Che l’animazione giapponese non fosse composta solamente da robottoni e combattimenti all’ultimo sangue l’avevamo capito con il cambio di rotta avvenuto a partire dalla fine degli anni novanta e inizio duemila, dove l’attenzione si è spostata verso opere che sapessero raccontare storie più approfondite e intricate. Vicende che potessero portare ad un approfondimento, all’esplorazione dei sentimenti o più in generale situazioni della vita che possono capitare a tutti. Soprattutto nell’ultimo periodo siamo arrivati a film e serie tv (anche se il più delle volte adattati da omonimi manga) che cercano di far entrare lo spettatore nel mondo di persone che hanno visto la propria vita cambiata drasticamente per malattie o impedimenti fisici, come la serie
Bugie d’aprile che approfondisce la depressione di Kosei e la malattia di Kaori, o il più recente film
The Anthem of the Heart, purtroppo mai trasmesso in Italia, dove viene esposta la vita di una ragazza muta.
Da bullo a bullizato
La forma della Voce è un adattamento del manga pubblicato in Italia da Star Comics con il titolo
A Silent Voice. Nel lungometraggio viene raccontata l’infanzia e in seguito l’adolescenza di
una ragazza sorda,
Shoko Nishimiya, che all’improvviso entra nella classe e nella vita di
Ishida Shoya, il vero protagonista della pellicola, che fino a quel momento aveva vissuto le scuole elementari con spensieratezza e circondato da amici. Le scene iniziali di completo svago e spasso scolastico accompagnate da
My Generation dei The Who, vanno quasi subito a scomparire quando la classe non riesce ad integrarsi con un elemento che ha difficoltà così importanti nella comunicazione, ossia Shoko che per interagire con gli altri porta sempre con sé un quaderno. La barriera comunicativa sfocia così in
bullismo, che vede Shoya come attore più accanito, il quale finisce per compiere gesti deprecabili senza rendersi conto delle conseguenze. Conseguenze che non attendono a palesarsi, con la dipartita di Shoko dalla scuola e la ricaduta delle azioni di Shoya sulla sua famiglia. Da qui il ragazzo verrà preso come unico capro espiatorio e diventa vittima di bullismo a sua volta, tanto da costringerlo a chiudersi in sé stesso fino alle scuole superiori, quando ormai ha perso interesse nella vita.
Guardando oltre
La pellicola cerca inizialmente di esplorare quali possano essere i punti su cui lavorare di più al fine di migliorare l’integrazione di figure portatrici di handicap all’interno di un ambiente scolastico, mettendo in risalto i tentativi e le mancanze da parte dell’apparato scolastico, ma soprattutto del corpo docente. Subito dopo però allarga le proprie vedute chiedendosi anche cosa ci sia dietro e cosa accada alle persone colpevoli di questi atti di bullismo. La storia infatti segue per quasi la totalità del film la vita di Shoya e di come la consapevolezza dei suoi gesti l’abbia fatto cadere in depressione e isolamento. Tra la voglia di redenzione personale, ma soprattutto nel cercare di ripristinare quello che ha distrutto, Shoya cerca di aprirsi verso la sua vittima Shoko che si è sempre dimostrata pronta a mostrarsi sorridente nei suoi confronti, in quanto anche lei vittima delle sue difficoltà comunicative è costretta alla solitudine.
Oltre a K-On! c’è di più
Trattandosi di una produzione a cura di Kyoto Animation, casa che ha dato i natali a opere come La malinconia di Haruhi Suzumiya, K-On! e Clannad per citarne alcuni, sarebbe facile aspettarsi qualcosa di dolce e a tratti comico, dal momento che la regista è proprio Naoko Yamada che fino ad ora si è occupata proprio di K-On! e Tamako Market, oltre che del relativo lungometraggio dai toni più seriosi, ossia Tamako Love Story. Questo La Forma della Voce invece sembra prendere di più da altre produzioni come ad esempio Kokoro Connect, con dialoghi pungenti e situazioni sentimentali delicate che sfociano più di una volta in urla e aggressioni fisiche. In più il tratto con cui sono disegnati i personaggi è particolarmente lontano dallo stile morbido e ingenuo per cui si è contraddistinta la casa produttrice di Kyoto, qui infatti i ragazzi che gravitano attorno alla maggiore età vengono raffigurati come adulti, con corpi e visi particolarmente espressivi e ricchi di dettagli che vanno ad arricchire alcune sequenze in cui non si lascia allo spettatore l’interpretazione.
Nota a margine a sottolineare l’impegno di Nexo Digital nel proporre l’animazione giapponese nelle sale italiane, durante la proiezione di La Forma della Voce sarà possibile utilizzare un’apposita applicazione con cui i non udenti potranno seguire i sottotitoli, mentre dal 26 le sale potranno proiettare il film con già provvisto di sottotitoli su richiesta degli spettatori.
– Tema fuori dal solito
– Storia avvincente
– Ottimo design
– L’adattamento non è perfettamente riuscito
– Troppo lungo
Tirando le somme, La Forma della Voce è un film che cerca di raccontare una storia per certi versi fuori dai canoni classici dell’animazione giapponese, provando a mettere l’accento sulle problematiche che possono scaturire dalla mancanza di integrazione di persone portatrici di handicap all’interno della società. Per la maggior parte della pellicola la regista riesce a mantenere lo spettatore col fiato sospeso, ma si va a scontrare con le classiche problematiche dell’adattamento di un’opera cartacea più lunga, risultando quindi speso sbrigativa in alcuni frangenti, specie nelle storie personali dei vari personaggi, ma allo stesso tempo prolissa con una durata totale di oltre due ore che si sarebbe potuta ridurre.