Recensione

Shellshock Nam '67

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a cura di Jacklord

Ancora guerre, ancora un gioco di guerraSe l’inflazione fosse misurata inserendo nel paniere i giochi a tema bellico, allora i banchieri centrali suderebbero freddo, le valute sarebbero solo carta, mentre i consumatori sarebbero nauseati dall’abbondanza di questi prodotti – ma forse lo sono già i giochi di guerra, reale o giocata, sono merce inflazionata che rende i giocatori saturi e indifferenti anche di fronte ai capolavori – ma lo saranno ancora dopo aver provato SN67?

Vietnam, 1967Il Vietnam è una guerra mai dimenticata – basti pensare alla campagna elettorale di John Kerry – che rievoca eroismo misto a sterminio, dove il sovrumano sacrificio e coraggio dei singoli sono strumentalizzati dagli eserciti, dagli Stati, dalle diplomazie, dove fin quasi bene e male sono valori che camminano di pari passo. Quest’ambiguità così radicale, insopportabile come il clima equatoriale del Vietnam, viene schiarita sul piano dell’immaginario simbolico esaltando il valore dell’iniziativa individuale del soldato semplice, della recluta, facendo tacere la voce delle grandi strategie oblique, dei piani fallimentari e della clandestinità con cui gli USA condussero le operazioni belliche. La mancata vittoria militare (perché non si trattò di sconfitta) viene allora riscattata come una piena vittoria morale. E il Vietnam è diventato proprio questo: un santuario dell’eroismo, dove ogni ricordo, ogni reduce, ogni film, celebra ogni volta il rito del sacrificio di se stessi assolvendo in silenzio i grandi poteri dalle loro, mortali, responsabilità. Perché proprio il Vietnam del 1967? Perché è il 1967, l’anno dove sbocciano i figli dei fiori a Carnaby Street a Londra, l’anno in cui i Rolling Stones inorridiscono la morale dei benpensanti con “Their Satanic Majesties Request”, per la prima volta contingenti armati USA entrano a Saigon infuocando otto anni di una guerra che si spegnerà proprio a Saigon. E’ lì l’apice della simbiosi tra guerra e violenza, tra giustizia e ingiustizia, tra onore e disonore. Ed è qui che inizia SN67, il cui titolo concentra in un’unica parola l’effetto sull’uomo del sublime inferno in terra che è stato il Vietnam – shellshock, cioè l’insieme di quelle patologie mentali che colpiscono i militari dopo un prolungato servizio attivo. In pratica: follia.

Una guerra scioccante per uno sciocco gioco di guerraSN67 vorrebbe o dovrebbe trasporre su videogioco gran parte delle operazioni belliche incentrate sulla fallimentare offensiva americana nel delta del Mekong, facendo vestire al giocatore la grezza uniforme del soldato che non tarderà molto ad impregnarsi di sangue. Menù lineare ed essenziale, che già fa assaporare l’acre profumo della guerra, sfoggiando i consueti feticci dell’elmetto impalato sulla canna dell’immancabile M-16, della piastrina di riconoscimento, del teschietto che ruota su se stesso per indicare il tempo di caricamento. L’avvio della partita è diretto, senza addestramenti o briefing: la recluta che s’accinge a calpestare per la prima volta il suolo vietnamita viene catapultata subito in uno scontro ravvicinato con i vietcong, e da lì il gioco prosegue seguendo differenti campagne in differenti teatri bellici. La struttura del gioco è semplice: nessuna azione solitaria, sempre azioni di squadra, insieme alla quale affrontate altri contingenti nemici in base ad una pura sequenza lineare: il gioco richiede cioè di superare vivi una serie di attacchi di diversa natura e con diverse risorse a disposizione. A variare sono le ambientazioni e gli obiettivi, prevalendo pur sempre il medesimo modello d’azione. In questo modo il giocatore ha la possibilità di concentrarsi sugli obiettivi e affinare le sue tecniche di approccio allo scontro, possibilità aumentate da un’efficace manovrabilità del nostro soldatino – che però non è esente da severi limiti, come vedremo. Ovviamente è proprio il protagonista a vedersi affibbiare gli incarichi più delicati e rischiosi, facendo dello spirito di squadra proprio questo: un sentimento affettivo tra commilitoni che nei fatti si traduce in un fuoco di (scarsa) copertura mentre tentiamo di avanzare. Quasi inutile si rivela poi l’apporto della squadra nelle occasioni, piuttosto frequenti, in cui dobbiamo addentrarci nelle gallerie naturali scavate dai vietcong per trasformarle in postazioni con artiglieria pesante. Non solo dovremo sfuggire alle raffiche micidiali dei mitragliatori, ma dovremo anche entrare da soli nei cunicoli, sterminare frotte di nemici da soli, e sempre da soli usare le cariche di C4 per far esplodere i passaggi. Anche con la guida vietnamita al nostro fianco che ci indicherà la posizione delle trappole, saremo ovviamente noi a dissinescharle e a passare per primi. E la nostra squadra? Ci segue fedelmente, ma non si muove se non ci muoviamo noi per primi. E’ come un’ombra, quasi un nostro prolungamento con un’intelligenza artificiale assai scadente e soprattutto fuori controllo. Non sono affatto rari i casi in cui i nostri stessi compagni d’armi si posizionano sulla nostra linea di fuoco finendo bersagliati proprio dal loro fuoco amico, stendendo un ampio velo di pietà sulla logica assurda dei movimenti dei compagni, che si spacciano per veterani del Vietnam quando fanno da bersagli immobili e scoperti per allenare la mira dei vietcong! A mortificare ancor di più lo spirito di squadra interviene il “mutismo” dei nostri compagni con i quali non c’è nessuna possibilità di comunicare anche solo per ricevere informazioni sul da farsi e chiarimenti sugli obiettivi. Specialmente in situazioni di paralisi del gioco, dove l’obiettivo è poco chiaro o troppo difficile, sarebbe un beneficio comunicare con gli altri per ricevere indicazioni. In questi casi la reazione di SN67 lascia allibiti: la squadra si ferma, immobile, finché il giocatore non riesce a proseguire nel gioco. Titoli del genere sono geneticamente predisposti per essere giocati online sparando alle stelle la longevità, ma con questi presupposti il live di SN67 sarebbe una tragedia biblica senza drastiche modifiche. Quindi, più che una solitudine da supereroe che combatte contro il Male, qui si fa sentire una ben più grave solitudine, quella strategica, che isola il controllo del gioco ad un solo protagonista, escludendo qualsiasi tipo di manovra coordinata, frutto più del ragionamento strategico che della fortuna (o incoscienza) di tattiche uno-contro-tutti. A che serve inserire il protagonista in una squadra se poi è obbligati ad intraprendere azioni solitarie? Altre piccole incongruenze: se proprio la responsabilità del successo o del fallimento della missione dipende dalle nostre capacità individuali, perché i programmatori hanno pensato bene di corazzare i nordvietnamiati, al punto che per abbatterne i fragili corpi occorrono almeno una decina di proiettili? Per quanto l’ideologia comunista sia un ottimo oppiaceo contro il dolore fisico, i corpi smilzi e malnutriti dei vietnamiti non possono certo resistere, ogni volta, alle raffiche dei fucili d’assalto prima di cadere, né tanto meno mettersi a ballare il tip-tap quando si spara alle loro gambe, situazione che ci regala ogni volta momenti di ilarità a guardare tutte le mosse che i vietnamiti compiono prima di vedersi maciullare le gambe e morire contenti per Ho-Chi-Minh.

Intermezzo: dolce vita al campoNella pausa tra una campagna e l’altra, il nostro soldatino si ritrova al suo campo base dove, oltre a procurarsi gli armamenti che meglio si adattano al prossimo impegno, potrà dilettarsi entrando nei colorati scambi di merci con gli altri commilitoni mediante un intermediario tuttofare, una specie di Figaro della situazione, dal quale potrete acquistare merci davvero preziose: sostanze stupefacenti, materiale pornografico, prestazioni sessuali da parte di ben disposte signorine vietnamite, il cui business è gestito da parte di una “matrona” autoctona con la connivenza dei militari americani. Tutto però è finalizzato alla suprema prestazione, quella bellica, e pertanto anche le sostanze stupefacenti, che qui compaiono sottoforma di pastiglie con termini medici ortodossi, contribuiscono a rafforzare la percezione sensoriale del soldato, raffinandone la mira e aumentandone il coraggio. Siccome ho usato il termine “acquistare”, ai lettori più attenti non sarà sfuggito il problema connesso dei quattrini per operare questo genere di transazioni in un ambito dove quattrini non dovrebbero e non potrebbero circolarne. Allora ogni militare può procurarsi denaro in questo modo: barattandolo contro oggetti di un certo valore, come mostrine e insegne vietnamite, opuscoli propagandistici del nemico, e così via. In cambio di questi oggetti otteniamo denaro col quale poi “fare la spesa” al campo.

La giocabilitàImmediata e coinvolgente: non occorrono nozioni di arte bellica, né conoscenza di armamenti o tecniche di combattimento. Il termine di paragone più recente e riuscito è il capolavoro di Call of Duty, anche se lì la razionalità dei membri della squadra era tale che la cooperazione era decisiva oltre che facilmente attuabile. Con SN67 invece la squadra assomiglia più ad un’illusione ottica che ad un elemento cardinale della struttura di gioco. Deficienza artificiale a parte, il risvolto positivo è un alto grado di libertà di manovra, che però anch’esso si rivela più un buon proposito che una realtà certa. I movimenti sono quelli essenziali: camminare, correre, strisciare sul terreno, piegarsi sulle ginocchia. Le azioni eseguibili sono altrettanto minime: scegliere l’arma, ricaricarla, piazzare esplosivi, mira ravvicinata. Il cavallo di battaglia di SN67 è il furore degli scontri, il forsennato ritmo delle raffiche e degli agguati, l’accerchiamento del nemico, le munizioni esaurite: tutti forti elementi di realismo che tirano il giocatore, per mani e piedi, e lo gettano dentro alla giungla vietnamita. E’ questo il motivo di fondo di SN67: ingaggiare duelli simil-bellici usando psuedo-strategie militari derivanti essenzialmente dalla capacità di non farsi impallinare – ma qui non servono strateghi o veterani, servono solo ragazzetti che sfogano le tempeste ormonali imbracciando un AK74 preso dal cadavero di un vietcong al quale hanno spappolato la testa. Vero eroismo! SN67 sparge da tutte le parti abbondanti, spesso truculenti, dosi di pandemonio bellico, mettendo il giocatore in situazioni che però possono essere risolte facendo appello proprio alla ragione, mentre qui l’unica arma letale contro il caos della guerra è proprio l’azione improvvisata, schivando le pallottole e ammazzando quanti più nemici possibile. Quanto alla struttura delle missioni, vale anche qui il principio del minimo indispensabile, basando ogni missione su un determinato numero di obiettivi da conseguire nella rigida sequenza assegnata dal comando. Ogni missione si scompone poi in sotto-obiettivi, questa volta sciolti da ogni ordine. La varietà delle missioni è sufficientemente estesa, includendo oltre alle tradizionali missioni “uccidi-e-distruggi” anche missioni esplorative, in cui si ci addentra in territorio ostile, oppure missioni investigative, come trovare nascondigli segreti di armi in villaggi o liberare ostaggi occidentali. Per poter gustare questo ricco menù di missioni, manca uno strumento essenziale che azzoppa, gravemente, SN67: l’assenza di un movimento di salto che costringe a muoversi sempre su superfici piane, essendo impossibile saltare sopra o sotto piccole rialzi del terreno, scavalcare un tronco di legno abbattuto, salire e scendere dai dossi. Di fronte ad una geografia così irregolare quale è la vietnamita, come è mai pensabile di relegare ogni movimento su una, ridotta, superficie quasi-orizzontale? Questa è una scelta giustificata per uno sparatutto in soggettiva, ma non certo per uno in terza persona come è SN67. Anticipando il discorso sulla grafica, è tutto sommato normale aspettarsi muri invisibili che bloccano l’azione, che forzano il giocatore a seguire corsi d’azione particolarmente pericolosi oltre che stupidi. Un esempio su tutti: in una risaia, non è possibile scavalcare i piccoli dossi che separano i vari canali d’irrigazione, dovendo invece percorrere un solo canale fino alla fine della risaia per attraversarla poi sul suo lato esterno, esponendoci così al fuoco dei vietcong anziché approfittare dei piccoli dossi come trincee naturali da oltrepassare a mano a mano che avanza l’offensiva.

GraficamenteIncominciamo a sviluppare il discorso dalle ambientazioni. Gli scenari sono particolareggiati e vivi, incentrati su una vegetazione folta ma non così rigogliosa come ci hanno inculcato le decine di pellicole sull’argomento. Generoso l’impegno a ricostruire l’ambientazione con elementi dinamici, che trasmettono sensazioni di profondità e naturalezza dell’ambiente, come le risaie, gli accampamenti nelle boscaglie, le trincee e le gallerie dove sono posizionate le armi pesanti. Purtroppo le numerose pozzanghere e in genere la presenza dell’acqua sono trattate in maniera scadente, dando loro pesantezza e immobilità anziché fluidità. Come spesso accade, nelle situazioni più concitate il frame-rate si mette a singhiozzare, mentre non ci sono problemi di pop-up per il panorama, in sé profondo e vasto, che resta sempre stabilmente e interamente visualizzato. Connesso al problema dei movimenti forzatamente orizzontali è la diffusa rilevazione di muri invisibili, dovuti talvolta anche a fenomeni di bad-clipping. L’illuminazione è generalmente appiattita su un generico meteo soleggiato con poche ombre, anche nelle gallerie naturali dove la scarsa illuminazione delle torce produce irrealistici effetti di sovra-illuminazione. Anche le detonazioni di mine, bombe a mano, C4 è appiattito su un lungo lampo di luce, mentre le esplosioni dei bombardamenti sono efficaci nei colori ma non nella tempistica, troppo lenta nel passare tra i vari frames in cui scorre l’esplosione. Per quel che concerne i soldati, occorre tracciare una forte demarcazione tra americani e norvietnamiti: i primi sono graficamente ineccepibili per realismo e varietà delle uniformi e degli stemmi. Anche i movimenti, l’andatura, le ferite comprese quelle che maciullano gambe e braccia sono tutti di prima classe. Non solo si distinguono gli “stili” dei combattenti, ma anche quelli dei militari a riposo, del personale di supporto (medici e infermiere) e dei MPs. La fauna umana di SN67 è variegata, realistica ma soprattutto ironica e corrosiva, quasi dissacrante, capace di accostare il trafficante di droga accanto al valoroso capitano che protegge i suoi combattenti, l’opportunista a fianco dell’altruista: tutti piccoli casi in cui risuona l’eco di quell’amalgama tra eroismo ed egoismo che è stato il Vietnam. Questo si riflette nitidamente nelle raffigurazioni delle reali uniformi dell’epoca, sulle quali SN67 introduce numerose connotazioni “cinematografiche” come distintivi pacifisti, iscrizioni personalizzate, oltre a collezionare chiazze di sangue e fango. Il nostro soldato stermina frotte di vietnamiti portando un elmetto con la scritta “meat puppet” proprio puntata sugli occhi del giocatore! Purtroppo la qualità delle uniformi diventa grossolana passando ad osservare le truppe vietnamite, che vestono uniforme piuttosto grezze e poco distinguibili.

Un audio da operetta liricaQui si sentono davvero le “dolenti note”: la più fastidiosa è la localizzazione italiana, che traduce in modo approssimativo locuzioni che soltanto il gergo anglosassone può esprimere per sintesi e coloritura, obbligando l’italiano a ricorrere ad un linguaggio troppo vernacolare per poter essere inserito in un videogioco. Quindi SN67 risuona di messaggi e grida emessi con voce assolutamente fuori luogo e con un tono davvero infantile. “A-i-u-t-o” oppure “Mi-hanno-colpito” o “Viet-cong-avvi-stati”, tutte frasette pronunciate con una voce impostata, finta e ridicola, che rischia di mandare in fumo l’atmosfera del gioco se non azzerate il vostro audio.La vera chicca è poi “Aaaahhhhh”, che dovete pronunciare separando ogni “a”; ed è un urlo che risuona puntualmente al di fuori di ogni circostanza plausibile. Per non parlare delle voci vietnamite, che sembrano provenire da un coro di voci bianche composto da bambine cinesi di età inferiore ai 12 anni e che dicono “AmeLicani vi mandaLemo fuoLi dal Vietnam” e “SpoLchi capitalisti”. E’ infatti risaputo che tutti gli asiatici sostituiscono la “r” con la “l”, soprattutto se vietnamiti del nord. L’audio migliora passando alla colonna sonora che, Eidos afferma, è tratta da “grandi” successi degli anni ’60, comunque decisamente in sintonia con il gioco e l’azione, anche se durante l’azione non c’è musica, ma solo audio ambientale! Allora a che serve la soundtrack se la si può ascoltare soltanto durante i brevi periodi di dolce vita al campo base?

– Immediata giocabilità

– Difficoltà ben calibrata

– La vita del soldato a 360 gradi

– Tecnicamente altalenante

– Limitazioni al movimento

– Localizzazione ridicola in italiano

6.5

Nel mattatoio a cielo aperto del Vietnam, spunta un nuovo gioco basato sulla truculenta violenza delle armi, dei combattimenti ravvicinati, dei massacri, ma anche della cruda vita del soldato e dei torbidi espedienti per sopravvivere. Tecnicamente buono ma non eccelso, più giocabile che guardabile, offre tanta longevità basata su libertà d’azione e varietà di missioni. Non funziona il concetto della squadra, e la localizzazione italiana fa inorridire come le unghie che rigano una lavagna. Che sia l’aurora di una nuova epopea videoludica? Il fondatore di una nuova generazione di giochi di guerra? Preferisco credere alla verginità di una prostituta piuttosto che portare in trionfo l’ennesima, opaca, esaltazione videoludica di una carneficina di vite umane.

Voto Recensione di Shellshock Nam '67 - Recensione


6.5

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