C’è un eterno dilemma che dilania le carni e lo spirito di ogni sviluppatore, specialmente se costui è obbligato a lavorare su una serie storica. “Faccio quel che mi gira, o ascolto i desideri della fanbase dura e pura?”.
Difficile capire quale sia la scelta migliore, anche perché non tutte le fanbase sono uguali, ovviamente. Ci sono gruppi di giocatori propositivi e realmente interessati al miglioramento di un marchio, che consigliano di volta in volta soluzioni sensate e studiano nel dettaglio i problemi meglio di certi tester stipendiati. Al contempo però ci sono anche dei fan con tendenze quasi fascistoidi quando si tratta di innovazione, che additano qualunque novità come se fosse il diavolo e tirano costantemente in ballo i capitoli più riusciti di una saga come punto oltre il quale questa non dovrebbe mai spingersi.
Nel caso degli Heroes of Might and Magic la situazione è stranuccia. Da una parte c’è un attaccamento fin troppo poderoso ai capitoli migliori da parte della fanbase, dall’altra però i Limbic devono vedersela con un sesto episodio non loro e ricco di passi falsi, che dà per certi versi ragione alle idee conservatrici dei giocatori più hardcore.
Con Might and Magic Heroes VII che fare, dunque? La risposta del team è stata “tornare al passato”. Ne è uscito un titolo di qualità, ma quanto è stato sacrificato, esattamente?
Storie di eroi
La ricchezza di contenuti è stata di rado un problema per la serie, e anche questo capitolo offre una bella massa di cosucce da fare. Si parte, come giusto, dalla campagna, o meglio dalle campagne, visto che tutto nasce dall’ascesa al trono del duca Ivan, indeciso sul miglior corso d’azione per compiere il suo destino. Attorno a lui consiglieri provenienti dalle varie fazioni del mondo di gioco, che decidono di ispirarlo nel modo più semplice e diretto a loro disposizione: raccontandogli una storia. Iniziano così varie missioni dedicate ai consiglieri o agli eroi di un determinato gruppo, con l’unico scopo di risvegliare Ivan dal torpore che si è autoimposto e di far partire la sua campagna dedicata.
Vi assicuriamo che non vi ci vorrà poco a terminare tutto e anche che difficilmente vi annoierete se fate parte degli appassionati. La base infatti è sempre la stessa, che vi vede alla guida di uno o più eroi e di armate da accrescere per conquistare il territorio o portare a termine determinati obiettivi, eppure i Limbic si sono inventati campagne discretamente varie, che vi porteranno a interpretare sia giovani eroi alla ricerca di riscatto e privati di città su cui basarsi, sia poderosi condottieri in lotte contro il tempo. In parole povere, ogni campagna ha il suo perché (con alti e bassi) e lo story mode in toto rappresenta una gran bella evoluzione rispetto a quanto visto in precedenza.
A livello di gameplay, invece, non molto è cambiato. O meglio, molto è cambiato da Heroes VI, ma non dai capitoli più osannati, con un abbandono secco di molte delle novità del predecessore e un ritorno alle origini in più aspetti. Partiamo dal sistema di risorse e gestione delle città, ove torna la divisione comune di legno, oro, pietra e cristalli, appaiati a materiali rari quali i cristalli draconici (che servono principalmente per strutture avanzate e unità di livello Champion), e l’utilizzo di quartier generali statici, con le truppe non disponibili ovunque ma trasferibili negli avamposti tramite carovane. Sono scelte sensate e, anche se non tutti apprezzeranno la rinnovata centralità delle strutture cittadine, è innegabile come tale scelta costringa il giocatore a muoversi in modo strategicamente furbo per potenziare il suo esercito e gli edifici che permettono di arruolare truppe avanzate.
Pure i tier delle unità hanno subito una semplificazione di sorta, tornando ad essere solo tre. Le truppe si dividono in Core, Elite e Champion, e questa suddivisione rende immediata la comprensione dell’effettiva pericolosità di un’armata. Altra trovata quanto mai logica, secondo il nostro modesto parere.
Inutile girar poi troppo attorno al combattimento, che vanta le mappe a quadrettoni di Heroes VI ma viene gestito alla maniera classica, con magie e attacchi degli eroi disponibili nei vari turni e come unica ventata di freschezza la presenza di ostacoli che possono bloccare i movimenti o offrire vantaggi. L’elemento più inusuale, forse, è l’importanza delle unità da assedio durante gli attacchi alle postazioni fortificate, visto che la loro presenza non solo elimina facilmente i muri, ma rappresenta un serio pericolo per gli avversari troppo difensivi. Una buona idea per velocizzare il ritmo in tali situazioni.
Praticamente inesistenti le rivoluzioni dunque, e poco conta il sistema di crescita dei vari eroi, che permette sì di specializzarsi in certi aspetti ma risulta comunque discretamente limitato al di fuori di alcune abilità finali davvero utili. No, la variazione vera deriva al 99% dalla gestione delle fazioni, tutte piuttosto uniche e piacevoli da utilizzare. Forse è per questo che nel gioco non c’è un tutorial decente: gli sviluppatori lo hanno chiaramente creato per chi la serie già la conosce.
Che razza di esercito
Anche qui, a dir la verità, si percepisce un “blocco” creativo legato ai voleri della fanbase. C’è stata infatti una votazione per gli ultimi due eserciti presenti, e a vincere sono stati gli elfi oscuri del Dungeon e gli elfi silvani. Avremmo probabilmente preferito una fazione meno usata come i nani, magari modificata del tutto per risultare più funzionale, ma i fan hanno preferito puntare sulla solidità del già visto, quindi ci sono molte orecchie puntute che si uniscono ad Haven, all’accademia, alla necropoli e a Stronghold. Va detto che perlomeno i Limbic hanno trasformato alcune di queste scelte, e sono riusciti a mantenerne invariate le caratteristiche uniche. Dungeon ha ad esempio la tendenza a sfruttare brutalmente debuff e invisibilità, puntando più su inganno e furbizia che sulla forza bruta, laddove Stronghold di norma ci va giù di cattiveria e potenza. All’interno di ogni team comunque ci sono eroi dalle caratteristiche estremamente diverse che possono portare ad altre tattiche, e il lavoro fatto ci è apparso in generale ottimo (con pochi sbilanciamenti e solo qualche matchup volutamente svantaggiato).
Tornando ai contenuti, gli skirmish contro l’IA e le partite online ci sono, come prevedibile, ma la chicca per gli utenti è sicuramente l’editor inserito nel gioco, molto complesso e ricco di possibilità. Noi da bravi blasfemi della programmazione non abbiamo potuto combinarci molto, ma la focosa community ha tutte le possibilità per tirar fuori avventure incredibilmente impegnative e gustose per chi mangia pane e turni. Duelli tra eserciti prefissati o personalizzabili completano il mix.
Non molto di cui protestare invece per quanto riguarda l’aspetto tecnico. L’IA non è brillantissima, ma fa sudare alle massime difficoltà, anche a causa di alcuni picchi del livello di sfida nelle campagne legati ad eserciti potentissimi che è il caso di evitare quando possibile. In battaglia abbiamo notato una tendenza all’assalto a testa bassa più che al lento indebolimento dell’avversario da parte della CPU, ma la gravità della cosa non è esagerata.
Tecnicamente poi Heroes VII si difende in modo degno, con creature sempre stilisticamente molto ispirate, e ben rese in 3D. Non è certo un gioco di quelli da usare per far vedere i muscoli di un computer, ma si lascia guardare. Abbiamo notato solo un paio di crash durante la nostra lunga esperienza col gioco peraltro, nulla di cui preoccuparsi in modo eccessivo.
– Campagna variegata e longeva
– Un ritorno alle solide meccaniche del passato
– Editor di mappe complesso e ricco di potenziale
– Coraggio e innovazione zero
– Non fa nulla per facilitare l’apprendimento ai neofiti
Heroes VI era fallato sotto molti aspetti, lo sappiamo, ma aveva una cosa piuttosto importante dalla sua: il coraggio. Vero, la fanbase della serie è estremamente conservatrice, ma questo non significa che i Limbic non potessero almeno tentare di innovare seriamente qualche aspetto del loro ultimo nato, meglio ancora se tenendo alla mente gli errori del predecessore. Invece hanno voluto giocare la partita in difesa, proponendo un gioco soddisfacente sia in termini di gameplay che di contenuti, ma privo della benché minima scintilla creativa. Se avete sempre amato la serie lo apprezzerete di sicuro, si tratta pur sempre di un prodotto curato e ben fatto, eppure è davvero ora di tirare fuori quelle cosette sferiche che sempre più sviluppatori stanno perdendo per strada, o il marchio rischia seriamente di perire.