Ad un anno e mezzo di distanza da Zestiria, che aveva segnato il debutto della serie Tales of su Playstation 4, giunge anche in occidente, con dei tempi di localizzazione decisamente ridotti rispetto alla media di molti congeneri nipponici, Tales of Berseria, sedicesimo capitolo regolare di uno dei franchise più longevi e amati tanto dal pubblico di casa quanto da quello occidentale.
Nonostante la stretta parentela con il capitolo precedente, Berseria adotta un tono completamente diverso, segnalandosi per una storyline e dei personaggi decisamente più maturi rispetto al capitolo uscito in Europa nel 2015: alla produzione, poi, non c’è più l’iconico Hideo Baba, responsabile adesso dell’intero franchise e sostituito da Yasuhiro Fukaya.
Se siete curiosi di vedere come se la cava su PS4 l’ultimo Tales of originariamente pensato per PS3, non dovete fare altro che continuare a leggere.
La piaga di Midgand
Dopo la narrazione prolissa e a tratti confusa di Zestiria, il team di sceneggiatori della serie era ad un bivio: proseguire le vicende di quel capitolo o fare tabula rasa, slegando il nuovo episodio da ogni riferimento al passato.
Possiamo dire che Namco Bandai abbia optato per una brillante via di mezzo, ambientando Tales of Berseria a Midgand, nello stesso universo narrativo del precedente capitolo ma svariati secoli prima, ottenendo così una narrazione libera da troppi vincoli, perfettamente fruibile da chi non ha giocato al precedente episodio, al quale, nel contempo, non mancano una serie di riferimenti filosofici, religiosi, morali, quasi sempre velati e solo in un paio di occasioni più diretti.
Il risultato è che i veterani apprezzeranno la continuità narrativa e godranno di un punto di vista privilegiato (seppure solo minimamente), mentre i neofiti potranno godersi il canovaccio narrativo inedito senza bisogno di riepiloghi o di consultare delle guide in rete.
Il titolo si apre con uno degli splendidi filmati di intermezzo in stile anime, tra i migliori prodotti da Ufotable, lo studio responsabile, in cui due bambini, spaventati a morte durante un sanguinoso attacco ad un villaggio, vengono messi al sicuro da uno spadaccino dai capelli d’argento, che raccomanderà loro di aspettare il suo ritorno lontano dalla battaglia.
Le urla strazianti che provengono dal villaggio, però, non promettono nulla di buono, e difatti la sorella maggiore dei due ragazzini, Celica, moglie dello spadaccino di cui sopra, Artorius, perde la vita nell’attacco, causato da cittadini tramutatisi in demoni dopo aver contratto la demonite, una terribile malattia che si sta rapidamente diffondendo per tutto il regno.
La morte di Celica, che era peraltro incinta, lascia Artorius ad occuparsi dei due ragazzini, Velvet e Laphicet, con i quali sembra condurre una vita frugale in un piccolo villaggio ai confini del regno, immerso in una rigogliosa foresta.
La pace, però, non è destinata a durare.
Anni dopo, nella notte in cui ricorre l’anniversario della cosiddetta “Scarlet Night”, succede qualcosa di terribile ed inatteso: Artorius sacrifica in un oscuro rituale la vita del piccolo Laphicet proprio davanti agli occhi di Velvet, che contrae la demonite e, schiumante rabbia, giura vendetta.
Tales of Berseria è la storia di come questa vendetta si compirà, dell’insaziabile sete di sangue di una ragazza una volta spensierata e allegra, tramutata in un mostro incapace (o almeno così crede) di provare sentimenti e di gustarsi semplici piaceri come una pietanza calda o una notte di sonno ristoratore.
Come da tradizione, il racconto si snoda lungo un viaggio, che partirà dall’angolo più remoto di una cella maleodorante e attraverserà tutte le isole del continente, collegate tra loro da rotte marittime: un viaggio di questa portata non può essere affrontato da soli, nemmeno per un demone tanto determinato, e difatti Velvet troverà un cast di personaggi assai variegato, composto da personalità sfaccettate ed eterogenee, in cui mancano gli eroi nel senso più classico del termine ed abbondano invece le figure controverse, dalle intenzioni imperscrutabili e spesso dotate di secondi fini.
Se Zestiria rappresentava il giorno e metteva il giocatore nei panni del redentore, costretto dalla sua natura e dalle aspettative altrui ad agire secondo uno spartito predeterminato, Berseria è la notte, scura e misteriosa, in cui, per la prima volta all’interno della saga, non solo si vestono i panni di un’eroina, ma lo si fa con un misto tra riluttanza ed empatia, spinti a proseguire da sentimenti come rabbia ed odio.
Non mancheranno i momenti leggeri, le battute di spirito e delle skits spassosissime (aiutate da una sottotitolazione italiana sempre puntuale), ma i momenti leggeri si rivelano brillanti parentesi all’interno di una storia matura, violenta, che esplora tutto lo spettro dei sentimenti umani.
Se c’è quindi un aspetto in cui Berseria sopravanza Zestiria di parecchie spanne è proprio nella qualità dell’intreccio, messo in scena da una manciata di personaggi memorabili.
Un pizzico di tecnica in più
Sebbene possa sembrare un paradosso, l’unico aspetto di Zestiria che ci aveva convinto appieno, ovvero il rapido e dinamico combat system, è anche quello che ha goduto di un maquillage generale, che, pur non stravolgendone le basi, lo ha reso ancora migliore.
Il cardine del nuovo sistema è rappresentato dalla Barra Anima, cinque rombi posti accanto al ritratto dei membri del party che simboleggiano la quantità di punti azione immagazzinati, da cui attingere per qualsiasi necessità in battaglia (a parte l’utilizzo degli oggetti), dagli attacchi fisici a quelli magici.
Ogni scontro inizia con tre anime per personaggio (a meno di non venire sorpresi dagli avversari o sorprenderli a nostra volta) ma questo numero può variare a seconda delle azioni intraprese dal giocatore: infliggere status alterati, colpire le debolezze elementali dei nemici o portare a segno colpi critici, tra le altre azioni, fanno guadagnare un’anima aggiuntiva fino ad un massimo di cinque.
Queste regole si applicano anche ai mostri contro cui combatteremo, beninteso, e quindi incappare nel veleno o farsi stordire sono solo due dei modi per perdere un’anima: per recuperare anime è sufficiente parare per qualche istante gli attacchi in arrivo, alla pressione del dorsale sinistro, o girovagare per l’area dello scontro finché questi non si ricaricano.
In teoria, sarebbe possibile anche continuare ad attaccare senza più anime a disposizione, ma l’efficacia e la precisione degli attacchi portati in questa condizione sono dimezzate, quasi a voler scoraggiare i fautori del button mashing selvaggio.
Il nuovo sistema garantisce maggiore equilibrio al battle system, che comunque mantiene le prerogative di velocità e tecnica che già avevano contraddistinto gli ultimi episodi del franchise.
Alla pressione dei due grilletti del pad di PS4, poi, il giocatore può rilasciare due attacchi di grande potenza, a determinate condizioni: quello richiamabile con L2 consente di prolungare la già notevole stringa di combo possibili, accanendosi sugli avversari senza dar loro modo di contrattaccare, mentre la seconda, chiamata Anima di Sfondamento, rappresenta un’arma strategica di notevole importanza.
Se il primo attacco necessita del riempimento di un cerchio a tre livelli che tiene conto dei danni inferti e di quelli subiti, l’Anima di Sfondamento non richiede che la presenza contemporanea di tre anime, ovvero le condizioni di partenza di ogni scontro: nonostante la breve durata, questo attacco può essere devastante, perché, oltre ad infliggere un ingente quantitativo di danni al bersaglio, garantisce effetti supplementari per chi lo ha lanciato, come una rigenerazione dei punti vita o la temporanea immunità a determinati status alterati, giusto per fare due esempi.
La valenza tattica di questa abilità è data anche dal fatto che, alla sua attivazione, il personaggio che la utilizzerà perderà definitivamente un’anima, che sarà invece aggiunta al totale di quelle a disposizione del bersaglio, garantendo un ottimo bilanciamento alla meccanica ed impedendone l’abuso da parte dei giocatori, soprattutto in occasione degli scontri contro i boss, sicuramente il punto più alto raggiunto dal sistema di combattimento.
Per il resto, la struttura portante della produzione è quella arcinota: il viaggio che il gruppo di protagonisti dovrà affrontare li porterà a visitare tanto un gran numero di città e piccoli borghi quanto dungeon di varia natura, infarciti di nemici e di qualche puzzle ambientale di rara semplicità.
Tornano anche tutte le semplificazioni viste in Zestiria per quanto concerne la crescita dei personaggi, che passano di livello senza che il giocatore possa fare molto più che migliorarne l’equipaggiamento e alcuni attributi tramite l’assunzione di erbe preposte.
Per la verità, ci sarebbe anche da segnalare l’introduzione di un’attività inedita, legata al tema piratesco che pervade il titolo, ma il suo peso nell’economia di gioco è risibile, e ci si limita ad impartire ordini tramite un sottomenu e a racimolare gli oggetti che i vascelli inviati riporteranno alla base, così da arricchire ulteriormente le finanze del giocatore, già sufficientemente floride di loro.
In ultimo, come per Zestiria, consigliamo di settare la difficoltà almeno al quarto dei cinque livelli disponibili: se all’inizio sarà possibile solo scegliere tra Facile Normale e Difficile, infatti, basterà completare un paio di semplici missioni opzionali per sbloccare, in corso d’opera, due ulteriori livelli, l’ultimo dei quali darà del filo da torcere anche ai veterani.
Meno male, perché alla difficoltà di default Tales of Berseria si rivela essere una vera e propria passeggiata di salute.
Un passo avanti e due indietro
Più complesso il discorso che riguarda l’aspetto tecnico della produzione: Tales of Berseria è l’ultimo titolo della serie il cui sviluppo è iniziato su Playstation 3, e quindi, verosimilmente, l’ultimo per il quale sarà necessario chiudere un occhio sulla pochezza poligonale delle ambientazioni, su NPC molto poco curati se raffrontati con i personaggi principali, e su un set di animazioni tra il legnoso e il passabile.
Va dato atto al team di sviluppo di aver recepito le critiche rivolte a Zestiria e di aver posto rimedio, per quanto possibile, ad alcune di esse, pur nell’ambito delle forti limitazioni derivanti dallo sviluppo cross-gen: il framerate è adesso molto più solido a 60 fps (sebbene qualche calo ancora si verifichi), e questa velocità si fa apprezzare soprattutto durante i combattimenti, la pulizia generale è migliorata rispetto allo scorso episodio e, nonostante il riciclo di una larga parte del bestiario, le ambientazioni in cui ci si muoverà saranno mediamente più rifinite di quelle di Zestiria.
Questo maggiore dettaglio si paga con mappe generalmente più limitate rispetto al capitolo del 2015, tanto nei dungeon, più lineari e abbastanza piatti, quanto nella world map, dall’estensione inferiore rispetto ad altri capitoli della serie.
Sorprendentemente, Berseria perde il confronto diretto con il suo predecessore dal punto di vista della soundtrack: Motoi Sakuraba, storico compositore della saga, non ha dato vita ad una delle sue migliori performance, con il solo theme dell’overworld degno di menzione.
Non che ci si trovi dinanzi ad una raccolta di pezzi brutti o male assortiti, beninteso, ma le vette di eccellenza toccate in tante altre occasioni sono lontane, e non crediamo che la cosa dipenda dall’assenza di Masaru Go Shiina, coautore in occasione della OST di Zestiria.
Abbiamo notato miglioramenti anche nella gestione della telecamera, ancora non perfetta in senso assoluto ma comunque più gestibile ed intelligente di quella (tremenda) vista in Zestiria.
Difficile lamentarsi, infine, dell’offerta ludica del prodotto Namco Bandai: pur avendo esplorato solo in minima parte le molteplici attività secondarie, dalla cucina ai minigiochi (tra cui spicca l’hanafuda), la quest principale ha richiesto circa quarantacinque ore di gioco per essere goduta nella sua interezza, alle quali vanno aggiunte delle quest opzionali e la possibilità di riprendere l’avventura in modalità New Game Plus una volta giunti al termine.
Allo scorrere dei titoli di coda, rimane la curiosità di vedere, a partire dal prossimo Tales of, cosa gli sviluppatori riusciranno a tirare fuori dal cilindro sfruttando a pieno la potenza di PS4, nella speranza che lo sviluppo sulla sola ammiraglia Sony non porti in dote solamente una cosmesi più attraente.
– Cast di personaggi molto ben assortito
– Narrativa matura ed avvincente
– Combat system affinato e ribilanciato
– Ottimo lavoro di localizzazione
– Tecnicamente meglio di Zestiria…
– Mappe più piccole rispetto al passato
– La colonna sonora ha fatto un passo indietro
– …ma ancora figlio della scorsa generazione di console
La dualità è l’elemento che più caratterizza Tales of Berseria, in ogni suo aspetto: se, da un lato, si inserisce nel filone dei Tales of senza portare grossi sconvolgimenti, dall’altro propone anche una protagonista di sesso femminile per la prima volta nella serie, e ne fa il perno assoluto di una narrazione cupa, mossa da sentimenti di rivalsa e di odio, non troppo comuni per la serie Namco Bandai.
Lo stesso si può dire del combat system, modificato rispetto a Zestiria ma nondimeno facilmente riconoscibile dai veterani della saga, e dell’aspetto tecnico, che rappresenta un piccolo passo avanti rispetto all’immediato predecessore ma mostra ancora le rughe della vecchia generazione di console.