Per tre anni, dall’incidente del Beacon Mental Hospital, Sebastian Castellanos è stato alla ricerca di risposte, di se stesso, della sua vita in caduta libera. Devastato dagli avvenimenti che abbiamo testimoniato nel primo capitolo, il protagonista ha lasciato che la dissoluzione intaccasse la propria caduca esistenza, imprigionandolo tra le pareti liquide e soffocanti dell’alcol. Eppure, non tutto è davvero come Sebastian immaginava.
La morte di sua figlia Lily – come per un incredibile e beffardo ribaltamento della realtà – è stata inscenata dalla megacorporazione Mobius, il gruppo antagonista dietro la creazione dello STEM, sistema che permette di unire e connettere più menti alla volta per creare un mondo fittizio generato dalla coscienza collettiva.
Tutto ciò che Sebastian ha perduto, tutto ciò che cerca disperatamente, dipende dalla sorte di sua figlia, intrappolata nel mondo in cui dovremo entrare per salvarla.
La storia di The Evil Within 2 è più chiara rispetto a quella del primo capitolo, meno confusionaria e con nessun dettaglio rilevante lasciato al caso. Sebastian è un personaggio più profondo, ben scritto, vittima di una macchinazione che gli ha distrutto la famiglia, la serenità, la vita. In tal senso, la dimensione del dramma familiare si fa strada sin da subito e trova una sua degna conclusione al termine dell’avventura, della durata compresa tra le tredici e le sedici ore. La densità narrativa è assicurata da un racconto di più ampio respiro, che coinvolge la Mobius, la famiglia di Sebastian e i dipendenti della corporazione rimasti intrappolati dentro lo STEM, con approfondimenti legati alle attività e agli scopi delle menti malsane che controllano dall’interno le proiezioni inconsce delle menti soggiogate. I ritmi narrativi sono ben gestiti e riescono a mantenere alto l’interesse fino alla fine, con dei rari casi in cui il gioco risulta essere diluito e poco convincente.
I momenti di stanca sono rappresentati dalle sezioni all’aperto, che si rivelano essere in definitiva quelle meno riuscite. Nella città fittizia di Union in cui è ambientato The Evil Within 2 non mancano infatti le missioni secondarie e diverse fetch quest, che spezzano il ritmo del gioco e il senso di tensione, già piuttosto basso per via della natura del titolo, che si avvicina per larghi tratti alla struttura di grandi classici action/survival horror sulla falsariga di Resident Evil 4.
Peregrinando lungo le strade infestate di Union si ha la sensazione che il team di sviluppo abbia voluto sperimentare un po’ e offrire delle alternative alla formula di gioco vista nel primo capitolo, ottenendo però risultati altalenanti. Intercettare delle frequenze e recarsi nei punti previsti per raccogliere delle scorte, o soddisfare alcune richieste dei membri della Mobius intrappolati nello STEM, risulta essere poco interessante dal punto di vista dell’intrattenimento, ma molto utile per raccogliere le scorte per il potenziamento di armi e personaggio. Le sortite in esterna, grazie al cielo, sono davvero poche e occupano un quinto del gioco, mentre per quanto riguarda il resto dell’avventura The Evil Within 2 si rivela essere molto solido, ispirato e migliorato rispetto al capostipite.
L’opera di Tango Gameworks dà il meglio di sé negli interni, con magnifiche scene di arte macabra, improvvisi cambi di scenari, salti dimensionali e una qualità delle situazioni proposte sempre elevata.
Oltretutto, sono quasi sparite completamente le fastidiose fasi di sbarramento, ci sono diverse rifiniture di gameplay e il gioco è stato reso più accessibile al grande pubblico. Chi invece desidera cimentarsi con la stessa difficoltà del primo capitolo, dovrà selezionare sin da subito quella più elevata. Una volta portata a termine l’avventura, oltre al new game plus viene sbloccata la modalità classica, indicata per i puristi dei survival horror: nessun salvataggio automatico, nessun tipo di potenziamento o abilità speciale e solo una manciata di possibilità di salvare i propri progressi.
Gli elementi di gameplay di The Evil Within 2 sono tutti molto simili a quelli visti nel predecessore, a dimostrazione di una buona solidità a cui non si è voluto rinunciare. Le movenze di Sebastian sono ancora farraginose e goffe, un po’ troppo impacciate, ma si capisce quanto sia tutto sommato una volontà degli sviluppatori, convinti nel voler proporre un personaggio che anche quando scappa via dalle minacce ha ben poca resistenza e grande difficoltà a dileguarsi. L’impronta survival è accresciuta dalle fasi stealth, spesso indicate per avere la meglio, e dal numero di munizioni a disposizione, che non sono mai abbastanza e devono essere usate con grande parsimonia.
La conduzione di gioco e lo sviluppo del personaggio sono calcolati in maniera pressoché perfetta: basti considerare quanto il sistema di abilità e il miglioramento delle armi siano strutturati con grande attenzione affinché non ci siano sbilanciamenti di alcun tipo. Raccogliendo le scorte e recandosi presso un banco da lavoro è possibile sia fabbricare munizioni e oggetti, sia potenziare le armi e le loro caratteristiche di base. All’interno della save room raggiungibile osservando gli specchi, che è una versione trasfigurata del vecchio ufficio da detective di Sebastian, si trova una sedia a rotella da cui si può usare il gel verde raccolto dai nemici per far acquisire nuove abilità al protagonista. Queste sono suddivise in macro categorie come salute, furtività e abilità nel combattimento, in grado di determinare lo stile di gioco dell’utente, che può privilegiare un andamento più accorto o favorire lo scontro diretto.
A eccezione di alcuni nemici di base, con caratteristiche in parte mutuate dal gioco precedente, fanno la loro comparsa alcuni avversari in grado di mescolare le carte in tavola e costringere il giocatore ad adottare un approccio leggermente più strategico del solito, specialmente se si sceglie la modalità più impegnativa. Le boss fight, sebbene non siano molte, risultano essere quasi tutte ben congegnate e avvincenti, con quella finale che rappresenta un fulgido esempio del meglio che The Evil Within 2 è in grado di offrire.
Non mancano scene cruente, situazioni in cui la prospettiva del giocatore sarà completamente messa in subbuglio e nemmeno quel senso di appagamento che un seguito decisamente più convincente dell’opera prima è in grado di dare. Le musiche sono sempre efficaci nell’accompagnare le diverse fasi di gioco, con parti acute di violino e rumori liquidi, suoni talvolta ovattati, altre volte più sinuosi, striscianti e avvolgenti.
Tecnicamente The Evil Within 2 riesce a mantenere una buona solidità del frame rate, tranne nei primi secondi in cui viene ricaricata una partita e vi trovate nel bel mezzo della città. Lo STEM Engine, derivato dall’id Tech 5, assicura una buona stabilità, ma presenta anche qualche incertezza nel caricamento dei diversi strati di texture e di alcuni elementi degli scenari all’aperto. Molto buona è invece la modellazione poligonale dei personaggi principali, mentre è evidente quanto alcuni elementi, sempre nelle fasi in esterna, siano stati realizzati in modo un po’ approssimativo.
Al di là di queste piccole imperfezioni, non esiste davvero nessun motivo per cui dobbiate lasciarvi scappare The Evil Within 2, che rappresenta un instant classic, un passo in avanti per il franchise e un’avventura che gli amanti degli action/survival horror – e non solo – ameranno.
La data di uscita di
The Evil Within 2
è fissata per venerdì 13 ottobre su PS4, PC, Xbox One.
– Storia e avventura molto solide e convincenti
– Sparite quasi del tutto le fasi di sbarramento e le incertezze del predecessore
– Ottima struttura di gioco e grande gestione della progressione, con ritmi ben calcolati
– Le fasi sandbox all’aperto non convincono del tutto
– Nelle aree esterne si perde un po’ di dettaglio
– Incertezze nel caricamento delle texture, qualche sbavatura grafica
Nonostante sia macchiato da un paio di fasi sandbox poco convincenti, The Evil Within 2 è un prodotto solido e in grado di raggiungere anche punte di eccellenza. Grazie a una storia che approfondisce il personaggio principale, la sua famiglia e un paio di comprimari, all’eliminazione di quei momenti che poco avevano convinto nel titolo precedente, e a una struttura di gioco più organizzata e in grado di coinvolgere e assorbire il giocatore, l’opera di Tango Gameworks riesce a fare centro e a rafforzare il franchise, che potrebbe ulteriormente aprirsi a ulteriori e interessanti idee.