Recensione

Tales of Zestiria

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Ultima creatura di quel geniaccio di Hideo Baba, Tales of Zestiria segna non solo l’avvento della saga su Playstation 4 (sebbene esista anche una versione old gen), ma anche il passaggio ad un open world nel vero senso della parola, almeno stando alle dichiarazioni del team di sviluppo: un passo avanti notevole per una serie che ha appena festeggiato i suoi vent’anni e continua a riscuotere successo tanto in patria quanto in occidente, incontrando gusti anche molto diversi e abbracciando ampie fasce di pubblico.Proprio l’intenzione di aprire la serie ad un numero sempre maggiore di appassionati sembra essere una delle idee fondanti di questo nuovo capitolo, nel bene e nel male: andiamo a scoprire perché.

Un Redentore ci salveràMetafora del mondo in cui viviamo, nel quale si erigono muri e i lupi vivono nascosti tra gli agnelli, il mondo che fa da sfondo alle vicende di Tales of Zestiria è corrotto dalla malevolenza, da spiriti maligni che, nutrendosi delle emozioni negative che albergano nel cuore degli uomini, vivono tra questi indisturbati, a spese della salute del pianeta stesso, che, durante la sequenza iniziale, vede il cielo oscurarsi e una fitta coltre di nubi nere dominare il cielo.Oltre agli uomini e agli Avernali, nome che identifica le entità maligne, fanno parte di questo mondo anche i Serafini, spiriti benevoli, quasi angeli in terra, che, al pari delle loro nemesi, sono invisibili agli occhi degli umani, ma sembrano non curarsi del benessere di questi ultimi, arroccati in villaggi costruiti sule cime più impervie.Sorey, protagonista assoluto delle vicende, rappresenta l’anello di congiunzione tra due mondi separati, che altrimenti non avrebbero nulla in comune: umano, ma cresciuto in mezzo ai Serafini, egli riesce non solo a vederli, a differenza del resto dell’umanità, ma anche ad interagire e comunicare con loro, tanto che il suo migliore amico, che condivide con lui i rimbrotti del nonno, è proprio un Serafino dell’acqua di nome Mikleo.Durante una delle loro allegre avventure tra le rovine che circondano il loro villaggio, i due amici si imbattono in un’umana svenuta e, nonostante il consiglio di Mikleo, Sorey la aiuta e la riporta al villaggio, andando così ad interromperne la quieta routine quotidiana.Di qui prenderà il via una sequela di eventi tanto prevedibili quanto godibili, con il nostro che, già entro le prime cinque ore di gioco, si ritrova invischiato in faccende molto più grandi di lui, insignito di un titolo che non avrebbe mai pensato di meritare.A parte l’amnesia, i topoi classici del gioco di ruolo alla giapponese ci sono tutti, dal sempliciotto che salva il mondo con la sua generosità ad un cast composto di personalità sì energetiche ma già viste decine di altre volte, molte delle quali anche all’interno della stessa saga dei Tales, che può contare ormai su una ventina di titoli dal 1995 ad oggi.Non mancano i momenti particolarmente riusciti, da quelli inaspettatamente tragici ai siparietti generati dal fatto che gli altri umani non possono vedere i Serafini, con Sorey che passa più volte per lo scemo del villaggio, sorpreso a litigare con se stesso, ma il grosso della storia scorre via senza imprimere un segno nel cuore del giocatore.

Tales of everybodyCome anticipato in sede di introduzione, Tales of Zestiria tradisce immediatamente le intenzioni del team di sviluppo e, volente o nolente, si presenta quindi come un capitolo fortemente divisivo per il pubblico: tutti coloro che non si sono mai cimentati con la serie, e magari sono curiosi di farlo, troveranno in questo prodotto un punto d’ingresso ideale, mentre i fan di lunga data potrebbero non gradire la semplificazione di molte meccaniche e alcune scelte di game design che strizzano l’occhio ai neofiti.Incastonate nel consueto gameplay della serie, che coniuga battaglie in tempo reale con l’esplorazione di mappe di dimensioni variabili, vi sono una serie di facilitazioni e di scorciatoie atte a dare il benvenuto ai giocatori meno avvezzi al genere, quasi come se, con lo sbarco su PS4, Bandai Namco puntasse ad ampliare gli orizzonti, sfruttando l’enorme successo commerciale dell’ammiraglia Sony.Il sistema di crescita dei personaggi, ad esempio, lascia le briciole al giocatore, che viene semplicemente informato dell’avvenuto passaggio di livello, cui, in genere, si accompagna la disponibilità di nuove Arti (altro caposaldo della serie).Solo grazie ad un sistema inutilmente arzigogolato, infatti, legato all’equipaggiamento indossato, i membri del nostro party potranno apprendere nuove abilità, ma, progredendo nel gioco, si ha la sensazione, come mai nella serie, di avere poco controllo sullo sviluppo dei membri del party, che mantengono il ruolo inizialmente assegnato loro dagli sviluppatori senza grosse possibilità di deviazione dal percorso.L’automatizzazione di molti dei processi che costituivano l’ossatura degli altri titoli della serie è un ulteriore indizio: se prima era necessario raccogliere ingredienti e ricette prima di poter cucinare qualcosa di davvero utile per il party, adesso è sufficiente barrare una casella in un menu, con uno o più personaggi che prepareranno dei manicaretti in autonomia ad intervalli regolari, e, allo stesso modo, laddove prima serviva imparare un’abilità (o trovare ed equipaggiare un oggetto, a seconda del gioco) per rigenerare i punti vita tra un combattimento e l’altro, adesso c’è un’apposita skill passiva di una delle donzelle che compongono il party.Anche durante le battaglie le semplificazioni non mancano: non vi sono limitazioni di sorta all’uso di tecniche ed arti, se non una barra dei CS che si consuma ad ogni attacco portato, ma si rigenera da sola non appena avremo parato un colpo avversario o rimarremo per un paio di secondi inermi.Come a dire, magie ed arti illimitate, cui si aggiunge una nuova devastante abilità, che permette di fondersi con uno dei Serafini (ognuno dei quali corrisponde ad un elemento) per dare vita ad una forma ulteriore, in stile Super Saiyan, in cui ci si dovrà davvero impegnare per non sterminare tutti i nemici.Anche gli scontri con i boss, che hanno sempre segnato i punti più alti della serie, perdono di mordente a queste condizioni, e la loro difficoltà è più legata a mancanze dell’intelligenza artificiale dei nostri compagni che non ai danni inflitti o ai pattern di attacco: il consiglio, per i veterani della saga e dei JRPG in generale, è di iniziare il gioco almeno al livello di difficoltà Moderato (il penultimo).Per questa recensione, dopo una decina di ore a Moderato, abbiamo dovuto alzare a Difficile per poter ottenere una parvenza di sfida dai nemici del gioco.Alcune delle semplificazioni, a dire la verità, sono anche gradite: la possibilità di salvare in qualsiasi istante, grazie ad un quick save, quella di fondere equipaggiamento dello stesso tipo così da rafforzare quello già in nostro possesso, e la maggiore apertura della mappa verso un design più open world, sebbene poi ci si trovi ancora, alle soglie del 2016, a incocciare contro muri invisibili di rara bruttezza.

Current gen?Da un titolo nato e sviluppato per anni avendo come riferimento Playsyation 3, portato su PS4 a furor di popolo con un annuncio a pochi mesi dall’uscita, non ci si poteva aspettare meraviglie tecniche, e difatti Tales of Zestiria, pur presentando la consueta, deliziosa direzione artistica, fallisce nel far compiere alla serie il balzo evolutivo a livello tecnico in cui i più ottimisti speravano.A fronte di modelli poligonali dei protagonisti splendidamente realizzati, ci sono troppe ambientazioni con texture in bassa risoluzione e nemici dai modelli abbastanza rozzi, a ricordare che, di current gen, nell’ultima fatica del team di Hideo Baba, c’è poco.Fortunatamente, il colpo d’occhio generale, la bontà del doppiaggio (consigliamo quello giapponese, by the way), la solita, straordinaria longevità, garantita da una main quest corposa e un buon numero di segreti e missioni secondarie riescono a riequilibrare la situazione, restituendo comunque un valore non indifferente per i soldi spesi.Menzione finale, purtroppo negativa, per la telecamera, che tende, soprattutto durante i combattimenti che hanno luogo in spazi ristretti, ad incastrarsi tra le pareti e i modelli dei personaggi, lasciando il giocatore a combattere alla cieca per qualche istante prima di resettarsi.

– Un JRPG godibile e non troppo complesso

– Maggiore libertà esplorativa rispetto al passato

– Quantità di contenuti molto soddisfacente

– Doppio audio giapponese/inglese

– Troppe meccaniche semplificate

– Graficamente degno di una Playstation 3

– Mediamente più facile dei suoi predecessori

7.5

Con una mossa più che comprensibile a livello di vendite e di prestigio del marchio, Tales of Zestiria, tramite una serie di scelte di design ben precise, si pone come il più intuitivo e di facile approccio di tutti i Tales of cui abbiamo giocato fino ad oggi, una mano tesa verso tutti coloro che, fin qui, sono rimasti sordi al richiamo di questa longeva saga.

Stanti la solidità del gameplay, un combat system adrenalinico e una qualità media più che buona, ci saremmo però aspettati un occhio di riguardo anche per i milioni di fan preesistenti, che, a parte alzare al massimo il livello di difficoltà, potranno far poco per rendere questa avventura impegnativa ed appagante come alcune di quelle che l’hanno preceduta.

Consigliato, quindi, ma non senza riserve.

Voto Recensione di Tales of Zestiria - Recensione


7.5

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