Recensione

Paradise

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a cura di Alex64

Raramente mi sono imbattuto in videogiochi insipidi e noiosi come Paradise; sicuramente, nell’arco della mia vita da videogiocatore, mi sarò trovato dinanzi qualcosa di oggettivamente peggiore, non lo escludo, ma adesso come adesso non me lo ricordo, probabilmente perché risento ancora dell’effetto soporifero dopo l’ennesimo puzzle a metà tra frustante e demenziale targato Benoit Sokal. Ai fanatici del genere punta-e-clicca, il nome testé pronunciato – Benoit Sokal – suonerà senza dubbio familiare; si tratta infatti dello sceneggiatore i cui lavori (nel dettaglio Amerzone, Syberia e relativo seguito) hanno di fatto contribuito a risollevare le sorti della “Microids”, al tempo sulla soglia del fallimento. Peccato che stavolta, il buon Sokal si sia bruciato con una sola mossa tutta la fiducia conquistata in precedenza da pubblico e critica.

Nel cuore dell’AfricaL’avventura prende piede in una regione africana – ovviamente fittizia – chiamata Maurania. Il periodo non è però dei più tranquilli, imperversa la guerra civile. I ribelli cercano ormai da parecchio tempo di detronizzare Re Rodon, giudicato un dittatore spietato, e stavolta, con l’ammalarsi di quest’ultimo, le probabilità versano come non mai a favore dei ribelli. Rodon ha anche una figlia, da tempo fuggita in svizzera con la madre (si parla di 10 anni). L’ormai vecchio sovrano è conscio del fatto che la sua vita volge al tramonto – come il suo regno del resto – e l’unico desiderio sarebbe quello di vedere per l’ultima volta la figlioletta che anni addietro gli fu portata via. Succede così che la devota figlia, Ann Smith, decide di intraprendere un viaggio nella sua terra natia per fare presenza al capezzale del padre morente, ma qualcosa va storto, il suo deltaplano viene abbattuto dai ribelli e precipita prima di raggiungere la reggia. Ritrovata esanime e in piena amnesia dai beduini del deserto, Ann verrà in seguito accolta in un fastoso palazzo, appartenente ad uno dei tanti principi persiani che ivi tiene il suo harem. Dal risveglio in poi entrerete in scena voi. Per prima cosa, dovrete lasciarvi alle spalle il palazzo fuggendo dalle grinfie del vostro lussurioso e lezioso ospite, e per farlo dovrete penare minimo un paio d’ore; poi, occorrerà guidare Ann attraverso mille peripezie, visitando le ambientazioni più svariate tutte quante in tema “profonda Africa”. Incontrerete un sacco di controparti nel vostro cammino: una paffuta matrona, un mercenario all’apparenza senza scrupoli ma buono come il pane, un criptico scienziato, alcuni beduini erranti, gente appartenente ad una tribù (i “Molgrave”) che vive in punta di albero tutta la vita, etc. Peccato solo che il finale (l’incontro col padre e la ritrovata memoria) preveda un sipario “ad effetto” abbastanza insulso, introdotto a forza per paura di apparire troppo scontati, e questo vanifica anche quel minimo interesse andato formandosi nell’arco delle ore di gioco (non puoi fare una trama lineare al massimo e poi finire col colpo di scena tanto per). E comunque, parlando della storia in generale, il tema dell’ “ultimo sogno di un vecchio morente” è un tema che ricorre sempre nei giochi di Sokal, sarebbe anche ora di cambiare.

Un genere senza tempoAssodato che la storia incomincia bene ma finisce male, passiamo al gameplay. In verità non c’è molto da dire, si tratta di un’avventura grafica punta-e-clicca, e dunque non dovremo fare altro che muovere il nostro personaggio cliccando con il cursore il punto della schermata da raggiungere, al fine di esplorare in lungo e in largo le aree di gioco alla ricerca dei vari hot spot. Al solito, il cursore cambierà forma a seconda delle azioni che ci sarà possibile compiere con questo o quell’oggetto in particolare (raccogliere, esaminare, combinare, etc.). Accedendo poi all’inventario potremo validamente utilizzare tutto quanto in nostro possesso per interagire con gli elementi dello scenario. Fin qui pare tutto tranquillo, peccato che all’atto pratico i programmatori di Paradise siano stati incapaci di implementare financo un sistema di controllo collaudato come quello dei punta-e-clicca. Prima di tutto, le angolazioni della telecamera spesso rendono problematico e non poco intuire dove sia locato un hot spot e non solo, spesso le vie da percorrere sono nascoste, o comunque disposte in modo tale che una mera rientranza sul muro risulti più visibile dell’accesso ad una stanza o a un corridoio (dovrebbe essere il contrario). Il rischio di andare in confusione è elevato, e il “pixel hunting” estremo. A volte poi, capita che il cursore non risponda in tempo utile o, comunque, cambi forma in maniera errata rispetto all’azione che avremmo dovuto compiere; altre volte invece non risponde per niente e resta tale e quale (allegria). Rimarrebbe da dire che anche le “fogge” date al cursore sono quantomeno infelici: la “trombetta” per far partire il dialogo è inguardabile quasi quanto i dialoghi stessi, ma non voglio infierire.

Una protagonista fuori dal mondo per un’avventura priva di logicaAnn Smith, ammesso che questo sia il suo vero nome, appare sempre fuori contesto, come se fosse immersa in un mondo tutto suo separato dalla realtà: non riflette la minima reazione alle meraviglie dell’Africa o – di contro – alle brutture della guerra quando queste, inevitabilmente, le si parano davanti. Difficilmente un personaggio del genere saprà conquistarvi ludicamente parlando, in quanto poco e mal caratterizzato, senza vita… in poche parole assente, al pari di uno zombie. Quando parla o si atteggia ad esempio, non presenta alterazioni vocali di sorta (tranne quando decide di adulare qualcuno o qualcosa), né tantomeno accenna un minino di mimica facciale (sembra una maschera di cera) o ancora di linguaggio gestuale… a parte il continuo grattarsi la testa (mah, avrà i pidocchi?) e guardarsi i piedi che, a lungo andare, sono cose anche piuttosto irritanti per noi che giochiamo. Rimanendo in tema, quando interrogherà i personaggi – anch’essi praticamente privi di caratterizzazione visto che vanno e vengono come mosche, senza un minimo di presentazione – si finirà sempre in discorsi senza capo né coda, inseriti soltanto per dovere di plot, spesso scadendo in botta e risposta ridicoli che vorrete solamente skippare. Peccato che il gioco richieda l’esatto contrario. Lo stile di Sokal è abbastanza inconfondibile: per procedere e andare avanti nel gioco, occorre esaurire completamente tutti quanti i dialoghi con i personaggi che incontreremo lungo il nostro peregrinare. Non che questo fattore sia assente nelle avventure grafiche in generale ben inteso, tuttavia in Paradise, come negli altri lavori figli dello stesso genio di Sokal, non si tratta come al solito di ricevere consigli da cui dedurre in un secondo momento la soluzione dell’enigma (il fattore deduttivo in Paradise è pari a zero); più semplicemente, solo quando non avrete più nulla da dire o da chiedere (su ammissione del vostro stesso interlocutore: “non abbiamo più nulla da dirci”), il personaggio in questione cambierà posizione, o vi chiederà un favore, o ancora vi farà dono di un qualcosa utile per proseguire nel gioco. Per la risoluzione degli enigmi non è richiesta una particolare logica, vi sono una moltitudine di azioni da compiere (molte delle quali concatenate tra loro) che vanno fatte nel giusto ordine. Il più delle volte comunque si va a caso, per tentativi, soprattutto quando siamo chiamati ad interagire con gli astrusi macchinari tanto cari allo sceneggiatore. In pratica, la storia si dipana nell’arco di una decina di ore (sempre che non vi blocchiate da qualche parte) durante le quali dovrete semplicemente fare tutto il fattibile, come viene viene. E quando non viene, ritornate sui vostri passi e riprovateci. Ad esempio, proprio all’inizio della storia, la prima cosa che faremo sarà verosimilmente quella di entrare nella torre del giardino (quella provvista di telescopio, per intenderci) e, guardando tramite il telescopio, vedremo un fiore che pende da un albero. Fatto questo, dovremo – senza motivo apparente – tornare sui nostri passi ed entrare in una stanza sita dall’altra parte del palazzo, affinché divenga notte (parte una cut scene) ed il fiore magicamente cada dall’albero. Poi non rimarrà che prendere il fiore e farne un profumo. Tornando al discorso dei dialoghi, per l’appunto quelli da completare obbligatoriamente, vi porto un altro esempio: la prediletta del principe – del resto, si tratta di un harem, le donne son tutte mogli – vi chiederà un piacere di tipo gastronomico (procurarle delle tavolette di miele), ma prima dovrete “scocciarla” a sufficienza obbligandola, pur di non sentire le vostre ciarle, a spostarsi dal patio alla voliera… e per ottenere ciò occorrerà farle tutte le domande a disposizione nella relativa finestra dei dialoghi. Insomma, se in Paradise vi bloccate, sappiate che o non siete stati in una certa zona (anche quando questa zona non ha nulla a che fare con quello che state facendo) oppure non avete parlato abbastanza con una certa persona (anche quando si tratta solo di pettegolezzi insensati).

E il leopardo?Appena dopo il vostro risveglio a palazzo, scesi in giardino, farete il vostro primo incontro con il leopardo nero, lo stesso che ci aveva accolto non proprio a braccia aperte nella schermata del menù principale. Mentre le fanciulle e i servitori lì residenti vi consiglieranno di stare alla larga da quella bestia (praticamente, gira voce che sia un demone, il giardiniere la tiene solo per mettere in fuga i malintenzionati) voi sarete irrimediabilmente attratti da quell’animale così selvaggio e affascinante, e vi adopererete per liberarlo. Di lì a poco, il “ruolo” del leopardo diventerà finalmente chiaro, fungerà per tutto l’arco del gioco da “guida spirituale” attraverso l’Africa… discretamente inutile. Solo in alcune occasioni potrete concretamente servirvene prendendone il controllo e raggiungendo locazioni speciali dove interagire/raccogliere degli oggetti. Curioso (o fastidioso, dipende da voi) che il leopardo nero tenda anche a scappare, e se da una parte ciò vi spronerà ad esplorare meglio le aree di gioco per ritrovarlo, è anche vero che a lungo termine questa usanza risulterà fin troppo frustrante (della serie, e mò ‘ndo sta?). Una cosa è certa, se mettevano un alano al posto di un leopardo a fianco di Ann Smith, non se ne sarebbe accorto nessuno. Ad ogni modo avrei giurato fosse una pantera non un leopardo, ma vabbé, fosse questo il problema…

Commento tecnicoForse l’unico aspetto del titolo che può essere giudicato decente; Paradise non sfigura, anche se avrei preferito colori più vivi e maggiore luminosità nella realizzazione di alcuni dettagli. Ci troviamo davanti ai soliti sfondi pre-renderizzati con personaggi a schermo poligonali, niente di eclatante, se non fosse per la ottima realizzazione degli stessi, cosa che fa quasi dimenticare il loro essere semplicemente bidimensionali. Difatti la profondità è resa ottimamente, dalle oasi agli accampamenti finendo con le foreste pluviali, tutto veramente molto bello… alla fine soffrirete veramente il Mal D’Africa. Peccato solo – come stavo dicendo – la mancanza di colore cronica, che in alcuni casi stona veramente (ad esempio nel caso degli arabeschi in scala di grigi). Particolarmente piacevole la nebbia volumetrica che contribuisce e di molto a dare quel senso di pienezza che rende ogni ambientazione credibile e godibile ai nostri occhi. Magari un altro appunto che si potrebbe muovere alla realizzazione tecnica di Paradise è l’eccessiva staticità di alcune ambientazioni, soprattutto considerando che l’Africa è uno dei continenti più dinamici al mondo dal punto di vista climatico, ma non c’è da farne un dramma, ed infatti nel complesso il lavoro svolto si attesta su livelli più che discreti. Anche il comparto audio è più che discreto, peccato solo che il doppiaggio in italiano sia ridicolo e soprattutto ripetitivo al massimo, soprattutto quando andiamo ad interrogare personaggi che hanno tutti la stessa voce e dicono tutti la stessa cosa (quello in lingua originale è anch’esso ripetitivo, ma almeno non è ridicolo, noi invece ci teniamo i nostri Melazzi e Moneta e siamo contenti). Detto questo, qualche centesimo – in termini di votazione – al comparto audio va tolto.

Un appello…Ultimamente la filosofia dei produttori di avventure grafiche è molto chiara. Siccome si tratta di un genere morente, si è disposti a credere che i relativi fruitori – o fan, se vogliamo – si accontentino di lavori non proprio impegnati, spinti dalla considerazione che “o così o niente”. Direi di finirla. Se la sorte delle avventure grafiche è quella di sparire, che morissero in pace preservando almeno il vessillo qualitativo che da sempre si portano dietro, e che ultimamente viene messo in dubbio proprio da mezzi lavori “alla Paradise”. Vi lascio al commento finale.

HARDWARE

Requisiti MinimiProcessore: Pentium o AMD 800Mhz e superioriSistema Operativo: W98SE/ME/2000/XPMemoria: 256Mb di RamScheda Video: Geforce 2 o Radeon 7000 con 64Mb di videoramDirectX vers 9.0c

Sistema di ProvaProcessore: P4 3GhzMemoria: 1Gb di Ram DDR400Scheda Video: Ati Radeon 9800pro con 128Mb di videoramSettaggi: HighAA: On

MULTIPLAYER

Assente

– Ambientazione

– Comparto audio/video decente

– Pattern privi di logica

– Protagonista mal caratterizzata

– Doppiaggio ridicolo

– Alla lunga noioso

5.8

Mi è stato difficile portare a termine questo gioco, non tanto per l’ermeticità di alcuni pattern, che magari comprendeva solo Sokal e pochi altri, piuttosto per la noia generale che il gioco ispira. Trovare le motivazioni per andare avanti, questa è la reale difficoltà insita in Paradise. Lo sconsiglio anche ai fan del punta-e-clicca, a cui suggerisco invece di andarsi a rispolverare i primi tre Monkey Island.

Voto Recensione di Paradise - Recensione


5.8

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