Recensione

The Banner Saga

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a cura di Pregianza

Con il proliferare degli studi indipendenti, ora i videogiochi hanno due anime: una prettamente commerciale e dedita ad ottenere grandi cifre, e una libera dalle catene di produttori e distributori, dove gli sviluppatori cercano di creare i titoli che hanno sempre sognato, anche se con risorse limitate. 
Se la prima faccia del gaming inizia a mostrare rughe molto profonde, la seconda sta invece diventando sempre più importante, grazie al supporto diretto dei videogiocatori e alle varie piattaforme di crowdfunding. Nel 2014 in particolare i titoli indie in arrivo dalle grandi potenzialità non sembrano mancare, e molti di questi sembrano voler dimostrare che la cosa più importante, nella creazione di un videogioco, è la creatività.
Tra quelli più attesi c’è senza dubbio The Banner Saga, un curioso progetto di tre ex sviluppatori Bioware, con uno splendido stile grafico ispirato ai film Disney inserito in un’ambientazione dark, e il supporto del bravissimo Austin Wintory alla musica (se non sapete di chi si tratti, andate ad ascoltarvi la colonna sonora di Journey, tra le tante). Basi solide come il marmo per un gioco, ma saranno bastate a supportare il primo vero capolavoro di quest’anno? 
Nessun dio ti salverà
Gli dei sono morti, il sole si è spento, e solo il freddo rimane ad accompagnare le carovane attorno a cui ruota la trama di The Banner Saga. Non è difficile rendersi conto che l’ambientazione del titolo di Stoic è ben lontana dai fatati mondi a cui si ispira artisticamente. 
In questo luogo gelido dove enormi vichinghi cornuti chiamati Varl convivono con gli umani, e terrificanti creature in armatura note come Dredge sono tornate ad essere una minaccia dopo anni di calma, osserverete la storia di Rook e di sua figlia Alette, durante una pericolosa fuga verso la salvezza. Una narrativa ben più complessa di quanto appare, ve lo assicuriamo, poiché avanzando per le desolate lande del gioco dovrete prendere numerose dure decisioni che modificheranno sensibilmente l’avanzare della trama.
Non sono scelte superficiali, qui si è alla guida di un gruppo disperato di persone, e un errore di valutazione può facilmente portare alla morte di qualcuno, anche tra i personaggi principali. Il lavoro fatto da Stoic in questo campo è brillante, cattura il giocatore e lo mette continuamente di fronte alla cruda realtà, in un mondo che forse sta finendo e dove non c’è più spazio per l’ingenuità.
A questa intricata rete di storie si ricollega la necessità di mantenere in vita il proprio caravan, acquistando o raccogliendo risorse dai pochi villaggi ancora abitati sparsi per la lunga via, e decidendo a chi permettere di unirsi al proprio gruppo e a chi no. Il numero generale di sopravvissuti non sembra avere grande influenza sulle battaglie effettive, che coinvolgono solo i personaggi principali, ma sottolinea ancor di più la difficoltà della situazione, portando il giocatore ad affezionarsi al suo sfortunato gruppo di compagni. 
Certo, anche questa complessa narrativa ha delle problematiche, alcune scelte sembrano fortemente pilotate, e la conclusione (che peraltro può variare, visto che non mancano i finali multipli) è tutt’altro che perfetta. Problemi o no, comunque, ci sentiamo di promuovere il titolo a pieni voti per quanto riguarda questo aspetto.
Dagli alla corazza
L’elemento dove purtroppo gli Stoic sono un po’ cascati è, paradossalmente, il gameplay. The Banner Saga è un gdr tattico, con una struttura a turni che ricorda alla lontana quella dei Final Fantasy Tactics. Si combatte in mappe chiuse, dove è necessario calcolare con attenzione il posizionamento dei propri guerrieri e sfruttare al meglio le abilità delle varie classi disponibili. 
Ecco, fin qui tutto benone, la struttura regge degnamente, gli scontri sono abbastanza impegnativi, e ci sono anche alcune idee interessanti nell’insieme. Pensate, ad esempio, che praticamente tutti gli avversari hanno due valori difensivi separati tra punti forza e armatura, e che molti di essi sono quasi immuni ai danni se prima non si spezza un po’ della loro corazza. Siamo però davanti a una di quelle idee che si trascinano dietro alcuni difetti: con il calo della forza, infatti, calano notevolmente i punti d’attacco, cosa che rende il danno dei personaggi quasi nullo dopo qualche mazzata presa se non si sfrutta un valore consumabile chiamato “forza di volontà”, spesso indispensabile per fare danni seri a nemici troppo corazzati a inizio scontro. Tale formula porta quindi il giocatore a spostarsi in modo che il nemico non possa raggiungerlo durante il suo turno, per poi cercare di fare più danni possibili il più rapidamente possibile così da partire con un sensibile vantaggio. 
Non che non ci voglia strategia a fare tutto ciò, ma mancano altri fattori significativi, che avrebbero sensibilmente migliorato l’esperienza. Il posizionamento ravvicinato è insignificante per fare più o meno danni ai nemici, e torna utile solo quando si usano classi che aumentano passivamente l’armatura se affiancate a degli alleati. A loro volta, i nemici non saltano mai i turni, quindi anche eliminare un avversario prima che tocchi a lui muoversi non fa altro che passare la palla a un suo compagno, magari in una posizione più pericolosa. Diventa rapidamente la norma indebolire gli ostili piuttosto che eliminarli, insomma.
Prendete in considerazione pure l’assenza di classi personalizzabili, con eroi che vengono offerti al giocatore durante la campagna, uno sviluppo limitato degli stessi con singoli oggetti equipaggiabili e un numero limitato di statistiche, e una varietà piuttosto scarsa di nemici, e otterrete un gameplay che è sì divertente, ma non all’altezza dei migliori esponenti di questo genere.  
Bellezza glaciale
Se la divisione dei compiti tra gestione della carovana e battaglie risulta solo discretamente in grado di incollare il giocatore allo schermo, non si può dire lo stesso del comparto artistico. Questo è uno di quei giochi che va semplicemente fissato per alcuni minuti, e riesce a ottenere questo risultato senza motori grafici all’avanguardia o esagerazioni tecniche. The Banner Saga è bello, splendido a tratti, con i suoi personaggi finemente disegnati e le sue ambientazioni nordiche ispiratissime. Si avanza molto lentamente per il mondo di gioco, ma la cosa non pesa più di tanto, stregati dalla trama e dalle splendide viste offerte. 
La musica, dal canto suo, non fa altro che migliorare ulteriormente l’esperienza, e le melodie di Wintory sono perfette dal primo all’ultimo secondo. Non c’è doppiaggio in questo titolo esclusi rari filmati d’intermezzo, ma è una mancanza da poco quando il colpo d’occhio e le melodie offerte sono di questo livello. 
Se speravate in un’epica capace di impegnarvi per settimane dobbiamo sfortunatamente tarparvi le ali. The Banner Saga dura circa 7 ore, anche se va detto che, vista la sua natura ramificata, si tratta di un prodotto rigiocabilissimo.

– Musiche e art direction superlative

– Narrativa appassionante, basata su scelte dure e ricche di conseguenze

– Combat system tattico non privo di idee interessanti

– Il sistema di gioco ha un po’ di mancanze

– Personaggi fissi, e nessuna personalizzazione delle classi

– La conclusione non è delle più soddisfacenti

7.5

The Banner Saga verrà probabilmente ricordato più per la sua narrativa e il suo splendido comparto artistico che per la profondità del suo gameplay. Si tratta sicuramente di un gdr tattico riuscito, capace di incantare il giocatore e di spingerlo costantemente ad avanzare, ma alcune magagne a livello di tattica e sistema di gioco ci impedisce di promuoverlo senza riserve. Un peccato, ma se amate il genere resta un’ottima avventura, e vi consigliamo di provarla.

Voto Recensione di The Banner Saga - Recensione


7.5

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