In un panorama videoludico ristagnante e soggetto all’ossessivo ripetersi dei medesimi schemi, l’unica speranza sono le idee, piccoli sprazzi di genio che possano trasformare offerte di gameplay altrimenti banali in qualcosa di nuovo ed originale. D’altra parte, va ammesso che le idee da sole non bastano, e che tutti quegli elementi solitamente dati per scontati quando si sta parlando dell’ennesimo sequel di una saga blasonata, come la tecnologia al passo coi tempi, l’intelligenza artificiale sviluppata, il design ricercato e via dicendo, sono comunque necessari per presentare prodotti di buona qualità. Mindjack è la prova incarnata di quanto sopra: un titolo che basa il suo gameplay su un’idea interessante sulla carta, ma che purtroppo non riesce a reggersi su gambe sufficientemente solide, sprecando del tutto le buone intuizioni.
You don’t know jack…L’anno è il 2031, un futuro vagamente cyberpunk nel quale il declino dei governi mondiali si trasforma in una ghiotta occasione di dominio per oscure multinazionali. Una di queste, la NERKAS, rappresenta l’obbiettivo degli agenti speciali Jim e Rebecca, nella quale i due dovranno infiltrarsi per recuperare preziose informazioni; il loro compito sarà facilitato da una nuova tecnologia che permette di prendere il controllo della mente di qualunque persona, tecnica nota come Mindjack. Oltre ad essere piuttosto banale, mal raccontata e messa in scena in maniera confusionaria, la storia del titolo Square Enix non va molto oltre quanto detto sopra, utilizzando lo striminzito plot come scusa per costringere il giocatore ad attraversare un’infinita sequela di corridoi e stanze, affrontando ondata dopo ondata nemici tutti uguali. L’unica variazione sul tema è rappresentata proprio dalla meccanica che dà il nome al titolo, la quale si manifesta durante il gameplay in due differenti modi: il primo è la possibilità di lasciare il corpo del protagonista Jim e vagare per l’ambientazione di gioco in una sorta di forma eterea, grazie alla quale assumere il controllo di qualunque altro personaggio amichevole presente nell’area, robot compresi. Oltre alla compagna Rebecca, questa tecnica potrà interessare diversi altri civili e militari spesso presenti negli scenari. Alla presa di controllo diretta si affianca il Mind Slave, meccanica affine che permetterà di controllare la mente di uno o più nemici, costringendoli a combattere a fianco del protagonista: per ottenere questo notevole vantaggio sarà sufficiente indebolire il bersaglio sino alla comparsa di un’icona in sovraimpressione, la quale indicherà la possibilità di farne un mind slave e vederlo rivoltarsi contro i suoi stessi colleghi. Per quanto non del tutto inedite (basti pensare a Clive Barker’s Jericho, a Il Potere della Forza, Messiah e molti altri), queste due meccaniche promettono di rendere il gameplay da semplice shooter in terza persona molto più godibile e tatticamente complesso, almeno sulla carta. La realtà è purtroppo ben altra: a partire dalle difficoltà di esecuzione del Mind Slave, il quale richiederà che il personaggio sia perfettamente allineato al bersaglio affinché compaia la sovraimpressione, continuando con l’inspiegabile latenza che accompagna ogni tentativo di prendere il controllo diretto dei personaggi, il gameplay ne esce irrimediabilmente compromesso proprio nei suoi tratti distintivi.
Spacevoli deja vuA peggiorare ulteriormente la situazione vi è una totale mancanza di pulizia e rifinitura anche nelle componenti alla base della formula da sparatutto in terza persona, quali la copertura, legnosa e poco reattiva, la fluidità dei movimenti, compromessa da una velocità di corsa mal calibrata e da uno scatto sostanzialmente inutilizzabile, ed il riconoscimento delle collisioni, caotico ed imprevedibile. L’intelligenza artificiale merita un capitolo a parte: qualunque personaggio da essa controllato, amico o nemico che sia, si trasformerà in pochi istanti in un pupazzo inconsapevole tanto dell’ambiente circostante quanto degli avversari, correndo in direzioni assurde, incastrandosi nello scenario, sparando all’impazzata. Se per la prima metà dell’avventura tutto questo può risultare perlomeno esilarante, all’aumentare della difficoltà e del danno inferto dai colpi avversari ci sarà spazio solo per rabbia e frustrazione.Al di là della pura componente shooter, l’intero impianto di game design sembra provenire da un’epoca ben antecedente la nostra, come se vent’anni di evoluzione fossero improvvisamente spariti nel nulla: a partire dai livelli, i quali consistono in una noiosa sequela di corridoi e stanze tutti uguali, continuando con le boss fight, le quali inspiegabilmente richiederanno di dirigere il fuoco non contro il nemico principale, bensì in direzione degli scagnozzi, senza dimenticare i continui caricamenti, prima di ogni porta, cut scene, corridoio, ed i checkpoint, spesso oltremodo distanti l’uno dall’altro. Altro esempio di scarsa rifinitura è il confusionario comparto upgrade del personaggio, il quale accumulerà punti esperienza e livelli senza giustificazione né contestualizzazione alcuna, sbloccando abilità con scarsa influenza sul gameplay. Da non dimenticare la notevole collezione di bug: capiterà di vederne di ogni, da fenomeni di teletrasporto di persone ed oggetti, nemici incastrati in corridoi nemmeno tanto stretti, animazioni mancanti, e molte altre amenità.
Mio cuggino è un hackerCome anticipato in apertura, Mindjack non è solo un brutto gioco, ma soprattutto un’occasione sprecata. Se già l’idea del controllo mentale poteva essere sfruttata in maniera interessante, a maggior ragione il comparto multigiocatore avrebbe meritato un team di sviluppo in grado di valorizzarne le peculiarità. Riprendendo il concetto di controllo mentale, gli sviluppatori hanno ideato una particolare modalità di gioco, attivabile dal menu principale, che permette di aprire la propria partita ad altri giocatori connessi da tutto il mondo, i quali potranno decidere se sostituire l’intelligenza artificiale amica o nemica, “hackerando” la sessione di gioco e aggiungendo nuove interessanti variabili alla formula. L’idea è ottima e ben implementata, in grado di offrire uno dei pochi barlumi di divertimento possibili in compagnia di Mindjack: giocare insieme ad altri partecipanti è senza dubbio molto più piacevole, peccato che questo non risolva i problemi che attanagliano le fondamenta del gameplay.
Comparto tecnicoSpendere molte parole sul comparto tecnico di Mindjack sarebbe un vero spreco: a chi ha buone orecchie per intendere, sarà più che sufficiente sapere che le librerie di texture, effettistica assortita e la densità poligonale sembrano riciclate direttamente da un titolo medio della scorsa generazione. Qualche ossessiva traccia techno buttata alla rinfusa nel mix e un doppiaggio in inglese al limite dell’accettabile chiudono il triste quadro complessivo, ulteriormente aggravato da diversi drastici cali di frame rate e da una lunga collezione di bug grafici.
– Molte idee interessanti
– Online ben implementato
– Moltissimi bug
– Gameplay non rifinito
– Grafica e design di bassa qualità
– Storia mal raccontata
Se siete arrivati fino a questo punto della nostra analisi senza cedere allo sconforto, il giudizio finale vi risulterà quasi superfluo. Se invece state cominciando da qui, inutile perdersi in lunghi riassunti: Mindjack è un esemplare spreco di ottime idee, messe in campo senza il minimo supporto tecnico e concettuale, gettate alla rinfusa in una formula vecchia di qualche generazione. L’unica speranza è che le buone intuizioni possano essere un domani riciclate, accompagnandole con contenuti di qualità: in quel caso, forse, ci si troverà di fronte ad un esperienza che varrà la pena vivere.