Recensione

Persona 2 Innocent Sin

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Rifugio di una schiera sempre meno folta di appassionati hardcore, Persona è una delle saghe più amate da quanti vivono di pane e JRPG, un genere che, fatte salve le console portatili, non ha certo vissuto un periodo favorevole nell’ultimo lustro. Eppure PlaystationPortable ha beneficiato della trasposizione di tutti e tre i primi episodi, richiamando quanti si erano persi gli originali, ma anche molti di quelli che, abbagliati dalla carica innovativa della saga durante la seconda metà degli anni 90, hanno colto al volo l’occasione di un secondo playthrough, godendo magari di qualcuno dei bonus (non troppi, in verità) che Atlus ha stipato negli UMD di gioco.Ecco quindi che Persona 2 Innocent Sin giunge finalmente sui lidi occidentali dopo un’attesa di dodici anni, dove finora si era visto solo il secondo episodio intitolato Eternal Punishment.Vestite la vostra maschera e seguiteci.

The Masked CircleSe c’è una cosa in cui Atlus eccelle, è sicuramente la caratterizzazione dei suoi personaggi e la cura riposta nelle relazioni che tra di essi vengono a crearsi. Infatti Innocent Sin non è solo la storia di Tatsuya, ennesimo eroe belloccio e di poche parole, ma di un gruppo di cinque ragazzi apparentemente mal assortiti, legati solamente dall’età adolescenziale e dalla frequentazione di una città che ha tanto il sapore della Tokyo contemporanea.Dopo un inizio blando, dove l’ambientazione scolastica – marchio di fabbrica della serie – e qualche dialogo particolarmente sopra le righe possono indurre a pensare ad una trama leggera, incentrata sui conflitti prepuberali di un manipolo di giovani, ogni binario narrativo si inerpica con maestria su percorsi tortuosi, inaspettati, che portano i personaggi a crescere e il giocatore ad appassionarsi sempre più alle loro vicende, che presto passano dal particolare al generale e finiscono con il coinvolgere un’intera metropoli, che vive prima una strana malattia che storpia il viso degli studenti di un liceo, poi un’irreale situazione in cui i pettegolezzi diventano la tela con cui è tessuta la realtà stessa e, infine, un attacco militare su larga scala. La bellezza della trama raccontata ci spingerebbe a sviscerarla tutta ma, a parte i problemi di spazio, questo rovinerebbe l’esperienza a tutti coloro che non riuscirono a procurarsi una copia del gioco nel 1999, quando toccò i lidi PSOne. Innocent Sin è una storia di tradimenti, di sentimenti forti, in cui la percezione si sostituisce, in più momenti, alla realtà, dove il giocatore è spinto ad immedesimarsi nelle vicende e stimolato a porsi delle domande, preso per mano e condotto per una strada perfettamente logica che conduce alla follia. Un particolare plauso agli sceneggiatori, che non ebbero paura di toccare temi maturi e di portare in scena finanche gli odiosi baffetti del Fuhrer.La versione da noi testata, destinata al mercato americano, non presenta ovviamente i sottotitoli nella nostra lingua: tanto meglio perché, per apprezzare ogni passaggio della storia, è necessaria una conoscenza degli slang giovanili americani oltre che della grammatica inglese.

12 anni portati…beninoLa formula che ha reso famosa l’epopea di Persona non subisce qui stravolgimenti di sorta: tutto ciò che gli appassionati hanno imparato ad amare c’è ma, purtroppo, ci sono anche diverse cose di cui si farebbe volentieri a meno, alcune strutturali, altre legate a scelte discutibili in fase di programmazione, altre ancora figlie dell’età del titolo originale.La saga, oltre che per l’eccellenza dei comparti narrativi su cui ci siamo già soffermati, è ricordata da più parti per la difficoltà sopra la media, un design dei dungeon che provoca una sovraproduzione di bile notevole da parte del videogiocatore e una frequenza degli incontri casuali a dir poco stressante. La combinazione degli ultimi due elementi rende le fasi esplorative la parte meno riuscita e sicuramente più frustrante di Innocent Sin: i dungeon sono composti di texture tutte uguali, sia per le limitazioni tecniche della prima PSX sia per ostacolare in tutti i modi l’orientamento dell’utente che, difatti, va in tilt dopo pochi minuti. Come se non bastasse, i diversi piani dei dungeon sono disseminati di trappole, botole e dead end: il risultato è che affronteremo decine (quando non centinaia) di scontri casuali di livello in livello, cosa controproducente per varie ragioni. Innanzitutto ne risente la portabilità del titolo, poco adatto a sessioni rapide vista l’impossibilità di salvare dentro i dungeon e la loro durata media che va dai 45 minuti all’ora e mezza buona; in second’ordine, l’eccessivo grinding porterà il party a divenire presto uno squadrone della morte, abbassando inevitabilmente il tasso di sfida del gioco, poiché i boss non si adeguano al livello del party che gli si parerà dinanzi, togliendo sale agli snodi focali del gioco. In ultimo, il fattore frustrazione potrebbe far capolino: anche il più temprato degli appassionati di JRPG potrebbe non trovare così divertente scoprire che l’unico modo per venir fuori da un dungeon senza uscita sia girare in circolo per 4-5 volte o che, dopo tre piani senza trappole, il quarto livello di un labirinto sia disseminato di botole che causano la caduta al piano inferiore, costringendo a ripetere lo stesso spezzone più e più volte, avanzando solo grazie alla pazienza e alla fortuna. La possibilità di dialogare con i demoni piuttosto che combatterli, altro marchio distintivo, è ben implementata e dona, come sempre, grande varietà ai combattimenti, che però mancano di ritmo, complici anche dei caricamenti inconcepibili vista la potenza dimostrata dalla pensionante PSP: dover interrompere l’esplorazione ogni 5-6 secondi per combattere scontri rigidamente a turni dalla durata minima di 4-5 minuti l’uno, non aiuta la fruibilità e la digeribilità del prodotto, che rischia così di esercitare il suo altrimenti immenso fascino solo su un ristretto nucleo di appassionati, disposti a scendere a compromessi pur di godere di una storia raccontata benissimo e di personaggi memorabili. Che non passi però il concetto che nulla funziona come dovrebbe: ottenere dai mostri le card necessarie ad evocare nuovi demoni nella Velvet Room è un’operazione intrigante come non mai, e il livello di personalizzazione del party, pur inferiore a quello concesso all’utente negli episodi più recenti, è comunque largamente superiore alla media del genere, se è vero che ogni personaggio può essere equipaggiato con un gran numero di oggetti e soprattutto con la Persona che più ci aggrada. Interessante anche la dinamica dei rumour, che, da un certo punto del gioco in poi, permette letteralmente di plasmare la propria avventura, decidendo le sorti di molti personaggi non giocanti, quest secondarie e perfino la qualità degli armamenti disponibili nei vari negozi.Saremmo curiosi di vedere alcune di queste idee implementate in molti prodotti odierni che, invece, battono strade risapute, non premiando scelte che dodici anni fa erano ancora più avanzate di quanto non siano oggi.

Squadra che vince non si cambia (ma invecchia)Anche a livello tecnico Innocent Sin rivela le sue radici, che affondano nell’era a 32 – bit: ancora una volta Atlus ha scelto di non adeguare alle potenzialità tecniche della console ospite il suo vecchio titolo, limitandosi ad aggiungere una manciata di filmati vagamente anime style, di certo apprezzabili ma fondamentalmente slegati dal resto dell’opera. Eppure non siamo qui a lamentarci della grafica di gioco, perfettamente funzionale e tutto sommato affascinante nel suo stile retro, aiutata anche da talking heads che trasudano stile da ogni pixel: quello di cui si sente la mancanza è piuttosto un set di animazioni adeguate, vista la legnosità che caratterizza gli innaturali movimenti del nostro alter ego. Anche in battaglia i frame di animazione si contano sulla punta delle dita, facendo somigliare gli sprite a dei disegni cartonati che si muovono su uno sfondo statico. Un effetto sinceramente sgradevole sulla console che ha ospitato le avventure portatili di Kratos e Snake senza sfigurare.Pollice decisamente in alto per la colonna sonora, che, sia nella sua versione originale che in quella remixata, riesce ancora a toccare le corde giuste al momento giusto, aiutando il plot a creare delle spire narrative che avvolgono il giocatore che saprà passare oltre i difetti fin qui elencati.Bene, benissimo anche la longevità: alla quest principale, risolvibile in circa quaranta ore di gioco, si aggiungono delle side quest che potremo affrontare una volta sparsa la voce giusta in città e l’inedita modalità Theatre, che offre missioni alternative che aggiungono ulteriori tasselli alla storia, oltre che un pugno di ore supplementari.Se si considera che l’edizione speciale europea conterrà il CD della colonna sonora e una t-shirt esclusiva…non vorremmo essere nei vostri panni al momento di scegliere.

– Narrazione di alto livello

– Esperienza di gioco plasmabile dal giocatore

– Colonna sonora memorabile

– Tante ottime idee sparse qua e là

– Design dei dungeon irritante

– Poco fruibile “on the go”

– Invecchiato male per alcuni aspetti

7.8

Atlus è maestra nel proporre titoli controversi, amati in maniera viscerale e incondizionata da una minoranza di fan e ritenuti troppo di nicchia dalla maggioranza. Noi apparteniamo decisamente alla minoranza, ma verremmo meno al nostro dovere di recensori a non evidenziare delle scelte contenutistiche, stilistiche e di gameplay che male si sposano con la concezione attuale del medium videoludico. Innocent Sin finisce così con il rappresentare la scelta virtualmente perfetta per quanti ne attendevano una versione in lingua inglese da oltre dieci anni, ma anche per tutti coloro che da un JRPG cercano una trama memorabile, personaggi a tutto tondo e colpi di scena come se piovesse.

Voto Recensione di Persona 2 Innocent Sin - Recensione


7.8

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