruolo di rilievo è ricoperto dai dialoghi, in essi avremo possibilità di scegliere tra più risposte e potremo farlo attraverso la nostra stessa voce, leggendo le parole scritte sullo schermo. Può sembrare un elemento secondario, ma possiamo garantirvi che si rivela davvero efficace nell’aumentare l’immersione nel mondo di gioco. Come nel primo Until Dawn, in The Impatient le scelte hanno una portata variabile, che va dall’indifferenza all’“effetto farfalla”. Ovviamente, questo va ad incidere positivamente su una longevità del titolo di suo non particolarmente ampia. Parliamo infatti di una manciata di ore, dopo le quali vedremo già scorrere i titoli di coda. Purtroppo, una durata così bassa non ha permesso di sviluppare a dovere la storia ed i suoi personaggi, che rimangono abbozzati rispetto a quanto visto in Until Dawn, anche a causa del lento incedere della trama di cui abbiamo parlato in apertura. Unendo ciò alla scarsa interazione presente nell’avventura e alla macchinosità dei movimenti, capirete perché The Inpatient non è il gioco che speravamo che fosse e che poteva senza dubbio essere.
– Buona realizzazione tecnica…
– Idea di base interessante
– … ma l’effetto blur si fa vedere
– Ritmo narrativo blando
– Scarsa interattività
6.5
Dopo l’ottimo Until Dawn ed il discreto Rush of Blood, con The Inpatient i ragazzi di Supermassive Games compiono un mezzo passo falso. Nonostante l’idea di ambientare un gioco in realtà virtuale nel sanatorio di Blackwood fosse estremamente interessante, è nell’esecuzione che The Inpatient perde il suo smalto a causa di un ritmo narrativo fin troppo blando e lento, penalizzato anche dalla mancanza di quei veri salti sulla sedia che avevano caratterizzato i predecessori. A questo si aggiungono la scarsa interattività e alcuni problemi di gameplay che, a conti fatti, rendono il gioco consigliabile solo a chi vuole assolutamente tornare nel mondo di Until Dawn.
Voto Recensione di The Inpatient, recensione del prequel in VR di Until Dawn - Recensione
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