Quasi dieci anni: tanto è servito a D-pad Studio, piccolo team indipendente norvegese, a dare alla luce Owlboy, uno degli indie di maggiore successo degli ultimi mesi, finora esclusiva PC, che ora abbiamo ritrovato per una nuova recensione.
Quando la gestazione di un titolo è tanto lunga il risultato finale oscilla tra due estremi: o la montagna partorisce un topolino, deludendo le attese del pubblico, o la grande quantità di tempo a disposizione permette agli sviluppatori di forgiare qualcosa di straordinario.
Fortunatamente per tutti i possessori di Switch, versione da noi recensita, l’avventura di Otus, pur non perfetta, si avvicina molto di più alla memorabilità di quanto non abbiano fatto progetti rimasti in sospeso per tantissimo tempo: non vi rimane che dispiegare le ali e seguirci nei cieli di Vellie e oltre.
Il peso delle responsabilità
Il destino sembra aver preso in antipatia Otus, gufo antropomorfo protagonista di Owlboy: muto dalla nascita, apparentemente privo dell’amore dei genitori, più minuto e schivo della maggior parte dei suoi coetanei.
Non a caso, l’avventura inizia proprio immergendoci in un suo incubo, all’interno del quale viene vessato da una versione maligna del suo mentore, Asio, che pure non scherza in quanto a severità nella realtà: se molti congeneri si limitano ad abbozzare timidamente un intreccio che giustifichi le peregrinazioni del giocatore, D-PAD Studio ha dotato Owlboy di un cast di personaggi adorabili, ai quali non faticherete ad affezionarvi già dopo un paio d’ore.
L’intreccio sembra banale, e per larghi tratti lo è, ma riserva colpi di scena, momenti di commozione, spaccati di vita quotidiana cui nulla toglie l’ambientazione fantastica: da Geddy al mercante Buccanary, ognuno dei personaggi incontrati interagirà con Otus nei modi più inaspettati, sorreggendolo nei momenti di difficoltà e incitandolo a dare il meglio di sé nelle difficili situazioni in cui si verrà a trovare.
Tale cura nella caratterizzazione è stata riservata anche agli antieroi (uno in particolare), così da rendere sempre godibile l’avanzamento della trama e arricchire le fasi più lente, in cui il gameplay lascia spazio alla narrazione, con siparietti e dialoghi sorprendenti per un titolo che può essere fatto rientrare (anche se con una divisione di grana un po’ grossa) nella categoria dei cosiddetti “metroidvania”.
Abbiamo gradito, da innamorati di Chrono Trigger, alcune delle scenette dinanzi al fuoco, in cui è possibile scegliere con quale personaggio interloquire e su quale argomento: l’intimità e l’umanità di certi scambi rimarrà impressa a lungo nella nostra mente.
Per quanto concerne l’intreccio in sé, ci sarà da fronteggiare un’inattesa minaccia dall’apparente tema piratesco, in un mondo in cui l’antico ordine dei Gufi, decaduto dopo secoli di gloria, saprà dimostrarsi, ancora una volta, un baluardo di ordine e giustizia, grazie agli sforzi congiunti di Otus e dei suoi compagni di viaggio.
Come anche nel recente
Iconoclasts,
Owlboy dimostra che una narrazione mediamente articolata, ricca di personaggi dall’alto tasso di empatia, è possibile anche in generi che tradizionalmente l’hanno sempre ridotta ad elemento di contorno, e noi, da parte nostra, non possiamo che apprezzare questo nuovo corso.
I tre generi cui lo studio nordeuropeo si è rifatto sono i già citati metroidvania, le avventure sulla falsariga degli Zelda bidimensionali e gli sparatutto a scorrimento laterale, in quest’ordine: il miscuglio non è sempre eterogeneo, se è vero che gli elementi esplorativi e i puzzle prendono spesso il sopravvento sui combattimenti, ma, come molti prodotti difficili da catalogare, Owlboy tenta di pescare il meglio da ogni genere, riuscendo egregiamente nella maggior parte dei casi.
Otus si controlla agilmente (già su PC lo schema dei controlli era evidentemente pensato per un pad) e, potendo volare, relega ad un ruolo secondario le fasi di platform puro, che faranno comunque capolino in determinate sequenze in cui, perlopiù per esigenze di trama (o per la presenza di cascate, ad esempio), non gli sarà possibile librarsi in volo.
Al di fuori di una vorticosa giravolta, peraltro inutile contro certe tipologie di nemici, il nostro gufetto è totalmente indifeso: fortunatamente per lui (e per noi!) egli può contare su tre amici, uno storico ed altri due che si uniranno alla banda strada facendo, ognuno dotato di abilità offensive peculiari.
Il primo, il già citato Geddy, possiede una pistola dalla gittata limitata ma dalla discreta efficacia, utile a disfarsi della maggioranza dei nemici e a farsi largo tra ostacoli poco resistenti; il secondo, Alphonse, ha dalla sua il potere del fuoco, decisamente più devastante della pistola di Geddy ma dai tempi di ricarica più lunghi, laddove Twig, terzo ed ultimo compagno di viaggio, ha il potere di intrappolare i nemici in ragnatele in stile Uomo Ragno.
Combinando i tre poteri, ottenuti già durante le prime ore di gioco, il giocatore sarà chiamato a farsi largo tra dungeon ricolmi di enigmi ambientali (per la verità mai troppo astrusi), nemici da abbattere e segreti da scovare, nella forma di sonanti monete spendibili nel negozio di Buccanary a Tropos, dove potenziamenti decisamente utili sono nascosti tra un mare di cianfrusaglie estetiche.
Tornare sui propri passi, caratteristica fondante dei titoli che prendono spunto dai Castlevania in due dimensioni, non è quasi mai necessario per progredire lungo la quest principale, invero abbastanza lineare.
Cionondimeno, un level design di ottima fattura e la presenza di numerosi collezionabili nascosti negli angoli più reconditi della mappa spronano il giocatore a passare più tempo tra i cieli di Vellie di quello strettamente necessario per vedere i titoli di coda, e questo è, nel contempo, un bene ed un male per il prodotto.
Se, infatti, l’offerta ludica è decisamente sostanziosa per un titolo indipendente venduto a meno di venticinque euro, dall’altro, soprattutto alle soglie del dungeon finale, si materializza la spiacevole sensazione che qualche idea e qualche puzzle siano stati riciclati un paio di volte di troppo, togliendo un po’ di freschezza alla progressione.
Ci stiamo concentrando sul classico pelo nell’uovo, però: le fasi di esplorazione si giovano di controlli precisi e di mappe elaborate (che risentono un po’ della mancanza di una mappa generale che aiuti ad orientarsi), quelle sparatutto sono graziate da una certa libertà di scelta su come colpire i nemici (guadagnandosi dei forzieri extra in caso di utilizzo di soluzioni particolarmente creative) e gli enigmi scivolano via con leggerezza, quasi a non voler mortificare il giocatore che ha alle spalle una giornata di duro lavoro.
Ancora una volta, la grande cura per i dettagli aiuta Owlboy a distinguersi dai numerosi congeneri, e, nonostante a livello ludico esso non eccella in una categoria in particolare (aldilà di quella estetica, come vedremo nel paragrafo successivo), il risultato finale è decisamente superiore alla mera somma delle parti.
Incantevole: se dovessimo scegliere un solo aggettivo per definire la direzione artistica e la resa visiva complessiva del prodotto D-PAD Studio, sceglieremmo di sicuro questo.
Owlboy è un tripudio di colori, di animazioni divinamente disegnate a mano, è latore di una cura maniacale per ogni minimo dettaglio (d’altronde, c’è dietro una decade di sudore…), di scorci sognanti, un compendio animato di tutto ciò che gli sviluppatori dell’epoca delle console a sedici bit avrebbero voluto inserire nei loro giochi.
Su Switch, l’eccezionale taglio artistico risalta ancor più rispetto alla precedente edizione PC, perché ci è sembrato che la palette di colori si sia giovata del passaggio alla console ibrida Nintendo e perché, anche (se non soprattutto) in mobilità, con uno schermo dalle dimensioni contenute ma dall’ottima qualità, le avventure di Otus si faranno apprezzare anche dai giocatori più giovani, che pure non hanno vissuto in prima persona la summenzionata epoca d’oro del medium.
Per capire immediatamente di cosa stiamo parlando, provate a gettare Geddy da un’altezza troppo elevata, o a mollare Alphonse proprio sopra un nemico e godetevi le animazioni che ne scaturiranno: quando ad un team di sviluppo piccolo ma talentuoso viene dato il tempo di lavorare e di infondere passione nella loro creazione, i risultati non possono che essere questi.
Altrettanto meritevole è il lavoro svolto sull’accompagnamento musicale, con una colonna sonora a larghissimo spettro, capace di esaltare i momenti più emozionanti ma anche di sottolineare quelli più bui, avvalendosi di melodie che richiamano anch’esse i midi di Super Nintendo e Megadrive, riarrangiandole con una sensibilità moderna.
Chiosa finale per la longevità: noi abbiamo impiegato qualche minuto più di dieci ore per portare a termine l’avventura, e, come anticipato, l’impressione è che un paio d’ore di meno avrebbero concesso al gioco di rimanere maggiormente fresco nelle sue meccaniche; cionondimeno, non rimpiangiamo un solo secondo di quelle ore.
Uno degli indie più belli da vedere di sempre
Gameplay variegato e divertente
Comparto animazioni favoloso
Belle musiche
Buona longevità…
Mappa meno utile di quanto dovrebbe
…al prezzo di un riciclo di idee e puzzle
Come su PC, anche su Switch Owlboy è una lettera d’amore ad un’epoca in cui i videogiochi erano figli della passione, del genio, di un modo di lavorare artigianale che, con il tempo e la massificazione del mercato, è inevitabilmente andato un po’ perduto.
In ogni frame di animazione, nella caratterizzazione dei personaggi, nel level design risuonano echi di un’epoca che fu, mescolati ad una sensibilità e ad una giocabilità moderne, che rendono il prodotto D-PAD Studio adatto a tutti i giocatori e non solo ai più navigati.
Proprio nel desiderio di strafare, rimpinguando l’offerta ludica anche oltre il lecito, il team di sviluppo ha dovuto riciclare idee e puzzle nella seconda metà dell’avventura, ma le imperfezioni si perdono come gocce nell’oceano di qualità rappresentato dalla direzione artistica, dalla varietà del gameplay, dalla soavità della colonna sonora.
Se possedete la console ibrida Nintendo e nutrite anche solo un vago interesse nelle produzioni indipendenti (che diamine, nei giochi con un’anima), allora sapete come investire i prossimi ventitre euro che non destinerete alla soddisfazione di un bisogno primario.