A Oceanhorn: Monster of Uncharted Seas mancava solo Switch.
Da marzo 2015 fino a oggi, il gioco sviluppato dai finlandesi Cornfox & Bros è uscito su tutte le piattaforme e su dispositivi mobile, e con l’arrivo della nuova console Nintendo era logico aspettarsi l’ennesimo porting in grado di dare la possibilità ai neo-acquirenti di Switch di recuperare questo titolo prima dell’arrivo del suo seguito già annunciato.
Un oceano di scoperte
Di Oceanhorn, su queste pagine, ne abbiamo parlato a più riprese e ne abbiamo sottolineato pregi e criticità. D’altra parte non è un segreto che si tratti di un titolo che non solo prende spunto da una saga storica come The Legend of Zelda, ma ne ricalca pedissequamente i contorni e i lineamenti più marcati, motivo per cui è facile comprendere i motivi della sua congenita mancanza di carattere e personalità. Persino a chi ha giocato veramente poco a qualunque capitolo di Zelda, appariranno subito evidenti le similitudini, al punto che non sarebbe affatto delittuoso apostrofare il gioco come una sorta di clone con meccaniche di gioco ridotte ai minimi termini. Sì, perché Oceanhorn: Monster of Uncharted Seas non fa davvero nulla per differenziarsi dalla sua fonte di ispirazione, né fa niente per offrire qualche spunto degno di nota o fare sfoggio di caratteristiche che possano determinarne le unicità.
La storia parte da una premessa molto semplice e per nulla originale: il protagonista scopre che il padre è sparito e dovrà dunque salpare a bordo di una nave per solcare l’oceano, combattere un terribile mostro, trovare indizi nelle nuove isole che scoprirà e venire a capo della torbida vicenda che lo ha coinvolto. L’avanzamento della trama è pigro e cede il passo ad alcune lungaggini di troppo, i dialoghi e le informazioni più di rilievo sono ad esclusivo appannaggio degli NPC che troverete lungo il vostro cammino e tutto sommato si tratta di un racconto fanciullesco che non ha molto da dire e che non riuscirà a travolgervi. Tuttavia potreste trovare degli stimoli per andare avanti e vedere come tutto va a finire, perché al di là di tutto, Oceanhorn non è affatto un brutto gioco: ha solo la colpa di adagiarsi sin troppo sugli allori altrui, offrendo al pubblico il minimo indispensabile senza mai eccellere in nulla. A tal proposito, si pensi a come viene strutturato il sistema di gioco, con una visuale isometrica da cui gestire gli spostamenti e l’impossibilità di saltare, negazione (e grande limitazione) che costringe i giocatori a muoversi con meno libertà e in modo completamente diverso rispetto al solito. Oltretutto, al di là di qualche boss fight stimolante e ben congegnata (ma non impegnativa), in Oceanhorn non c’è molto che possa davvero impensierire i giocatori più smaliziati. Si tratta insomma di un titolo improntato sul concetto del viaggio e della scoperta, con tutto ciò questa idea di base porta con sé, adattandosi a un contesto leggero e a uno spirito molto bambinesco – evidenziato anche dai dialoghi.
Dove il vento soffia forte
Le peculiarità à la Zelda e i riferimenti a Wind Waker sono piuttosto evidenti. Lo si capisce sin da subito, anche solo osservando la grafica dalle linee dolci e accattivanti, quasi cartoonesche, che hanno caratterizzato quell’episodio della saga. E continua poi con diversi elementi di gioco che faranno abbozzare un sorriso agli amanti delle avventure di Link. I vasi da rompere, i ciuffi d’erba che saltano via, i forzieri da aprire, i combattimenti con spada e scudo, le traversate a bordo della nave per andare da un punto all’altro: sembrano tutti ricordi che affiorano dal passato, ma non di certo con la stessa potenza immaginifica, perché – lo abbiamo già detto – Oceanhorn si nasconde dietro la sottana in maniera timidissima. A proposito delle traversate, sappiate che non avrete controllo della barca ma dovrete subire in maniera passiva il viaggio da un punto all’altro (tranne quando parte un minigioco di poco conto). L’impressione è che questi momenti servano per caricare le nuove aree da visitare e che gli sviluppatori abbiano trovato questo escamotage per non lasciarvi vedere solo una schermata di caricamento (anche se, a dirla tutta, il risultato non è poi così diverso).
I problemi di Oceanhorn risiedono tutti nelle deboli ambizioni degli sviluppatori. Il gioco ha delle meccaniche e un level design sin troppo semplicistici e vuole tirare acqua al suo mulino facendo leva sulla necessità da parte dei fan di giocare a uno zeldalike. Nel mercato ce ne sono davvero pochi e ancora meno sono quelli degni di nota, motivo per cui potreste avvicinarvi a Oceanhorn se siete in astinenza da Breath of the Wild. Il punto, però, è esattamente questo: si tratta di un gioco vecchio che arriva su Switch dopo il deflagrante successo di uno dei migliori Zelda di sempre, pertanto il confronto appare ancora più impietoso. Ed è da fare, questo confronto, perché Oceanhorn non fa nulla per nascondere le sue volontà più evidenti, e non è nemmeno un caso che il suo seguito, Knight of the Lost Realm, adotterà la visuale in terza persona e si uniformerà alla nuova concezione dei The Legend of Zelda. Si tratta insomma di un gioco che su Switch arriva nel momento in cui il ricordo del capolavoro dell’anno ha creato nuovi ricordi, ed è facile capire dunque come possa essere consigliato solo a coloro che di un certo tipo di atmosfere non ne hanno mai abbastanza.
– Creato appositamente per gli amanti di Zelda
– Colonna sonora di Nobuo Uematsu e Kenji Ito
– Avventura tutto sommato discreta
– È un emulo di Zelda, ma ridotto ai minimi termini
– Diversi riempitivi non necessari
– Presenza di diverse limitazioni di gameplay
Oceanhorn è un gioco che tutto sommato funziona bene su Switch e pare adattarsi bene alla nuova console Nintendo, soprattutto perché – ad onor del vero – è da considerare come un clone di Zelda. Tuttavia arriva dopo il successo deflagrante di Breath of the Wild, e i suoi limiti (già evidenti) vengono ulteriormente messi a nudo. Se vi avvicinerete a questo gioco, dovrete farlo con la consapevolezza che è un gioco semplice e immediato, che durerà attorno alle 10 ore e che con sua maestà – nonostante le grandi similitudini – non ha molto da spartire. Sa però intrattenere e divertire, ma senza troppe pretese.