Recensione

Stranger Things 2, ritorno a Hawkins

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a cura di YP

Alzi la mano chi ha trascorso il weekend in casa appiccicato alla televisione, magari sul divano, ben fornito di coperta e tisana calda. Ecco, siete in tanti, anzi, siamo in tanti. Quando esce un fenomeno mediatico come questa seconda stagione di Stranger Things tutto il mondo si unisce in un binge watching che diventa presto social, virale. Si sente il bisogno di condividere ogni singola impressione: ed è bellissimo. D’altro canto il racconto di Matt e Ross Duffer è riuscito ad unire più generazioni: i nostalgici degli anni ottanta, le nuove leve di appassionati e quelli che si piazzano esattamente a metà. Stranger Things gode di un pubblico ampio e vario, proprio come i migliori blockbuster cinematografici. In questo trambusto molti gridano al capolavoro, altri alla totale inutilità di una serie fortemente ispirata a immagini e argomenti di un passato quasi remoto, ma oggi estremamente attuale. La verità, forse, è da ricercarsi in quella scala di grigi che troppo spesso dimentichiamo: Stranger Things è uno show unico, divertente, intrigante; ma non sarà mai un capolavoro, semplicemente perché non vuole esserlo. Nove ore dopo proviamo a raccontarvi in cosa questa seconda discesa nel Sottosopra è riuscita, e in cosa invece dovrebbe migliorare. 

Chi s’accontenta (non) gode

Personaggi immediati, simpatici, dolci. Una scrittura semplice che scorre via veloce senza però disdegnare il mistero. Un setting fortemente ispirato e che cita continuamente cose che abbiamo amato o che impareremo ad amare. Una messa in scena molto pop ed estremamente curata. Questi gli elementi cardine della prima stagione, che in pochissimo tempo è passata dallo status di esperimento a quello di successo globale. Ti piace vincere facile, direte, e invece no, perché il prodotto Netflix è curato nei minimi dettagli e creato a regala d’arte; un’attenzione ai dettagli che oggi è difficile trovare. Stranger Things è diventata un culto di grandi e piccini, di appassionati ma anche di quel pubblico più spensierato. La seconda stagione riparte da qui: non ha alcun interesse a stravolgere, figuriamoci a migliorare in modo vistoso quanto già visto l’anno scorso. Non è ancora il momento, va ancora benissimo cosi: ecco quindi che i Duffer brother ci propongono una narrativa molto leggera, quasi effimera. Il vero fulcro di questa seconda season sono i personaggi, le loro presunte evoluzioni e tutto il mondo che li circonda. Ancora più citazioni, sempre più eleganti, e ancora più situazioni paranormali: dal Sottosopra al gigante mostro lovecraftiano, tutto è costruito per guidare, trasportare, coinvolgere ma mai realmente stupire. È un difetto? Ancora no, nel senso che è comprensibile la volontà di continuare su quel sentiero perfetto che è stato scavato l’anno scorso, ma addentrandoci nelle nove puntate emerge un sentimento di “molto bello, ma si poteva fare di più”. Non bastano le interpretazioni convincenti di praticamente tutto il cast, comprese le new entry: se Stranger Things ha ormai una sua identità estetica ben definita, ci aspettiamo decisamente meglio dal punto di vista della sceneggiatura, l’unico asso nella manica che potrebbe in qualche modo alzare il livello di una produzione che, nonostante le innegabili qualità, potrebbe diventare “canonica” molto presto. Quanto ancora durerà l’effetto “amore incondizionato”? Le debolezze di questa seconda stagione emergono quando si presta attenzione ai contenuti, imparagonabili a quelli della prima avventura di Undici e i suoi amichetti. Più mistero, più pathos, climax finale molto più d’impatto. Qui invece scorre tutto meravigliosamente come un fiume in piena, al netto di un settimo episodio quasi ingiustificabile, per poi lasciarci con la pancia vuota, affamati di vederne ancora e ancora. Ma cosa ci è rimasto? Forse nulla, se paragonato ancora una volta all’esordio della serie. Insomma un buonissimo sequel che però non lascia il segno e si dimentica di incidere dove invece avrebbe potuto. Cari Netflix e fratelli Duffer, osate di più. Vi aspettiamo il prossimo anno, con i protagonisti sempre più adulti e una mitologia che dovrà prendere una piega molto più accattivante rispetto a quella vista quest’anno.

Atmosfera fantastica

Personaggi accattivanti

Narrativamente piatta

Generalmente dimenticabile, al contrario della prima

7.5

La seconda stagione di Stranger Things è un cavallo di razza che porta a termine la corsa in scioltezza senza mai spingersi davvero al limite. Un perfetto esercizio di stile cucito sull’abito della prima stagione, che però a differenza di quest’ultima non lascia il segno, mai. Non rimane impresso un frame, scorre tutto liscio come l’olio ma alla fine il risultato, seppur godibile e innegabilmente buono, è troppo effimero. Il problema è una trama impalpabile e una regia precisa ma poco ispirata. Insomma dopo aver creato il mostro definitivo, i ragazzi di Neflix sembrano essersi accontentati di proseguire su quella strada, senza accelerazioni o sorpassi azzardati. Peccato, perché il mondo di Stranger Things ha enormi potenzialità e l’anno prossimo le carte andranno necessariamente un po’ mischiate.

Voto Recensione di Stranger Things 2, ritorno a Hawkins - Recensione


7.5

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