Sarà l’overload di informazioni a cui i nostri cervellini sono sottoposti di giorno in giorno, ma siamo ormai in un’era dove le idee originali scarseggiano sempre di più, e vengono persino spesso ignorate quando compaiono. È un’epoca di reboot, rifacimenti beceri e sequel non richiesti la nostra, con i quali si crede di poter fare soldoni facili e ci si ritrova invece a rovinare malamente personaggi e serie storiche. Ogni tanto, tuttavia, questo genere di operazioni viene affidato a qualcuno di degno, come accaduto per il remake di Tomb Raider ad opera degli ottimi Crystal Dynamics. Il titolo aveva delle pecche, questo è indubbio, e le similarità a Uncharted erano forse eccessive, ma si è dimostrato valido, divertente e ben costruito, al punto da rilanciare la serie e divenire un discreto successo.
Con Rise of the Tomb Raider questi abili sviluppatori dovevano però dimostrare di avere qualche altra freccia al loro arco composito, dare prova di poter sfornare un titolo capace di smuovere le vendite di Xbox One anche se in esclusiva temporanea, e migliorato nella forma al punto da farsi desiderare a lungo.
Noi, dopo averlo provato per parecchie ore e aver completato la sua campagna, siamo finalmente pronti a dare la risposta alla domanda che molti videogiocatori di vecchia data hanno iniziato a porsi all’uscita del primo reboot: “Lara è davvero tornata?”
Meno sadismo, più spettacolo
Tra gli elementi più criticati del primo tra i nuovi Tomb Raider c’è sicuramente la narrativa. L’idea di riscrivere le origini di Lara, dare un tono più dark e realistico al tutto, e farla ripartire sotto forma di ragazza spaurita costretta a combattere contro la natura è stata inizialmente apprezzata, ma la sua applicazione faceva acqua da tutte le parti, poiché i Crystal Dynamics hanno brutalmente sacrificato la crescita del personaggio in favore di un ritmo di gioco spiccatamente action e delle sparatorie. Lara diveniva una imbattibile dura troppo in fretta, e tale trasformazione quasi istantanea non solo non risultava credibile, ma andava a impattare malamente su una trama che già di per sé non brillava per originalità o protagonisti. Beh, sarete contenti di sapere che Rise of the Tomb Raider corregge in larga parte questo errore di fondo, mettendovi al controllo di una Lara già rafforzata dalle esperienze passate e spinta da un fervore quasi religioso alla ricerca della scoperta che ha distrutto la carriera del padre. La base è sempre quella tipica della spedizione tra mille pericoli, eppure costringe ad abbracciare la sospensione dell’incredulità molto meno di frequente rispetto al precedente capitolo. Non solo: nonostante non manchino le morti orribili e i momenti in cui Lara viene sballottata a destra e a manca, sono calate sensibilmente anche le scene in cui la protagonista veniva letteralmente torturata dal gioco, una soluzione che abbiamo sinceramente preferito alle continue e crude sequenze viste in passato.
Attenzione… abbiamo detto “meno spesso”, pertanto la necessità di spegnere il cervello durante la campagna non è scomparsa. Ci sono ancora delle secche cadute di stile nella narrativa di Rise of the Tomb Raider, specialmente legate ad alcuni scontri a fuoco davvero esagerati e a degli specifici nemici nella seconda metà del gioco. Non vogliamo spoilerarvi nulla, sappiate solo che non riteniamo molto sensato presentare delle minacce come se fossero quasi invalicabili, e poi ridimensionarle sotto forma di avversari poco più pericolosi di quelli già incontrati. In generale, comunque, sono stati fatti passi avanti.
La dura vita dell’esploratrice
L’evoluzione non è stata solo narrativa, fortunatamente. I Crystal Dynamics hanno ascoltato fanbase e critica anche per quanto riguarda il gameplay e la conseguenza è stata una mutazione strutturale del gioco, che mantiene sì meccaniche simili a quanto già visto ma le applica con maggiore furbizia. Rise of the Tomb Raider è un gioco che ha finalmente una personalità piuttosto definita, non un’avventura completamente lineare divisa tra scalate, sparatorie ed enigmi opzionali, bensì un action adventure più libero, il cui ritmo viene dettato in larga parte dal giocatore e gli elementi esplorativi risultano un po’ più marcati. Ci spieghiamo meglio: le meccaniche di fondo rimangono pressoché identiche, con Lara che entra in copertura automaticamente, può scalare ostacoli e pareti, fa dell’arco la sua arma più utile e si muove silenziosamente in automatica quando vi sono nemici che ancora non l’hanno scoperta. A cambiare, fondamentalmente, sono state le mappe, molto più estese e ricche di attività, e le meccaniche survival, prima quasi solo di contorno e ora inserite con più criterio nella crescita del personaggio. Certo, non aspettatevi un survival puro, siamo più vicini a quanto visto in The Last of Us, la stessa tipologia di survival all’acqua di rose, ove si raccolgono materiali in giro più che altro per costruire oggetti utili durante le sparatorie o le sezioni stealth. Nel caso di Lara dovrete recuperare legna, foglie, tessuti, piume e pelli di animali per costruire granate o molotov da bottiglie e scatolette, frecce, o semplici bende per curarsi (utili soprattutto alle alte difficoltà, dove la rigenerazione della vita non è presente in combattimento). I materiali tornano molto utili anche quando ci si ferma a un campo base, poiché dinnanzi a un falò possono venir utilizzati per potenziare le caratteristiche delle varie armi, come danno puro, tempi di ricarica o precisione. In parole povere, niente commoventi scene di caccia al cervo in questo episodio, uccidere un animale o sradicare un alberello ha più senso.
La protagonista, a sua volta, ha tre rami di abilità che crescono pian piano e le facilitano la vita con tecniche extra o bonus passivi. Niente di eclatante, ma un piacevole modo di personalizzare leggermente il proprio stile di gioco e un assennato fattore di crescita aggiunto al graduale sblocco di strumenti, che permette di raggiungere luoghi precedentemente inaccessibili e spinge a riesplorare certe zone già superate.
O studi o spari
Nelle mappe allargate di Rise of the Tomb Raider trovano anche posto due elementi molto apprezzabili dell’avventura: le quest secondarie e le tombe. Le prime vengono affidate da certi npc, e oltre a permettere a Lara di ottenere oggetti utili, armi extra e più esperienza, allungano la campagna offrendo compiti non originali ma per lo più piacevoli. Le seconde sono invece ancora l’elemento più vicino ai Tomb Raider originali, che erano ben più incentrati su puzzle intelligenti ed esplorazione delle mappe. Tolta la primissima tomba, quella del Profeta, tutte le tombe in Tomb Raider sono facoltative e rappresentano forse la parte migliore del gioco. Sono a tutti gli effetti mappe con qualche enigma ben studiato, il cui obiettivo finale è sempre raggiungere una sala del tesoro dove si apprendono abilità extra (ad esempio la capacità di scoccare più frecce in serie da un manuale di origini bizantine). Non si tratta di rompicapo particolarmente diabolici, ma spezzano alla grande il ritmo dell’avventura e sono in larga parte ben studiati, al punto da non risultare ovvi nemmeno quando si usa l’istinto di Lara, che evidenzia all’istante obiettivi e oggetti interattivi. Non critichiamo nemmeno troppo la scelta di rendere le tombe quasi del tutto facoltative, poiché si tratta di una furba soluzione di game design. Volete spremervi le meningi? Troverete una decina di tombe pronte ad accogliervi, ma se al contrario siete interessati solo all’azione pura Rise of the Tomb Raider vi permetterà di saltarle a pié pari. Un buon compromesso, ulteriormente attutito dalla presenza di qualche semplice enigma anche durante la campagna principale.
Non tutto è comunque positivo in questo seguito. L’anello debole della produzione è infatti proprio quella ricerca disperata dell’azione che ha snaturato per certi versi la formula originaria. Le sparatorie in Tomb Raider non sono pessime, ci teniamo molto a precisarlo, ma sono anche ben lontane dall’essere indimenticabili. L’IA nemica, ad esempio, è “diversamente intelligente” e se da una parte usa spesso le granate e tende a muoversi, dall’altra può facilmente incastrarsi in zone ristrette o venir exploitata . Lo shooting in sé manca poi di equilibrio, con mitra utili per i gruppi di nemici ma imprecisi e insoddisfacenti, pistole quasi trascurabili, abbondanza di proiettili, un arco che supera spesso in utilità qualunque arma da fuoco, e un fucile a pompa che nell’ultimo terzo dell’avventura permette a Lara di fare stragi davanti a cui Rambo, Commando, Robocop e Martin Riggs si metterebbero a piangere. Non parliamo poi dell’abbondanza di barili esplosivi, granate e molotov craftabili, che assicurano di pulire gruppi interi di nemici in un nanosecondo. Un po’ di sfida e tattica in più l’avremmo apprezzata, anche perché più adatta alla rinnovata serietà di Lara: carneficine simili si sarebbero incastrate maggiormente con un ritorno all’umorismo e alle assurdità della Croft dal petto appuntito, ma se si sceglie la via della drammaticità mandano un po’ tutto all’aria.
Le battaglie danno quindi il meglio quando vengono affrontate in modalità stealth, con Lara che può vedere i nemici isolati grazie all’istinto e finirli all’improvviso dai cespugli. Anche in questo caso non siamo di fronte a un sistema affinatissimo, ma è indubbiamente più adatto a questa versione del personaggio. La componente tps è in pratica la peggiore del gioco, e poteva venir implementata in modo ben più brillante.
Ansimando nella steppa
L’altro problemuccio di Rise of the Tomb Raider è di natura tecnica. Il gioco è molto bello da vedere, con ambientazioni che offrono un notevole colpo d’occhio, modelli dettagliati e una discreta fluidità, che cala solo in alcuni momenti ove i particellari abbondano e, stranamente, in certe cutscene. Sono le rifiniture che lasciano a desiderare, in particolare per quanto riguarda le animazioni. Il salto di Lara è infatti semi automatico quando nelle vicinanze vi sono degli appigli. Questi automatismi tendono a interrompere le animazioni se si fa partire un balzo mentre si sta facendo qualcos’altro, dal correre al raccogliere oggetti, per un effetto non propriamente splendido. Non mancano inoltre i bug legati alla fisica del gioco o alla mobilità della protagonista, con comandi che alle volte sembrano non rispondere alla perfezione. Accade di rado, ma infastidisce, e dimostra una cura minore per il bug checking rispetto al passato.
Capiamo però anche come il progetto sia sensibilmente più esteso del primo Reboot: Rise of the Tomb Raider dopotutto regala molti contenuti ai giocatori, che non si limitano a una campagna capace di superare con facilità la dozzina di ore di gioco se si gironzola per le mappe. Vi sono infatti anche alcune missioni chiamate Spedizioni, che permettono sia di rigiocarsi i capitoli della storyline principale, sia di affrontare compiti distaccati con modificatori vari. Questi modificatori sono fissi in certi casi, modificabili a piacere per aumentare il punteggio in altri, e si basano su carte acquistabili in uno store interno. Volete giocare una missione semi impossibile alla massima difficoltà, con zero proiettili, rigenerazione bloccata, nemici in fiamme e immuni agli esplosivi, e altre chicche simili? Potrete farlo, così come vi verrà data la possibilità di combattere contro eserciti con la testa gigante o di scalare manualmente. Difficile prevedere se la presenza di leaderboard online convincerà i fan a buttarsi a testa bassa sulle Spedizioni, ma sono un extra graditissimo.
Di buona qualità infine l’audio, con ottimi doppiaggi e musiche adatte, anche se abbiamo notato qualche problema coi sottotitoli in italiano, alle volte del tutto sballati. Altra mancanza evitabile: Lara ansima di continuo, sia quando corre che quando salta, fino al punto di divenire fastidiosa. Va bene la fatica, ma bastavano gli occhi per capire la difficoltà della situazione della nostra eroina.
– Più libero, esteso e variegato del predecessore
– Le tombe sono un piacevole diversivo che spezza ottimamente il ritmo
– Gameplay solido, vario e divertente
– Le spedizioni sono una aggiunta interessante
– Graficamente ottimo
– Qualche bug e alcuni fastidiosi problemi tecnici
– La narrativa ha ancora delle pesanti cadute di stile
– Le sparatorie sono l’elemento più debole della produzione
– Alcune fasi della campagna potevano venir calcolate decisamente meglio
I Crystal Dynamics hanno ascoltato fan e critica, e modificato il loro pargolo per dare un senso maggiore alle sue meccaniche survival ed enfatizzarne l’elemento esplorativo. Ha funzionato, e Rise of the Tomb Raider è uscito dal bozzolo con più personalità e brio del suo predecessore. Tuttavia i difetti in questo seguito non mancano, e sparatorie non propriamente fantastiche, unite a qualche problema tecnico e a passi falsi nella narrativa, impediscono a Lara di tornare alla grandezza assoluta. Se cercate un ottimo action adventure su Xbox One, comunque, non dovete andare oltre.