Recensire un gioco che si pone come obiettivo quello di spaventare, terrorizzare e angosciare il giocatore non è mai facile. Perciò facciamo così: se cercate un videogioco horror (horror vero, non una rivisitazione di Rambo che combatte con gli zombie) capace di tenervi sotto tensione per almeno il 90% della durata del titolo, allora smettete di leggere immediatamente. Outlast è esattamente quello che cercate.
Per tutti gli altri giocatori esigenti, di quelli con il bisogno di esaminare il titolo da veri esperti fino all’ultimo pixel, iniziamo a parlare di questo particolare lavoro.
Un horror che fa paura.
Ci troviamo ad analizzare un gioco che punta subito al nocciolo. Niente obiettivi extra, nessun “contenuti aggiuntivi” sul menu principale né tantomeno una interfaccia ingame (il mirino è un puntino minuscolo di una inutilità imbarazzante, che va disattivato quanto prima dalle opzioni). Gli sviluppatori della Red Barrels in questo caso hanno rischiato tutto su un unico aspetto. La paura.
La trama è di quelle a prova di scimmia: investigatore che indaga in un ex manicomio, pazzi ancora in libertà, multinazionale oscura con un sacco di soldi da investire in progetti segreti, stregoneria nazista… e poi tanto sangue, of course.
Per tutto il gioco non toccheremo (né vedremo) una sola arma, a parte quelle bianche di quei maniaci fuori controllo che cercheranno di farci fuori. Il nostro inventario sarà composto solamente da una videocamera, con l’obbiettivo acceso per quasi tutto il tempo, e un massimo di dieci batterie utilizzate per evitare che la visione notturna si esaurisca lasciandoci completamente al buio. E, fidatevi, non vorrete MAI che questo succeda.
Tecnicamente l’Unreal Engine è stato modellato egregiamente per disegnare un’atmosfera cupa e di abbandono in ambienti sia interni (molti) che esterni (molto pochi e un pelo sottotono). Alcuni modelli sono ripetitivi e per giunta collocati a due metri gli uni dagli altri, facendo abbassare un po’ l’asticella del coinvolgimento che resta divinamente alta per la maggior parte del tempo. Tuttavia saremo così impegnati a nasconderci o a correre guardandoci le spalle (si può fare, basta premere E o Q) che spesso neanche ci faremo caso.
Il comparto sonoro è ai livelli di gran parte delle pellicole horror dei nostri tempi; il respiro del protagonista, i rumori della pioggia sul vetro, l’accompagnamento dei violini e gli stridìi angoscianti saranno un contorno terribilmente perfetto per ognuna delle fasi di gioco, che saranno principalmente tre: esplorare, fuggire, nascondersi nell’ombra.
In un prodotto che vuole far “paura” l’IA dei nemici è fondamentale per non far calare la tensione nei momenti cruciali. Sotto questo punto di vista il lavoro è stato sufficiente. I matti non saranno mai stupidi a tal punto da non notarvi a pochi centimetri di distanza (sebbene sia capitato un paio di volte in tutta la durata del gioco di scattare da una porta all’altra a luci accese esattamente nel raggio visivo del nemico senza che questi facesse una piega), ma non avranno mai l’intelligenza di cogliervi in trappola in un angolo o di girare la maniglia di una porta invece di perdere secondi preziosi a sfondarla; d’altro canto sono dei pazzi giusto? Insomma, sarebbe stato uno scandalo se ci fosse stato un marine americano al posto dei mutanti con il cervello fritto.
Ottima anche la traduzione in italiano dei testi, siamo ben lontani dal Google Translate usato dai traduttori di Amnesia e i sottotitoli dei dialoghi sono quasi sempre in sincrono. Una buona notizia anche per chi non riesce a stare sempre dietro la lingua anglosassone.
Libertà di scelta, o anche no?
Gli ambienti sono stati disegnati egregiamente e l’aria rimane intrisa di follia per tutti i livelli del gioco.
Entrare in una stanza con un televisore fermo su un’immagine statica e vedere gente immobile a guardare il monitor mentre pezzi di budella e sangue sono sparsi ovunque è roba che lascia di stucco chiunque; così come passare a pochi metri di fianco ad un uomo che continua a sbattere il suo cranio contro un muro, mentre preghiamo che lo sviluppatore non abbia avuto la brillante idea di mettere uno script in quel punto che porti il folle a lanciarsi addosso a noi non appena avremo voltato le spalle.
A volte queste cose succederanno, a volte no, e questa caratteristica fa parte dell’essenza dell’orrore (quante volte ci siamo trovati di fronte a giochi troppo prevedibili, o peggio, dove sembra che debba succedere qualcosa da un momento all’altro e invece non capita mai niente?); un equilibrio che difficilmente raggiungono altri titoli tripla A che si autodefiniscono survival-horror.
Tornando alla nostra analisi, non possiamo tralasciare la giocabilità poiché, nonostante tutto, stiamo comunque parlando di un videogioco. Le fasi più importanti si svolgeranno nella semioscurità, se non nel buio più totale, con la nostra videocamera accesa in modalità notturna. Gireremo per tutto il tempo alla ricerca della chiave che apre quella porta e a raccogliere documenti che ci permettano di capire quello che è successo e cosa ancora sta succedendo attorno a noi (scoprendo tra l’altro che la trama, pur non essendo propriamente una sceneggiatura originalissima, risulta molto più articolata di come inizialmente appare). Inoltre, riprendere talune scene o altri ambienti permetterà di sbloccare certe note scritte dal protagonista.
Il gioco diverte, anche perché le fasi di fuga sono ben realizzate, dovremmo stare ben attenti nel superare gli ostacoli in corsa e soprattutto evitare di finire in vicoli ciechi; i nemici sono molto veloci e due o tre colpi bastano per metterci ko.
I checkpoint sono collocati bene sulla unica grande mappa e la linearità la fa da padrona. Niente giri a vuoto in lungo e in largo alla ricerca di indizi, niente decisioni da prendere, si va avanti e si sceglie al massimo in quale stanza entrare prima.
Ovviamente questo approccio dei ragazzi della Red Barrels permette maggiore coinvolgimento a dispetto della longevità; praticamente non c’è alcun motivo per rigiocare l’avventura (che dura in tutto tra le 5 e le 8 ore) a meno che non si voglia essere sicuri di aver preso tutti i documenti in giro e ripreso tutto ciò che c’era da riprendere. Ma poca cosa, insomma.
Alla fine si tratterà di dare fiducia o no al classico gioco “breve ma intenso”.
HARDWARE
Requisiti MinimiProcessore 2.2 GHz Dual Core2 GB RamScheda video NVIDIA GeForce 9800GTX O ATI Radeon HD 38005 GB di spazio su disco
Requisiti ConsigliatiProcessore 2,8 GHz Quad Core3 GB RamScheda video NVIDIA GeForce GTX 460 o AMD Radeon HD 6850
– Fasi con la telecamera ben riuscite
– Sonoro eccellente e di impatto
– Atmosfera da incubo sublime
– Poco longevo
– Animazioni non sempre all’altezza
– Alcuni modelli ripetitivi
Outlast è una nota più che positiva nel panorama videoludico attuale e una perla se restringiamo il campo al genere horror nudo e crudo. Le atmosfere ricordano pellicole come Rec e ricalcano il filone degli horror moderni girati con le videocamere in prima persona. La trasposizione del genere dal cinema al gaming ha avuto successo e pone le basi per titoli successivi basati sullo stesso schema di gioco. Peccato per la ridotta longevità e alcune sufficienze tecniche, difetti su cui però difficilmente un amante dell’horror punterà il dito.