Pochi media permettono a un essere umano di dare sfogo al suo genio creativo come i videogiochi. Si tratta di un’industria in evoluzione continua, che di giorno in giorno acquisisce sempre più validità, e che, pur avendo raggiunto la maturità da tempo (con buona pace dei denigratori), non si è ancora incagliata del tutto nella secca del “vil denaro ad ogni costo” e della ripetitività.
Si potrebbe pensare che la linfa vitale di tale creatività risieda esclusivamente negli sviluppatori indipendenti, distaccati dalla visione denarocentrica delle grandi aziende e dei luminari dell’economia spicciola, ma sarebbe un errore. Alcune grandi case, infatti, non hanno abbandonato le radici del videogame, quelle che la pianta l’hanno fatta crescere a forza di idee innovative e mondi fantastici, e che ancora oggi ispirano migliaia di creatori talentuosi a concretizzare la loro immaginazione.
A Sony si possono imputare vari peccati, ma non quello di non coltivare i talenti, poiché negli anni il colosso nipponico ha svezzato numerosi studi brillanti, e avviato molte operazioni per valorizzarne le capacità. Il Playstation C.A.M.P. è una di queste operazioni, un progetto che ha lo scopo di raggruppare giovani sviluppatori pieni di idee e volontà.
Rain deriva proprio dai cervelli di questi game designer, supportati nello sviluppo da Acquire e dal pluriosannato Japan Studio. Dopo esser stati catturati dal suo interessante concept, finalmente abbiamo completato il titolo. Sarà poesia pura, o un’opera dimenticabile?
Storia di due bambini nell’oscurità
Rain si basa su un concetto di una semplicità unica, ma comunque ricco di spunti: il protagonista è invisibile, e può esser visto solo se colpito dalla pioggia. Un fondamento che potrebbe sembrare piuttosto scarno per un videogame, ma su cui i ragazzi di Playstation C.A.M.P. hanno modellato non solo l’intero gameplay del loro pargolo, ma anche la sua narrativa.
Vivrete questa storia nei panni di un bambino, durante una normalissima notte nel tepore delle coperte. Nelle tenebre, improvvisamente il piccolo vede una bambina, trasparente come il vetro e visibile solo grazie ad un forte temporale. Inizialmente incuriosito dalla visione, il bimbo nota una terribile creatura che insegue la ragazzina e, preso da spirito eroico, decide di lanciarsi nella pioggia per salvarla. Passato attraverso un misterioso portone, il nostro diviene però invisibile a sua volta e si ritrova a dover salvare sia la sconosciuta ragazza che sé stesso dalle forze dell’oscurità, in una città dove non ci sono più luci né segni di vita.
E’ una premessa fiabesca, ma non di quelle ricche di colore e magia. C’è malinconia nella storia di Rain, un’atmosfera buia e triste che pervade l’intera produzione e si manifesta fisicamente nelle ambientazioni. La storia non è certo elaborata o particolarmente originale, eppure riesce ad essere un punto di forza per via del singolare metodo di narrazione utilizzato, ovvero una serie di scritte inserite tra i muri della città come tra le pagine di un libro. Ora della fine forse le vicende dei due bambini non riusciranno a convincervi del tutto, ma riusciranno ad emozionarvi, e questa è la cosa importante.
L’acqua è morte
Passiamo al fulcro di tutto, la pioggia. Rain vive di pioggia, nasce e cresce attraverso di lei e la sfrutta in vari modi. Il gameplay è di una semplicità disarmante: Al bambino è concesso di correre, saltare e interagire con alcuni elementi del paesaggio, nulla di più, nulla di meno. La varietà deriva fondamentalmente solo da una serie di puzzle basati sulla tempesta perenne che fa da sfondo al gioco, e su un basilare sistema stealth che sfrutta il rumore e l’invisibilità del protagonista da asciutto. Camminando sotto alle tettoie, il bimbo scomparirà, evitando così le attenzioni di pericolose creature trasparenti e di un temibile inseguitore chiamato “l’Oscuro”. A questi mostri basterà un colpo per eliminarci, e verranno attratti facilmente dai suoni o da movimenti poco furbi nelle vicinanze, dunque sarà necessario studiare i loro percorsi e utilizzare oggetti utili per raggiungere la zona successiva.
Gli sviluppatori hanno saputo trovare vari modi per sfruttare la pioggia e mutare i puzzle del gioco in base alla locazione, non c’è dubbio. Il bambino dovrà inizialmente sfruttare solo il rumore delle pozzanghere e le coperture, ma avanzando avrà a che fare con creature utilizzabili per liberarsi di vari ostacoli, tettoie semovibili, pozze di fango pericolose perché in grado di rendere visibili i suoi piedini e, ovviamente, anche con la bambina che ha dato il via all’avventura. Le gocce, tuttavia, iniziano a diventare una fastidiosa grandinata se si analizza la qualità e originalità dei puzzle nel complesso. Non fraintendeteci, ci sono varie trovate intelligenti, ma nel complesso Rain vive di enigmi incredibilmente facili e intuitivi nella prima parte, e di un sistema di collaborazione tra i due bambini, nella seconda parte, privo di libertà e strutturato semplicemente in modo da offrire una nuova serie di rompicapo. Si avanza con piacere, senza problema alcuno, spinti dall’ambientazione e dalla volontà di scoprire come la fiaba finisce, ma l’esperienza ludica non brilla particolarmente né si distingue con forza dalla massa.
Un maestro alla regia
Non criticheremmo così aspramente il gameplay di Rain se ci fosse una struttura artistica eccezionale a supportarlo, molti altri titoli, dopotutto, si sono rivelati capolavori anche con una giocabilità ridotta all’osso, innalzati da un’art direction divina o da una narrativa strabiliante. Il problema di quest’opera è che, pur avendo qualche sprazzo di genialità, non riesce a colpire al cuore quanto altri prodotti dello stesso tipo. Per farvi un esempio più concreto, l’art direction è solida e la città buia in cui i protagonisti vagano incessantemente riesce a stupire, ma la maggior parte della meraviglia deriva da una regia magistrale, che sa trovare praticamente sempre l’inquadratura perfetta per donare impatto alle varie scene. Di suo la grigia cittadina in cui tutto è ambientato non meraviglia il giocatore, e il comparto tecnico risulta piuttosto arretrato, con modelli poligonali scarni e texture sgranate, salvati solo dalla beltà di poche animazioni e dall’azzeccatissima musica di sottofondo (si tratta di Debussy, per chi inevitabilmente lo chiederà nei commenti).
Insomma, non si giunge al finale realmente estasiati o stupefatti dall’originalità del prodotto. Mantenendosi fin troppo vicino ai crismi dei videogame classici, Rain fatica a distinguersi e riesce a risultare pregevole solo perché trasmette alla grande un’atmosfera da fiaba malinconica. La sua natura nasconde, infine, anche un altro difetto. La durata. Si parla di due ore di gioco a malapena, divise in otto capitoli, che possono diventare tre se si decide di rigiocare l’avventura e di cercare i ricordi sparsi per la città nella seconda run.