Ciò che tenta di fare Stairs a livello narrativo è concettualmente interessante, perché prova a sviluppare sullo sfondo dell’avventura tre storie diverse che vorrebbero trovare un filo conduttore capace di svelare lentamente la verità dei fatti. Intenzioni di questo tipo devono essere supportate dignitosamente da un sistema di gioco valido, che sorregge e coadiuva le ambizioni narrative senza trasformarsi in un grosso intralcio che spezza equilibri ed armonie. Se uno degli elementi si rivela più debole degli altri, fino a diventare addirittura un motivo d’impaccio piuttosto evidente, l’intero progetto va in malora e le buone idee si perdono puntualmente nel nulla. Questo è ciò che è accaduto a Stairs, che parte da una buona intuizione purtroppo mal sviluppata, che cozza con violenza con delle scelte di game design al limite dell’amatoriale.
La discesa
Gli unici sottotitoli attivabili sono quelli in inglese, ma per qualche motivo non appaiono in sovrimpressione durante scene fondamentali come il prologo; bisogna pertanto avere una buona dimestichezza con la lingua anglofona per capire quale sia il motivo che spinge il protagonista a imbarcarsi in un’avventura dai contorni torbidi, più vicina al thriller che non all’horror. Impersonerete Christopher Adams, un giornalista a caccia di nuove storie da raccontare che decide di indagare su tre casi di persone scomparse: Valerie Berkley, una ragazza appena diplomata; James Reed, un giovane uomo d’affari; Jean Jowars Remens, un pastore carismatico. Cosa sia accaduto loro è un mistero, ma armati di un taccuino, una macchina fotografica e una torcia vi inoltrerete nei sotterranei di un vecchio stabile abbandonato per scoprire la verità, sempre più giù, lì dove la realtà perde la sua consistenza e mostra realtà più terribili di quelle immaginate.
Non pensiate però che la trama sia molto elaborata o che si dilunghi in dettagli sui destini delle tre vittime. Viene raccontata piuttosto a spezzoni, infilandosi tra sezioni di gioco che possono dilungarsi a dismisura per via della natura contorta dei livelli, che si configurano come dei dungeon dai quali bisogna necessariamente fuggire. Questo è un difetto piuttosto rimarchevole, in Stairs, perché smorza inevitabilmente una tensione già piuttosto bassa e obbliga l’utente a passare parecchie volte dalle stesse zone. Considerando la natura labirintica degli scenari, che presentano oltretutto strade poco diversificate e con pochi punti di riferimento, si capisce come in breve tempo l’avanzamento di gioco diventi lento, faticoso e oltremodo frustrante. Va inoltre detto che non esiste un reale collegamento concettuale tra i diversi livelli, che risultano essere, a tratti, dei re-skin costruiti sulla base dello stesso modello. Una fabbrica dismessa e una vecchia miniera hanno per esempio ben poco in comune, e usare una scala che scende verso il nulla come elemento di raccordo pare più una giustificazione che non una scelta simbolica forte abbastanza da essere presa in seria considerazione. Quando gli sviluppatori parlano di “descend into madness” vorrebbero riferirsi a un sottile terrore psicologico usato come connessione tematica per le tre storie, e non tanto a un elemento fisico (la scala) che risulta essere in definitiva fuori contesto. A conti fatti va anche detto che questo terrore psicologico latita pericolosamente, presentandosi a sprazzi debolissimi e in gran parte inconsistenti. Si avverte insomma la presenza di una precisa volontà di fondo che deve purtroppo scontrarsi con molti limiti derivanti dall’inesperienza e da mezzi tecnici non esattamente all’altezza.
Sparizioni
Per rendervi il tutto più chiaro, vi raccontiamo come parte, si sviluppa e si conclude solitamente un livello di Stairs. L’inizio del dungeon prevede in genere una prima fase dove si va in avanscoperta; dopo di ciò ci si inoltra lungo il labirinto e si cercano indizi, che si palesano sempre sottoforma di frammenti di giornale. Guardando attraverso la vostra fida macchina fotografica potrete scovare porte altrimenti invisibili a occhio nudo, parti mancanti che si rimettono magicamente al loro posto dopo un preciso scatto e indizi utili per superare degli enigmi mai troppo complicati. Dopo aver trascorso molto più tempo del previsto perdendovi nei meandri delle ambientazioni proposte, e aver ottenuto la soluzione per il puzzle di sbarramento, dovrete scappare da una minaccia assolutamente incapace di spaventare, che vi costringe però a fuggire a caso fin quando non arriverete alla meta prevista. Questo, grossomodo, è ciò che dovrete fare in Stairs. Il problema è che queste inutili apparizioni (animate in maniera davvero imbarazzante e involontariamente comica) sono talvolta una fonte di frustrazione non da poco. A un certo punto, tutte le volte, entreranno in gioco e si muoveranno lungo i corridoi, sorvegliandoli e impedendovi di fatto il normale incedere verso la via di fuga. Non esiste alcun modo per nascondersi e potreste trovarveli davanti anche d’improvviso. Quando ciò accade, gli esiti sono due: o morite nel momento in cui venite raggiunti, o scappate a gambe levate fin quando vi rendete conto che la minaccia non è più nei paraggi. Ma attenzione: se non siete usciti dal labirinto, dovete sperare che la buona sorte non vi faccia di nuovo trovare di fronte al nemico, altrimenti dovrete ancora una volta augurarvi che vi vada bene. Il monster design è poco ispirato e anonimo, e di giochi con entità che si aggirano nei vostri paraggi ormai ne è pieno il mercato. Grazie al cielo non ci sono pessimi jumpscare di quart’ordine, ma Stairs fallisce anche nel creare quell’atmosfera da brivido che vorrebbe mantenere dall’inizio alla fine. Persino tecnicamente sono stati raggiunti risultati davvero modesti. L’uso del nuovo Unreal Engine non ha giovato granché per raggiungere gli obiettivi minimi e la modellazione poligonale un po’ approssimativa; il dettaglio delle texture è basso, gli ambienti sono poco elaborati, non ci sono particolari effetti grafici capaci di migliorare la resa estetica generale e alcune sezioni sono addirittura spartane e disadorne. Confrontato con la quantità e la qualità dei titoli horror già usciti sul mercato, Stairs ne esce con le ossa rotte.
– Narrativamente ha qualche buona intuizione
– Buona (ma non nuova) la meccanica di gioco usata per la macchina fotografica
– I labirinti uccidono l’atmosfera
– Posizionamento dei nemici invasivo e poco accurato
– Ripetitivo e frustrante
Frutto di un’idea sulla carta interessante, Stairs è un titolo che deve pagare l’enorme scotto di alcune scelte di game design decisamente poco furbe. Il giocatore difficilmente si sentirà coinvolto dalle tre storie proposte, soprattutto perché deve fare i conti con un ritmo mal dosato e una conduzione di gioco interrotta in malo modo da apparizioni fastidiose e incapaci di incutere timore. Non si tratta di un disastro, sia chiaro, ma il mercato offre molto di meglio.