Quanti sono i titoli che possono vantarsi di avere “inventato” un genere? Certamente ben pochi. In questa ristretta cerchia figura l’originale Master of Orion, per il quale nel lontano 1993 il giornalista Alan Emrich coniò per la prima volta il termine 4x – Explore, Expand, Exploit e Exterminate – associandolo per l’appunto allo strategico spaziale sviluppato da SimTex. Dopo la triste fine di Atari sotto la quale era finita anche MicroProse, il brand vagò nel limbo per un certo lasso di tempo prima di venire acquistato da Wargaming.net che, riponendo la propria fiducia nel team di sviluppo NGD Studios, a distanza di oltre vent’anni dalla sua prima apparizione, rilancia ora un vero e proprio reboot del titolo originale, chiamandolo Master of Orion: Conquer the Stars. Come in tutti questi casi di rilancio, la domanda rimane sempre la stessa: una formula che andava benissimo a metà anni ‘90, presa e riproposta quasi identicamente venti anni dopo, non risulta anacronistica e ormai superata dalla concorrenza? Nonostante nello spazio il tempo segua regole differenti, la risposta è in gran parte positiva.
Star power
È strano ritrovarsi a scrivere una recensione iniziando con il parlare del voice acting del titolo in questione, soprattutto se si tratta di uno strategico, ma se Wargaming.net, per dare voce alle dieci razze che popolano le stelle di Master of Orion, mette dietro i microfoni e nelle sale di registrazione nomi del calibro di Mark Hamill – non crediamo servano molte presentazioni – Troy Baker – doppiatore di Booker DeWitt tra l’altro – Alan Tudyk e di altri importanti attori quasi tutti provenienti da serie televisive sci-fi è impossibile non soffermarsi sulla qualità del doppiaggio e su quello strano effetto che si ha nel ritrovarsi l’imperatore Alkari con la voce di Luke Skywalker. Se la componente audio di Master of Orion è uno degli elementi meglio riusciti dell’intera produzione, questo è però anche il segnale che non tutto quanto nel lavoro di NGD Studios è venuto fuori con i fiocchi. Dopo aver passato ore ed ore a vagare per le stelle, a colonizzare pianeti e a far conoscenza con grigi e sassi parlanti, possiamo affermare con tranquillità che lo spazio di Master of Orion non è affatto senza fine. Il senso di totale libertà che avevamo trovato e apprezzato in Stellaris, quella sensazione di trovarsi realmente alla guida di una delle tantissime civiltà che popolano galassie e pianeti, il terrore di incontrare un mostro fra gli asteroidi e il ciclo vita-morte che accompagna ogni razza, sfuggono dalle corde di Master of Orion, il cui vero punto debole, fin dalle sue prime battute, è rintracciabile nella mancanza di profondità. Prendiamo ad esempio in considerazione la scelta della razza, la prima azione da compiere avviando la campagna. Le storiche dieci fazioni dell’originale Master of Orion sono tutte presenti e si differenziano, oltre che per l’aspetto fisico, anche per svariati bonus e malus iniziali: gli Alkari sono particolarmente avvantaggianti nei duelli fra navicelle e godono di un pianeta di partenza con una superficie molto ampia, i Klackon sono un popolo insettoide industrioso ma che pecca dal punto di vista scientifico o, ancora, i rettilodi Sakkra amano fare la guerra, hanno un alto tasso di crescita demografica ma sono piuttosto stupidi. Una volta avviata la partita, ci si accorge però in fretta di come molte di queste differenze vengano appiattite per via di un albero delle tecnologie che presenta troppe somiglianze passando da una fazione all’altra, così come sono molto ristrette le peculiarità anche in fatto di astronavi o edifici. Oltre alle fazioni di default, ad inizio partita è sempre possibile creare una razza nuova di zecca, ma anche qua siamo piuttosto lontani da quanto proposto in termini di varianti dalle produzioni più moderne. Per fortuna, almeno nella configurazione della galassia non mancano le alternative: essa più essere più o meno estesa – può contenere fino a otto fazioni – può essere a spirale, circolare o divisa in settori, influenzando così le modalità di esplorazione, può ospitare o meno pirati o mostri, come non manca l’opzione per la generazione di eventi casuali.
Alle radici del genere
Spiegare in che cosa consista il gameplay di Master of Orion sarebbe come compiere un lungo ripasso di cosa sia uno strategico 4x dove, turno dopo turno, mandando a spasso per le galassie e per le costellazioni le navicelle scout, si scoprono nuovi pianeti da colonizzare e nuovi sistemi dove costruire gli avamposti, fino a quando non si incontra una nuova civiltà e all’explore ed expand, si aggiungono anche l’exploit e l’exterminate. Su questa base canonica, molte sono state le innovazioni e le varianti sul tema implementate nel corso del tempo, ma Master of Orion appare sin troppo ancorato alle sue origini e la mancanza di reali novità e di una profondità in termini di meccaniche di gioco si fanno sentire in molti aspetti, trasformando quella che dovrebbe essere una lenta e pianificata progressione della propria civiltà, sia in termini di tecnologie che in termini di esplorazione, in una comoda passeggiata fra le stelle, fino al punto da far apparire del tutto superflua la possibilità di delegare all’AI le decisioni su quale edificio costruire su una colonia, con quale navicella rinforzare il proprio esercito o, ancora, se ricercare un data center più efficiente o dei missili torpedo nucleari. La gestione di ogni pianeta colonizzato si riduce infatti alla sola suddivisione della popolazione fra la raccolta di cibo, la catena di produzione e la ricerca, con il solo inquinamento come variabile negativa da tenere sotto controllo. Anche l’aspetto economico è stato ridotta all’osso: in tutte le partite da noi effettuate non abbiamo mai sentito il bisogno di alzare o di abbassare le tasse con il conseguente rischio di alterare la felicità della popolazione, per il semplice fatto che andare in rosso è pressoché impossibile, se non arruolando un quantitativo di navi fuori da ogni logica. A spazzare via qualsiasi tipo di complicazione che potrebbe sorgere nel momento in cui ci si trova a gestire un numero elevato di colonie, intervengono infine gli aiuti, i quali ricordano in modo pedissequo tutte le azioni necessarie da compiere prima di passare al turno successivo. Questa accessibilità che attraversa tutto Master of Orion, se da un lato lascia con ben poco in mano chi si aspettava di poter plasmare in ogni singolo aspetto la propria fazione, dall’altro riesce ad avvicinare ad un genere da sempre ritenuto di nicchia come gli strategici 4x anche chi se ne è tenuto sempre alla larga, timoroso dello spettro della microgestione, problema del tutto assente in quanto proposto da NGD Studios, che fa della esplorazione spaziale la sua vera ragion d’essere, evitando al giocatore meno paziente tediose operazioni di aggiustamento.
Un fine cervello di magma e roccia
Anche l’aspetto diplomatico non è immune al germe della semplificazione. L’incontro con una navicella Blurathi e l’aver convinto il loro imperatore Orso spaziale-JB Blanc ad accettare la nostra ambasciata ha fatto si che divenissero attive tutte le varie opzioni diplomatiche, purtroppo ristrette ad una serie di azioni piuttosto canoniche: oltre a dichiarare guerra, le interazioni si limitano infatti a qualche accordo commerciale, allo scambio delle conoscenze in fatto di stelle scoperte e di tecnologie. Va comunque riconosciuto il fatto che, a differenza di quanto spesso accade in molti altri strategici, l’AI delle varie fazioni di Master of Orion funziona egregiamente e che gli alleati e gli avversari si comportano in modo conforme al loro schieramento, così come intessere relazioni di volta in volta più amichevoli con una razza, raramente porta ad un improvviso ed insensato voltafaccia da parte di quest’ultima. Le relazioni che si possono instaurare in Master of Orion non si limitano però alle sole ufficiali e avere una rete di spionaggio dipanata per i pianeti è una strada veloce – ma rischiosa – per avvantaggiarsi all’insaputa degli avversari e per sabotarli. Nella strada verso la conquista dello spazio è impossibile non entrare in conflitto con qualche razza aliena ed è proprio in materia di scontri che fa la sua apparizione la principale novità del reboot, con le battaglie a turni che lasciano spazio a quelle in tempo reale. I duelli risultano così molto più dinamici ed interattivi, ma non aspettatevi anche in questo frangete che vi vengano dati molti margini di manovra o tattiche che vi facciano diventare degli arditi comandanti spaziali. Nel nostro caso abbiamo preferito affidarci alla risoluzione automatica laddove lo scontro fosse evidentemente sbilanciato o coinvolgesse poche navicelle, utilizzando così le battaglie in tempo reale solo in casi precisi.
A voi la linea, da Alfa Centauri è tutto
All’ottimo comparto sonoro di Master of Orion si accompagnano anche una realizzazione tecnica al passo con in tempi, animazioni fluide e convincenti ed un’apprezzabile realizzazione artistica dei leader alieni, dove spicca un character desing, se non del tutto originale – alle volte sembra di trovarsi al cospetto di qualche personaggio di Mass Effect – decisamente ispirato e curato in ogni suo dettaglio. Una nota di merito infine anche all’aggiunta di una sorta di telegiornale spaziale condotto da due improbabili robot doppiati da Kari Wahlgren e da Dwight Shultz, nel quale vengono trasmesse alcune interessante informazioni in merito allo stato della fazione.
– Un ottimo primo approccio verso i 4x…
– È sempre Master of Orion…
– Cast di doppiatori stellare
– Tecnicamente ben fatto
– … Ma manca di profondità
– … Ma con poche innovazioni rispetto all’originale
– Le razze non sono poi così differenti
– Superato in molti aspetti dalla concorrenza
L’operazione di rilancio di uno storico franchise come quello di Master of Orion non è certo una cosa facile ed il rischio di rimanere troppo ancorati al passato o, all’opposto, di stravolgere il concept di base, è sempre dietro l’angolo. NGD Studios e Wargaming.net hanno preferito la prima via, con qualche semplice ma funzionale novità, non limitandosi al solo rinnovamento dell’aspetto grafico. Quello che più di tutto manca al reboot è però la profondità delle meccaniche di gioco ed un respiro più ampio che abbiamo potuto apprezzare in titoli recenti, capaci rinnovare profondamente un genere come quello dei 4x.