Quando ancora ero un baldanzoso bimbo paffuto e innocente, nella simpatica aula della mia scuola c’era un immancabile rito mattutino: parlare di videogiochi e televisione. Ogni santo giorno, arrivava un compagno di classe random che, con gli occhi quasi luminescenti, si lanciava al centro di un gruppo già formato di ragazzetti, accelerato nel suo moto dalla frase “oh, ho un nuovo videogame ed è fighissimo”. Avevo in pratica sempre un buon motivo per pigliare la mia fiammante biciclettina, e andare con gli amici a casa del fortunato possessore di console. Poi un bel giorno uno di noi riuscì in qualche modo a metter le mani su Resident Evil, e diede ancora una volta il via alla solita migrazione di bimbetti verso la sua stanza. Lo ricordo ancora abbastanza lucidamente: iniziammo il gioco, incontrammo il primo zombie, e rimanemmo pietrificati per circa 2 ore, in preda al terrore ogni santa volta che il giocatore designato tentava di aprire una nuova porta. Eravamo piccini e al giorno d’oggi siam tutti molto meno impressionabili, eppure il titolo di Mikami trasudava paura, al punto da portare chiunque lo giocasse ad ignorare traduzioni dei dialoghi quasi demenziali. Non era un gioco perfetto, ma diede vita a un genere ed è giustamente considerato un classico, pertanto Capcom, dopo la deriva action della serie e gli attacchi serrati della fanbase del marchio, ha deciso di ritornare alle origini rifugiandosi nei Revelations e in quei capitoli che ancora oggi vengono indicati come i migliori in assoluto. Sull’attuale generazione la scelta non poteva che cadere proprio sul primissimo Resident Evil, ma non con un remake totale, bensì con la riedizione hd dell’ottimo remake visto su Gamecube, ulteriormente ripulito e migliorato per arrivare sulle nuove console e su pc. Sono passati molti anni e Capcom non naviga esattamente nell’oro… varrà ancora la pena di giocare al capostipite dei survival horror?
Altro che putrefazione
Parto con lo spiegare con esattezza perché, dopo tutto questo tempo, Resident Evil rimane un classico. Il lavoro di Mikami è l’equivalente videoludico di una gabbia, imprigiona il giocatore con meccaniche vetuste, legnose e volutamente limitanti, che di norma farebbero sclerare il più santo degli uomini. Eppure tale sistema è studiato appositamente per aumentare la tensione e la campagna completamente strutturata attorno ad esso, una lampante dimostrazione del fatto che, quando c’è un game designer con i cosiddetti a supervisionare un progetto, anche controlli indegni possono diventare una caratteristica positiva. I protagonisti, Jill e Chris, ruotano lentamente, non dispongono di schivate, e devono combattere gli avversari da fermi con proiettili limitatissimi e un modo di mirare a dir poco inaffidabile. Avere sotto controllo eroi così indifesi aumentava spaventosamente il senso di pericolo, e ancora oggi fa venire i brividi in certe situazioni, visto che alla massima difficoltà persino uno zombie può eliminarvi con un paio di affettuosi abbracci. A tutto questo si aggiunge un inventario limitato, che costringe ad esplorare a dovere i corridoi di Villa Spencer e a tornare spesso nelle poche zone dotate di forziere, dove è possibile lasciare gli oggetti trovati durante le vostre camminate tra i non morti. Gli strumenti da raccogliere non son nemmeno pochi, poiché il titolo, più che un action, è un adventure con molti puzzle dove si avanza a suon di oggetti combinati, chiavi utilizzate al momento giusto e trappole evitate aguzzando l’ingegno.
Per gran parte dell’avventura dovrete essere dei giocolieri dell’inventario, capire cosa portarvi dietro e quando, e tenere da parte cure e preziosi proiettili per le battaglie più ardue, o difficilmente potrete avanzare. Addirittura i salvataggi sono limitati a delle zone sicure dotate di macchine da scrivere, utilizzabili solo con delle ricariche d’inchiostro.
L’impressionante magione dove i protagonisti si ritrovano dopo una fuga da alcuni cani zombie, peraltro, contribuisce sensibilmente a rendere Resident Evil un gioco di culto. Villa Spencer è ricca di stanze e porte chiuse da sbloccare man mano, e pur essendo zeppa di pericoli riesce a non divenire mai labirintica, permettendo di concentrarsi su determinati enigmi o su una serie di zone collegate furbescamente tra loro ogni volta. Ad essa è poi collegata una narrativa banale solo all’apparenza, che in particolare in questo remake brilla grazie a molti dialoghi riscritti (niente “master of lockpicking”, se ve lo stavate chiedendo) e ad alcune testimonianze di rara potenza aggiunte nel mix. Si tratta insomma di un inquietante quadro dipinto con mano ferma e tratto incredibilmente sicuro, che offre un livello di sfida notevole nei panni di Chris, ma anche con le facilitazioni e l’inventario allargato di Jill rimane un piacere da giocare.
Che Resident Evil fosse un gran gioco, comunque, lo sapevate un po’ tutti e non è nemmeno una sorpresa il fatto che, rughe o meno, lo sia rimasto. Oggi devo però valutare la qualità effettiva del remake, da me testato su Playstation 4, e va detto che il lavoro fatto da Capcom non è esattamente da strapparsi i capelli.
Il ritocco più evidente riguarda i modelli tridimensionali di mostri e protagonisti, vistosamente migliorati sia nella modellazione che nella qualità delle texture. La nuova versione HD vanta anche varianti più vicine a quelle attuali di Chris e Jill tra le scelte iniziali, e un’illuminazione migliorata che va a influire su di loro in modo più realistico nelle varie zone della casa. Ah, già, parlando della casa, questa si mostra ancora sotto forma di sfondi statici esplorabili, in parte ridisegnati per adattarsi meglio alla nuova risoluzione. Ecco, segnatevi bene questo “in parte”, perché se da un lato certe location come l’atrio principale sono state rifatte da capo, con nuovi elementi e una definizione di tutto rispetto, la stessa cosa non vale per la maggior parte degli sfondi, che oggi come oggi risultano non poco sgranati. Non è certo sufficiente a rovinare il tutto, eppur stona, dando l’impressione che Capcom non abbia voluto sforzarsi più di tanto per offrire un’esperienza davvero aggiornata a dovere. A sottolineare ulteriormente la cosa ci pensano certi modelli 3D con texture indecenti e il framerate, fisso sui trenta e abbastanza ingiustificabile se si pensa al peso limitatissimo dell’engine. Pensiamo in quest’ultimo caso si tratti comunque davvero di una scelta stilistica, perché la lentezza del gameplay di Resident Evil rende praticamente indistinguibile l’aumento di fluidità. Più che apprezzabili invece le opzioni legate al widescreen, ben implementato ma convertibile al formato originale per chi lo desidera, alla lingua giapponese, e al movimento, con uno schema attivabile di controlli più moderno che non richiede la rotazione sul posto per muoversi e facilita un tantino le cose al giocatore. Impeccabile ancora il sonoro, che accompagna ogni vostro passo con rumori di fondo angoscianti e musiche adeguatissime. Il Wesker Report è infine contenuto nel remaster, e completa la risicata lista di miglioramenti in compagnia di qualche chicca sbloccabile finendo il gioco.
– Prezzo piuttosto onesto
– Il gioco base è ancora notevole
– Modelli dei protagonisti ritoccati a dovere e qualche sfondo ridisegnato in toto
– Gli sfondi non ridisegnati e le texture sgranate di certi modelli stonano non poco
– Miglioramenti fin troppo limitati rispetto alla versione originale del remake
Siamo sinceri, Resident Evil, ancora oggi, è una gran dimostrazione della genialità di Mikami e resta un gran gioco, impegnativo e ricco di tensione nonostante i controlli legnosi e la macchinosa gestione dell’inventario. Non possiamo però premiare pienamente un remake che è rimasto bene o male invariato dall’era Gamecube, perché il lavoro di aggiornamento in questa edizione, seppur buono, risulta alquanto contenuto e a tratti insoddisfacente, dando l’impressione di essere abbastanza affrettato e voler sfruttare la solidità del titolo. Si poteva fare sicuramente molto di più, tuttavia ve lo consigliamo lo stesso se non avete avuto la fortuna di giocare al remake dell’originale, ne vale ancora la pena.