Capcom non naviga esattamente in buone acque. La leggendaria casa nipponica ha tenuto duro in tempo di crisi, mantenendosi sul filo del burrone come un equilibrista d’altri tempi, supportata da una lista infinita di marchi prestigiosi che hanno contribuito a rendere il gaming ciò che è oggi. Sembra impossibile che un’azienda di questa importanza sia nei guai, ma le scelte ai piani alti nell’ultimo decennio non sono state tra le più intelligenti: l’outsourcing introdotto da Inafune ha funzionato solo a metà e, pur garantendo uno stream costante di titoli, ha portato a parecchi flop dovuti spesso alla qualità altalenante degli stessi. A questo si aggiunge il crollo di vendite di alcuni giochi “sicuri” quali gli ultimi Resident Evil, il cui sesto capitolo non si è nemmeno avvicinato alle previsioni ed è stato bellamente snobbato dall’estesa fanbase della serie per la sua totale deriva action. Insomma, molte le soluzioni poco furbe da parte dei capissimi della casa (peraltro criticati pesantemente proprio da Inafune, prima della sua partenza verso altri lidi creativi), che ora della fine hanno deciso di tagliare proprio sull’outsourcing, in una situazione tutt’altro che stabile.
Tuttavia, un progetto affidato a un team statunitense è sopravvissuto nonostante i tagli. Lost Planet 3. Affidato agli Spark Unlimited, con base in California, questo seguito è stato completato, ed è arrivato al fatidico giorno dell’uscita. Le aspettative erano bassine, anche perché gli unici prodotti creati in passato dagli Spark non meritano nemmeno di venir ricordati, eppure Capcom ci ha creduto, forse convinta dalle promesse di rivoluzione del marchio fatte dalla squadra americana. Avrebbero fatto bene a controllare meglio.
Una barba. In tutti i sensi
Il brand Lost Planet non è certo il più significativo tra quelli di Capcom, ma ha comunque conquistato una discreta community di giocatori con la sua ambientazione ispirata e alcune buone idee di fondo.
La parte del protagonista l’ha sempre fatta il pianeta dove tutto si svolge, E.D.N. III, una landa ghiacciata e inospitale, ricca di energia e di pericolose mostruosità chiamate Akrid. Nel primo episodio si vagava per un mondo congelato già colonizzato dalla potente megacorporazione NEVEC, mentre nel secondo gli sviluppatori avevano scelto di cambiare le carte in tavola, piazzando il giocatore in una versione terraformata di E.D.N. III, ricca di vegetazione. Lost Planet 3 torna invece alle origini, mettendovi nei panni di Jim Peyton, un trentacinquenne sposato, assoldato come mercenario e impegnato a tirar su qualche soldo per la moglie e il figlio rimasti sulla terra. Già da queste poche informazioni ci si rende conto del notevole cambio di direzione operato dagli Spark. Il loro gioco è nettamente più story driven dei titoli che l’hanno preceduto, presenta numerosi personaggi caratterizzati a fondo, e una narrativa concreta che fa da prequel al primo Lost Planet.
E’ una direzione coraggiosa e non priva di potenziale, che avrebbe permesso agli sviluppatori di creare una campagna solida e ricca di eventi interessanti, ma è stata sfruttata in malo modo. La storia, innanzitutto, non brilla per originalità, e si basa come al solito sui tipici segreti nascosti dalla malvagia corporazione di turno e sui misteri di E.D.N. III. A brillare sono esclusivamente i personaggi principali, che appaiono ben più umani del solito, in parte grazie a un ottimo lavoro fatto sulle animazioni facciali e in parte per via di una serie di video log che ne tratteggiano il carattere, dandogli una voce oltre che un volto tridimensionale. Non basta, ma è già qualcosa.
Mai una gioia
Il motivo per cui la campagna non riesce a raggiungere la sufficienza è la sua pessima struttura. Gli Spark non hanno creato un’avventura divertente e ricca di momenti esaltanti, bensì un ammasso informe di situazioni ripetitive sfruttate fino allo sfinimento, che vi verranno a noia a tempo di record. Il 90% delle missioni del buon Jim vi vedranno raggiungere una determinata locazione con il vostro Rig, un enorme robot bipede pilotabile, scendere, esplorare un edificio, massacrare una miriade di Akrid aggressivi, riparare una porta o una leva rotta, raggiungere l’obiettivo, e poi tornare al vostro robottone. Aggiungete un gran numero di sessioni survival, dove sarete costretti a resistere all’assalto continuo di fastidiosi branchi di Akrid, e qualche momento tranquillo all’interno di rifugi variabili, e avrete ottenuto un risultato privo del benché minimo charme.
Nemmeno le boss fight e le sessioni a bordo del Rig risollevano la situazione, a causa di scelte pessime di game design che inficiano sulla qualità complessiva del prodotto. Il robot di Jim, infatti, non viene più guidato in terza persona come accadeva con i mech nei predecessori, e vi ritroverete a controllarlo dalla cabina di pilotaggio, con la possibilità di usare singolarmente le sue braccia meccaniche grazie ai trigger dorsali. E’ un sistema di controllo fin troppo semplificato che cancella del tutto il gusto di combattere a bordo di un robot, trasformando ogni battaglia, boss fight comprese, in una banalissima serie di QTE con libertà di movimento ai minimi storici, o in uno spam di attacchi ben poco precisi contro tutto ciò che si muove. Il Rig si potenzia nella campagna, ottenendo nuovi gadget e trucchetti interessanti, ma resta comunque tedioso da controllare, e il doverlo guidare di frequente per raggiungere le locazioni al di fuori delle basi non aiuta per niente.
Non ci siamo scordati dei boss, non temete. Forse alcuni di voi ricorderanno con un certo piacere gli scontri contro le bestie enormi di Lost Planet 2. Quel gioco non era certo eccezionale, ma risultava piuttosto divertente in cooperativa, anche in virtù di alcune interessanti applicazioni del rampino, utilizzabile ovunque, e alla necessità di collaborare per eliminare le enormi minacce proposte. Quel feeling è completamente scomparso qui: le boss fight sono poco ispirate, spesso ripetute, e presentano pattern prevedibilissimi che ne annullano qualunque attrattiva. Scordatevi prodi arrampicate sulle schiene dei nemici col rampino per infliggere colpi critici, il buon Jim può aggrapparsi solo a bordi predefiniti della mappa e non ha libertà di movimento totale, e dimenticatevi le mappe estese e stratificate del secondo episodio. Qua si combatte spesso in zone minute, dove è già tanto riuscire a fare su e giù da un ponte di ghiaccio.
Le cose prenderebbero ben altra piega, se lo shooting fosse di alta qualità, ma, eliminata la libertà data dal rampino, in Lost Planet 3 rimangono solo meccaniche stantie e antiquate, a cui è stato aggiunto un cover system senza senso. Pensate solo che gli Spark hanno messo nel gioco Akrid dotati di “proiettili”, al solo scopo da rendere utili le coperture. Non userete quasi mai le cover in difficoltà normal, perché gli avversari capaci di farvi del male in corpo a corpo saranno sempre più numerosi e pericolosi di quelli specializzati nel combattimento dalla distanza. Personalmente, avremmo preferito rivedere un rampino libero piuttosto che una meccanica ormai infilata a forza praticamente ovunque.
Le stesse armi sono poco sfiziose. Si hanno a disposizione principalmente strumenti di morte classici, tra cui fucili automatici, fucili a pompa, e un paio di chicche avanzate discretamente potenti (tra cui una balestra esplosiva). Nulla di realmente memorabile, al punto che le sparatorie diventeranno quasi un fastidio dopo qualche ora di gioco. Gli Akrid presentano punti deboli sempre molto evidenti, ma la loro risposta ai colpi è piuttosto limitata, tolta la possibilità di stordirli con granate o attacchi al momento giusto, la loro varietà non fa gridare al miracolo, e hanno pure la spiacevole tendenza a far partire dei qte quando si avvicinano troppo, pertanto è difficile esaltarsi in combattimento. L’unico lato positivo sono alcuni potenziamenti basilari e proiettili speciali acquistabili dal quartermaster di ogni base, usando l’energia termica ottenibile uccidendo gli Akrid e completando le quest. Almeno offrono qualche scelta aggiuntiva…
Ricapitolando, gli Spark hanno preso ciò che c’era di buono nei predecessori, e l’hanno buttato nel cestino, trasformando Lost Planet 3 in uno shooter mediocre. L’eliminazione dell’obbligo di raccogliere energia termica per sopravvivere al freddo avrebbe peraltro potuto aprire varie possibilità legate all’esplorazione di E.D.N. III, ma gli Spark non hanno colto al balzo nemmeno queste, puntando su una serie di mappe chiuse raggiungibili con il Fast Travel, che diventano maggiormente esplorabili ottenendo miglioramenti al rampino e al Rig, ma restano comunque legate a doppio filo alla struttura lineare del gioco.
La cosa più assurda? Osservare come persino gli sceneggiatori si siano resi conto che qualcosa non andava, prendendo spesso in giro la struttura ripetitiva delle missioni nei dialoghi di Jim. Se se ne sono accorti gli scrittori, come hanno fatto a non notarlo i programmatori?
Chiaramente tali mancanze vanno a influenzare negativamente anche il multiplayer, che peraltro presenta un buon numero di modalità. L’Akrid Survival è, prevedibilmente, una sorta di Horde Mode in cui i team coinvolti devono sopravvivere a un assalto di mostri, coi sopravvissuti che in seguito si scontrano in una battaglia all’ultimo sangue. Lo Scenario Mode è invece uno scontro che offre obiettivi variabili, accomunabili ai classici Capture The Flag, Domination, e quant’altro, oppure missioni di scorta e mappe con Mech utilizzabili dai giocatori.
Niente di particolarmente nuovo sotto il sole. Se vi aspettate le mappe estese e l’enfasi sulla cooperativa del secondo capitolo almeno qui, cascate male.
Bellezza nascosta sotto il ghiaccio
Anche tecnicamente non c’è da esultare. Precisiamo, graficamente Lost Planet 3 non si difende malaccio: abbiamo già elogiato l’espressività dei personaggi principali, e sono lodevoli anche il livello di dettaglio dei modelli poligonali e la resa di certe ambientazioni. Peccato che queste ambientazioni siano anche ben poco interattive, che la fisica degli oggetti sia praticamente inesistente persino per quanto riguarda le orme nella neve, e che non manchino un gran numero di bug e singhiozzi grafici. Una buona percentuale degli Akrid uccisi si fermeranno a mezz’aria, dove si disintegreranno per fortuna rapidamente, mentre il resto non mancherà di infilarsi in muri e iceberg enormi apparentemente privi di solidità alcuna. Il frame rate, poi, è altrettanto instabile, per via di rallentamenti che infastidiscono non poco durante una sparatoria. Gli Spark hanno infine in molti casi cercato di ispirarsi ai Dead Space per quanto riguarda l’atmosfera, ma non sembra essergli riuscito più di tanto. Salti dalla sedia non ne farete, ve l’assicuriamo.
Buoni perlomeno musiche e doppiaggi, tolto un disturbo nell’audio delle cutscene del nostro codice review. Probabilmente sparirà nella versione retail. Probabilmente.
– Animazioni facciali e modelli dei personaggi principali ottimi
– Campagna più Story Driven rispetto al passato
– Elimina gli elementi positivi dei predecessori, per trasformarsi in uno shooter mediocre e banale.
– Struttura ripetitiva e tediosa, persino nelle boss fights
– Parecchi singhiozzi tecnici e bug
– Fasi su Rig noiose
Il numero di fianco a un titolo di un videogioco può significare tante cose. Può voler dire “continuità”, una limatura del sistema fondamentale di una serie, che punta a perfezionare i suoi elementi migliori. Può indicare una volontà di rivoluzione, un taglio netto alle meccaniche del passato per proporre qualcosa di nuovo e originale. Quello che non dovrebbe mai significare è un passo indietro, una devoluzione strutturale che porti la saga a peggiorare. Lost Planet 3 invece fa proprio questo, butta alle ortiche ciò che di buono c’era nei predecessori, per trasformarsi in uno shooter mediocre, banale e ripetitivo.