Neverending Nightmares è il delirio semi-autobiografico di un uomo che ha sofferto di disturbi mentali. L’uomo in questione è Matt Gilgenbach, autore di questo horror psicologico che stravolge la canonica struttura narrativa del videogioco per creare un’asfittica spirale fatta di false realtà, che si rincorrono di continuo fino a fagocitarsi. I disordini ossessivo-compulsivi e il tremendo stato depressivo contro i quali Gilgenbach ha dovuto lottare nel corso degli anni, in
Neverending Nightmares si presentano sotto forma di incubi ripetuti e improvvisi risvegli che stordiscono continuamente il giocatore, impedendogli di capire se galleggia in un perenne stato allucinatorio, o se tra le angosce e il tormento esistono dei reali momenti di lucidità.
Coscienza alterata
Come in un perverso gioco di scatole cinesi, vi sveglierete tutte le volte dentro un altro incubo, spinti a determinare cosa è reale e cosa è invece una manifestazione dello stato psicologico alterato di Thomas. Il dramma che vivrete è rappresentato non tanto dagli orrori messi in scena lungo l’arco dell’avventura, ma più dalla paura costante di non poter far ritorno a una normalità tanto cercata, quanto terribilmente distante. È possibile portare a termine
Neverending Nightmares in un’ora e mezza circa, ma la storyline – soprattutto verso la fine – presenta delle ramificazioni tali da “obbligarvi” a rigiocare delle sezioni per assistere a dei risultati e dei finali diversi, che insieme concorrono a dare una maggiore comprensione di ciò che è accaduto. La scelta adottata, però, è infelice, perché lo stimolo per rigiocare anche solo una parte di questa contorta opera è pressoché nullo, soprattutto per via di una conduzione di gioco lenta, che non riesce a tenere sufficientemente in tensione e che offre poche variazioni a una formula che si ripete sostanzialmente fin da subito. Se è vero che il design delle aree è stato studiato affinché le diverse strade intraprese cambiassero radicalmente il mondo attorno a Thomas durante alcuni suoi risvegli, è vero anche che si è fatto davvero poco per stimolare l’utente a scoprire l’origine delle gravi turbe mentali del protagonista. Il minimalismo del sistema di gioco, che si concretizza in lenti movimenti cadenzati, un tasto per una corsa della durata di pochi secondi, e un altro per l’interazione, è incontestabilmente uno dei motivi per cui un singolo playthough basti e avanzi. L’inferno personale di Thomas (e dell’autore) è un’ossessiva ripetizione di azioni, un continuo esaminare quadri raffiguranti persone, aprire porte verso l’ignoto e rischiarare le ombre buie degli scenari e della sua mente. A volte vi nasconderete dentro grossi armadi mentre un energumeno gigantesco e deforme vi darà la caccia, altre volte ancora dovrete camminare silenziosamente per non farvi sbranare la gola da pazzi ciechi in tute da manicomio, ma le tipologie di nemici sono tre in tutto e qualora falliate, potrete riprendere praticamente dallo stesso punto.
In cerca di un’uscita
Quello di Infinitap Games è un progetto artisticamente molto interessante, nuovo e per certi versi anche coraggioso. Sebbene lo stile sia 2D, per creare quel look stilizzato fatto di densi chiaroscuri sono state usate delle tecniche tridimensionali particolari, che potessero dare al titolo un impasto grafico fortemente lugubre, disturbato e disturbante. Il famoso illustratore Edward Gorey è stata la principale influenza per creare qualcosa di davvero unico e inesplorato, e l’uso del bianco e nero con tratteggi ora appena accennati, ora più fitti e nervosamente vergati, è semplicemente perfetto per trasmettere l’ansia che scaturisce dalla disperazione di una condizione umana flagellata dai turbamenti interiori. Il rosso vivido del sangue enfatizza la violenza, talvolta disgustosa, di alcune scene, e di tanto in tanto alcuni colori fanno capolino per invitare il giocatore all’interazione. Questo minimalismo è sensato per ciò che il gioco ha da raccontare, ma è forse un po’ troppo spiccato per riuscire ad arrivare a un pubblico ampio. Le ambientazioni hanno poche reali diversificazioni e si procede sempre verso una sola direzione, con qualche bivio necessario ad animare un po’ le situazioni, che non trasmettano mai davvero un reale senso di pericolo. Non pensate infatti a Neverending Nightmares come a un tipico horror creato appositamente per farvi sobbalzare, perché si tratta in tutto e per tutto di un esperimento ideato per mettere disordine e far capire a che livelli di angoscia è possibile arrivare quando la mente smette di funzionare come dovrebbe. In questo senso, è encomiabile anche il comparto sonoro, che gode di un’opzione studiata appositamente per chi preferisce usare le cuffie (fatelo). Le musiche sono traballanti, sbiadite, incostanti e tormentose; creano un tappeto sonoro avvolgente, capace di enfatizzare ulteriormente la confusione e i timori di ciascuno, quasi come se fossero dei sentimenti intimamente condivisi. Ed è fondamentalmente questo l’obiettivo dell’opera: riuscire a spiegare cosa significa trovarsi in una situazione mentale al limite del sopportabile, facendo capire al contempo che esiste sempre un modo per uscirne e riprendere in mano la propria vita.
– Artisticamente molto ricercato e adeguato agli argomenti che tratta
– Struttura narrativa che sfida il giocatore a comprendere cosa accade
– Lo stile grafico è semplicemente magnifico
– È breve, e i bivi narrativi sono poco stimolanti da scoprire
– Il gameplay minimalistico, talvolta è un limite
– Varietà dei nemici limitata, così come la loro capacità di impensierire
Neverending Nightmares vive della stessa alternanza di colori con cui è graficamente realizzato. Brilla di un bianco abbacinante dal punto di vista artistico, dimostrandosi uno strumento efficace per rappresentare il male più diffuso dei nostri tempi; ma si eclissa un po’, rabbuiandosi, dal punto di vista del gameplay, che offre davvero poco al giocatore. Per gli amanti delle atmosfere malate, è un titolo imperdibile, ma non tutti riusciranno ad “accontentarsi” della storia che Matt Gilgenbach voleva raccontare al mondo.