Recensione

TMNT: Mutanti a Manhattan

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Ci si aspetta sempre tanto dagli action firmati da Platinum Games, anche quando i progetti sono minori e non hanno i nomi altisonanti delle serie che hanno portato in gloria la software house giapponese. Non tutti i titoli sviluppati da Platinum hanno però fatto centro, e non sono mancati gli esempi in cui l’utenza ha avuto la netta impressione che il lavoro fosse svolto da una succursale dell’azienda. Considerando la mole di lavoro che gli sviluppatori hanno avuto e hanno attualmente in gestione, è logico che ci sia una suddivisione in più di un team, ma l’equilibrio al loro interno non sembra essere stato sempre ben bilanciato. Basti pensare a tal proposito a The Legend of Korra o, per l’appunto, a Teenage Mutant Ninja Turtles: Mutanti a Manhattan, di cui è davvero difficile tessere le lodi.
“Quattro tartarughe per difendere la Terra”
Platinum Games non è mai stata una vera maestra per quanto riguarda la narrazione; al contrario, ha sempre prediletto storie completamente fuori di testa e tutto sommato accessorie, memorabili più per l’assurdità di alcune situazioni che non per finezze legate allo storytelling. Mutanti a Manhattan non ha le scene pazzesche viste in Bayonetta o in diversi altri titoli Platinum, ma segue al contrario le solite, classiche vicende delle quattro tartarughe ninja e dei loro antagonisti senza uscire mai del seminato. Anche qui, la storia è insomma un mero pretesto per menare le mani lungo i pochi livelli che compongono l’avventura, e le scenette d’intermezzo sono spesso condite da battute che lasciano indifferenti e fungono in definitiva da ponte tra un’area e l’altra. 
I livelli hanno i nomi dei boss che troverete alla fine di ciascuno di essi e sono tutti grossomodo creati seguendo due linee guida con variazioni minime: aree di ampiezza media con palazzi su cui arrampicarsi velocemente o corridoi con diversi bivi da seguire prima di trovare il punto di snodo per avanzare. Ne esce fuori un campionario di aree dal level design ripetitivo, poco ispirato e prevedibile, a esclusione forse di un paio di arene per le boss fight. 
Le missioni sono strutturate a compartimenti stagni e la progressione di gioco è scandita dal superamento di alcuni obiettivi suggeriti direttamente da April O’Neill, i quali possono ripetersi più volte anche in livelli diversi, confermando dunque il fattore ripetitività, salvato solo da alcune mansioni obiettivamente più divertenti rispetto a quelle poco riuscite delle fasi stealth o di sbarramento. Dopo averle completate tutte e aver raggiunto la fine dell’area, dovrete fronteggiare i boss dotati di ben sette barre dell’energia, avendo oltretutto l’handicap di un’IA amica che talvolta complica ulteriormente i combattimenti. Sebbene sia strettamente necessario cambiare personaggio al volo e combinare gli attacchi speciali di tutti, pur utilizzando i quattro comandi preimpostati per l’atteggiamento e l’aggressività della squadra si può fare ben poco per arginare le iniziative suicide dei vostri compagni, i quali tenderanno a farsi sconfiggere prima del previsto, costringendovi a rimetterli in sesto e a combattere con ulteriori difficoltà. Se proprio dovessimo darvi un consiglio spassionato, sarebbe meglio affrontare l’avventura in cooperativa, assieme a dei giocatori che sanno come muoversi in sinergia, combinare gli attacchi e tentare di portare a termine il gioco alla difficoltà più elevata: le soddisfazioni più grandi, in effetti, Mutanti a Manhattan le dà proprio con questa modalità.
“Per la pizza vanno pazze sai!”
Il sistema di combattimento ha molto dello stile tipico dei giochi platinum games e riesce a dare il meglio di sè alle difficoltà più elevate. Nonostante non brilli per varietà, né tantomeno per numero di combo, è parzialmente ben strutturato e prevede la combinazione di attacchi multipli da alternare con un certo criterio. Giocando a facile e per buona metà della campagna a normal, potrete addirittura fare a meno dei parry e delle schivate, ma se aumentate la difficoltà sarete costretti a combinare al meglio gli attacchi di base (debole e forte) assieme ai cosiddetti ninjutsu potenziabili e liberamente posizionabili su una delle quattro caselle a disposizione. Raffaello può ad esempio usare berserk insieme al turbo e allo stealth momentaneo; subito dopo si può passare a Leonardo e rallentare il tempo, in modo da ritornare a Raffaello e sfruttare una finestra temporale per infliggere un danno devastante al nemico; successivamente, si può passare a Donatello e usare l’apposita abilità che velocizza il cooldown dei ninjutsu per ripetere un paio di volte la stessa azione corale. Sulla carta, un combat system che permette simili combinazioni sembra davvero fantastico, ma la mappatura dei comandi non è esattamente tra le più intuitive e necessità di un po’ di pratica per essere assimilata a dovere. Basti pensare infatti che bisogna passare da un personaggio all’altro molto spesso, sfruttare i rispettivi ninjutsu, arginare le nefandezze dell’IA alleata usando i quattro comandi preimpostati, usare gli oggetti col d-pad e prestare la massima attenzione alla salute dei compagni. Bisogna insomma avere una buona dose di dedizione che comunque non è sufficiente per superare agevolmente le boss fight più ostiche, soprattutto per via di una diffusa confusionarietà su schermo che non sempre permette quella precisione chirurgica sempre richiesta da action simili, che necessitano di buona tecnica e tempismo alle difficoltà più elevate. Nelle prime partite potreste essere scoraggiati dalla gran quantità di vita di cui sono dotati i boss, ma un’intelligente gestione degli attacchi, assieme alle schivate che permettono di colpire alle spalle i nemici sono tattiche doverose che allontanano una gran bella dose di frustrazione.
“Ninja, per questo noi siamo qua”
Da un apposito menù chiamato Tartattrezzatura è possibile personalizzare liberamente i propri ninjutsu, ed è esattamente qui che i personaggi perdono la propria identità, diventando dei “gusci vuoti” che potrete riempire come più vi aggrada. Non ci sono in sostanza delle differenze tangibili tra una tartaruga e l’altra: le avrete solo all’inizio coi ninjutsu di default, ma lungo l’avventura, volendo, potrete usare tranquillamente le abilità degli altri o addirittura impostare le stesse su più personaggi. Il vero problema, poi, sarà avere una buona memoria e ricordare tutte le sedici impostazioni per poterle usare con grande rapidità.
Sempre all’interno dello stesso menù potrete impostare gli amuleti, a cui sono legate abilità passive fondamentali come la diminuzione dei tempi di ricarica, l’invincibilità durante la cura dei compagni, una maggiore velocità di attacco e tante altre di cui non potrete fare a meno se non volete davvero complicarvi la vita. Più è alta la difficoltà, maggiore è il numero di amuleti da equipaggiare.
Nonostante dunque ci siano buoni spunti nel sistema di combattimento messo a punto da Platinum Games, va detto che siamo di fronte a un titolo che risulta essere di molto inferiore agli standard a cui ci ha abituato l’azienda giapponese. La progressione di gioco è gestita in modo molto pigro e gli obiettivi si ripetono con una frequenza preoccupante, le ondate nemiche sono invasive e sono palesemente dei riempitivi per una campagna che si attesta attorno alle 5-6 ore e ci sono soluzioni di game design desuete, appartenenti a un paio di generazioni fa. Su PC, oltretutto, il frame rate è bloccato a 30 fps, il che non è esattamente il massimo per un action game tecnico in pieno stile Platinum Games. Tecnicamente l’uso del Cel Shading è azzeccato, ma le linee poco morbide sembrano mascherare astutamente alcune carenze legate a una modellazione poligonale sin troppo basilare. Essenziali invece le opzioni, che prevedono il blur, i filtri delle texture, la qualità delle ombre, l’antialiasing e il V-Sinc. Il gioco è interamente localizzato in italiano, ma il doppiaggio è piuttosto altalenante e la scelta di alcune voci è alquanto discutibile.

– Molto impegnativo e tecnico alle difficoltà più elevate

– Alcune buone intuizioni legate al sistema di combattimento

– Level design fiacco e generico

– Conduzione di gioco legata a delle sottomissioni anonime

– IA amica deficitaria

– Ripetitivo

5.0

TMNT: Mutanti a Manhattan è chiaramente un titolo che non ha beneficiato di un grande budget. Sebbene sia visibile la mano di Platinum Games, soprattutto per alcune buone trovate del sistema di combattimento, il resto dello sviluppo sembra essere stato portato a termine da un altro team meno esperto. Lo si evince dalle imperdonabili carenze di design, da una conduzione di gioco abulica e da una struttura dei livelli anonima, prevedibile e davvero sin troppo generica.

Voto Recensione di TMNT: Mutanti a Manhattan - Recensione


5

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