Recensione

Klaus

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Il platform è uno dei generi videoludici più longevi, se non il più longevo in assoluto: dapprima per specifiche limitazioni tecniche, poi grazie alla maestria nel level design (Mario, sto guardando te), questa categoria di giochi ha prosperato, ed è poi sopravvissuta all’avvento delle tre dimensioni, all’aumentata potenza di calcolo delle console e anche alla crisi che, ciclicamente, ha colpito molti altri generi videoludici.La domanda, allora, nasce spontanea: c’è ancora spazio per l’innovazione?La risposta potrebbe essere un “forse no”, ma ci sono titoli che, anche senza reinventare la ruota, riescono a distinguersi.Klaus, opera prima dei ragazzi di La Cosa Entertainment, è uno di questi.

L’impiegato del catastoDei tanti ruoli che, da videogiocatori, abbiamo impersonato, quello dell’impiegato del catasto ancora ci mancava (se la memoria non mi inganna), anche se, nel vestire gli sgualciti panni di Klaus (ma poi, si chiamerà davvero così?) ci andiamo terribilmente vicino: minuto, dall’aspetto comune, in maniche di camicia, il nostro alter ego si sveglia in un sotterraneo buio ed inospitale, senza alcuna memoria né sulla sua identità né, tantomeno, su dove realmente si trovi.L’unico, flebile indizio è rappresentato da una sorta di tatuaggio sul braccio, che reca il nome Klaus: da qui, non senza spunti brillanti, parte un’avventura sorprendente, per stile, visivo e non, e per i temi toccati, quasi più che per le meccaniche di gioco, non dissimili da titoli che abbiamo giocato nel corso degli ultimi anni, da Super Meat Boy a Thomas was alone.Di livello in livello, il flusso di pensieri del nostro protagonista prende la forma di scritte a schermo, tradotte in un ottimo italiano, che erompono dal livello, creando una forte connessione con un personaggio che, altrimenti, sarebbe stato solo l’ennesimo omino che salta e corre da destra a sinistra: i dubbi, le paure, le battute di Klaus sono continuamente veicolate al giocatore, spesso chiamato in causa direttamente tramite un intelligente abbattimento della quarta parete, che crea situazioni paradossali e decisamente inusuali per un gioco di piattaforme.Ancora, non è che i ragazzi di La Cosa Entertainment siano i primi a sperimentare con la narrazione in ambito platform (Limbo ed il già citato Thomas was alone corrono subito alla mente), ma, mentre scorrevano i titoli di coda, mi sono trovato a riflettere su quello che avevo visto e su come la storia mi era stata raccontata, e non è una cosa che io possa dire di aver fatto ogni volta che portavo a termine un platform bidimensionale, ecco.

Touch pad, colori e imprecisioniIl gameplay rappresenta un po’ croce e delizia per questa interessante produzione indie: se, da un lato, troviamo un utilizzo intelligente ed innovativo del sottosfruttato touchpad del Dual Shock 4 e una serie di soluzioni brillanti, dall’altro una certa imprecisione del sistema di controllo rende determinati passaggi più difficili di quanto avrebbero dovuto essere.Partiamo dal pad: ognuno dei sei capitoli in cui è diviso il gioco si svolge in livelli dal colore predominante differente, e la luce emessa dal Dual Shock 4 si accorda con il colore, mentre gli speaker del pad emettono grugniti e suoni che il nostro ed il suo compagno di viaggio emetteranno.Come se non bastasse, molti dei puzzle ambientali proposti richiedono di agganciare dei meccanismi spostando il dito sulla superficie tattile del pad, avendo come risultato sì qualcosa di originale, ma anche, a tratti, impugnature del Dual Shock 4 davvero improbabili, che hanno portato spesso a morti abbastanza “cheap”.Il secondo personaggio cui facevo riferimento poc’anzi è K, una sorta di alter ego sotto steroidi del protagonista, molto meno agile ma anche molto più forte, capace di frantumare parti degli stage a suon di pugni: l’alternanza tra i due personaggi è, insieme ai puzzle ambientali, uno dei pilastri del gameplay di Klaus, e i due sono sufficientemente differenziati per aprire a soluzioni di gioco fresche.Il piccoletto gode di un salto doppio, ulteriormente accentuato dalla prolungata pressione del tasto frontale corrispondente, mentre K è capace di usare i brandelli di camicia che ancora indossa per planare, coprendo così distanze maggiori nonostante la sua stazza.A riportare un po’ sulla terra dinamiche di gioco valide c’è però, come anticipato, un sistema di controllo un leggerino, che non restituisce il peso che mi sarei aspettato, soprattutto da un personaggio corpulento come K: la sensazione costante è quella di giocare nei livelli ghiacciati di uno qualsiasi dei Super Mario bidimensionali visti negli ultimi anni, con una diffusa mancanza di inerzia e un lieve effetto pattinamento.Se, a lungo andare, si riesce a fare l’abitudine alla cosa, durante gli ultimi due capitoli, quando la difficoltà delle sezioni platform si fa più consistente, le difficoltà affiorano, e sembrano piuttosto artificiose, più che figlie di una reale volontà da parte del team di sviluppo di offrire un livello di sfida a la Super Meat Boy.

Luci e coloriMolto bene l’intero design artistico, che eleva il titolo al rango di uno dei platform più stilosi della libreria di Playstation 4: giocato al buio, cosicché le luci dei livelli e quella emessa di concerto dal Dual Shock 4 risaltino, il titolo crea un’atmosfera davvero unica, impreziosita da un accompagnamento sonoro mai invasivo ma decisamente sul pezzo quando si tratta di sottolineare i momenti cruciali.Considerato anche il costo richiesto (giusto sotto i venti euro), è davvero difficile muovere critiche al comparto visivo di Klaus, il cui tratto spero di vedere ripreso quanto prima, magari proprio da un eventuale seguito, che riveda anche la fisica interna al gioco.Un peccato, infine, che il titolo non sia previsto anche in versione PSVita, perché toni, tratti e ritmi di gioco si sarebbero adattati benissimo alla piccola di casa Sony, per non parlare del doppio touch screen.

– Stile da vendere

– Intelligente uso del Dual Shock 4

– Narrativa insolitamente profonda per un platform

– Sistema di controllo troppo nervoso

– Alcuni passaggi un po’ frustranti sul finire dell’avventura

7.5

Soprattutto se valutato in quanto opera prima di un team di sviluppo giovane, Klaus si rivela un successo, nel suo proporre in maniera intelligente e mai banale tematiche complesse, che non ci si aspetterebbe da un platform, e nell’architettare enigmi ambientali che sfruttano il pad di PS4 come pochi giochi finora avevano fatto.

A frenare le velleità di questo gioco di piattaforme un sistema di controllo e una fisica di gioco non pienamente convincenti, con una perenne sensazione di leggerezza che non restituisce il giusto feedback al giocatore.

Ma se siete amanti del genere, per venti euro il gioco vale abbondantemente la candela.

Voto Recensione di Klaus - Recensione


7.5

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