Kenka Bancho
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a cura di Gianluca Arena
Senior Editor
Dopo un periodo di brutale americanizzazione (o comunque occidentalizzazione) di una serie di prodotti, negli ultimi anni lo stile giapponese si sta imponendo con sempre maggiore naturalezza anche sui mercati europeo e statunitense, per la gioia di milioni di amanti della cultura nipponica e, più in generale, dei puristi, di coloro, cioè, che odiano ogni tipo di sconvolgimento e di rivisitazione di un’opera d’arte (e il videogioco, per molti appassionati, non può che considerarsi tale) solo per adattarla (o sarebbe meglio dire storpiarla) ai gusti di un determinato mercato.Atlus in questo ha rivestito il fondamentale ruolo di apripista, proponendo al grande pubblico (con la saga MegaTen ma soprattutto con gli ultimi due Persona) un modello tipicamente orientale di relazioni interpersonali, di personaggi, di psicologie, e, non da ultimo, di sistemi di gioco.Ecco allora un tentativo analogo in un campo ancora poco esplorato, i picchiaduro a scorrimento.
Se Tomas Milian fosse di Tokyo…Prendete Takashi, tipico bulletto con l’aria strafottente che frequenta un tipico liceo giapponese. Aggiungeteci una gita organizzata dalla scuola nella città storica di Kyouto, che immergerà tutta la classe in un ambiente nuovo per un’intera settimana e, per finire, non trascurate il fatto che tutte le scuole di tutte le prefetture del Giappone sono riunite in quella settimana nella stessa città. Da queste premesse, non può che nascere un titolo fortemente incentrato sul combattimento, che, come da tradizione del Sol Levante, non disdegnerà né elementi da gioco di ruolo, né da simulazioni di vita, soprattutto nelle relazioni interpersonali da intessere con le nostre compagne di scuola.Ovviamente saremo messi nei panni di Takashi, che, pur dotato di una personalità ben precisa (in tre parole, violento, insubordinato e sessista) sarà ampiamente personalizzabile, dal taglio di capelli al nome stesso, per meglio incontrare i gusti dell’utente, e in questi panni dovremo guadagnarci il titolo di “bancho dei banchi”, dal termine giapponese che vuol dire, più o meno, bullo. Per farlo, dovremo pestare tutti coloro che aspirano allo stesso titolo e che gironzolano per Kyouto, nei modi e nei tempi che più ci aggraderanno.
Un po’ di qua, un po’ di làNonostante le premesse alquanto banali, i dialoghi di gioco, le espressioni dei protagonisti e la possibilità di personalizzare nei modi più buffi il nostro alter ego, terranno comunque a galla il plot, ovviando in parte a qualche problema non secondario nelle meccaniche di gioco che adesso andremo ad analizzare.La struttura di gioco prende a prestito elementi da diversi titoli usciti nel corso degli anni: citarli è forse il modo più rapido e completo per descriverla correttamente. Dalla saga di Persona il gioco prende l’ambientazione studentesca giapponese e lo scorrere del tempo, con le giornate suddivise in mattina, pomeriggio e sera e una credibile alternanza di giorno e notte. Dal mai troppo osannato Shenmue (e ci rendiamo conto che il paragone è impegnativo, ma tant’è…) il gioco riprende la possibilità di girovagare senza meta per la città, cambiando taglio di capelli dal barbiere piuttosto che votandosi all’esplorazione dei vicoli, senza doversi preoccupare troppo della quest in atto, vista anche la possibilità di ripetere quante volte si vuole la settimana in cui avranno luogo gli eventi cruciali del gioco. Il cuore del prodotto, ovvero le dinamiche di combattimento, vorrebbero fare il verso alla serie Yakuza, ma le similitudini si fermano qui.Il frullatore di buone idee azionato dai ragazzi di Spike per conto di Atlus si inceppa proprio dove non dovrebbe, ovvero nella fase di combattimento: i controlli sono legnosi e il buon campionario di mosse disponibile, peraltro ulteriormente ampliabile man mano che si mandano al tappeto i brutti ceffi dei diversi quartieri della città, finisce con l’essere lasciato in disparte, perché la via più semplice (e spesso più efficace) per gonfiare gli avversari come canotti è pigiare lo stesso tasto forsennatamente.Il sistema di collisioni è lontano dalla perfezione e spesso mancherete il bersaglio non per demeriti vostri; in generale l’impressione è che si sia prestata più cura ai dialoghi e a ricreare l’atmosfera da bulletti di scuola che non ad offrire un sistema di combattimento appagante. E questo è un peccato, perché gli elementi positivi non mancano: carina l’idea di ingaggiare uno scontro guardando negli occhi in maniera minacciosa un potenziale avversario, con un vero e proprio raggio che congiungerà i due sguardi, come anche la possibilità di personalizzare le proprie combo, o di dover azzeccare, in una sorta di Quick Time Event, le parole giuste per godere dell’iniziativa una volta passati dalle parole ai fatti.Paradossalmente, le fasi di non combattimento sono le più godibili, e scivolano via in maniera piacevole, tra una battuta azzeccata e la possibilità di personalizzare tantissimi elementi del proprio “io” digitale: la consapevolezza, però, che per progredire nella storia le fasi di lotta sono una condizione necessaria, toglie mordente all’esperienza di gioco, costringendo il giocatore ad interfacciarsi con dei controlli poco intuitivi e comunque non al livello di altri aspetti della produzione.
Di città deserte ed altre storie…La legnosità nei controlli e la scarsa maneggevolezza del nostro personaggio non sono però gli unici aspetti realizzati con minor cura: graficamente, Kenka Bancho non riesce a stupire, ponendosi nel limbo delle produzioni di livello medio. Ad una buona definizione dei modelli poligonali dei protagonisti, soprattutto durante le numerose ed esilaranti cut scene, fa da contraltare una pochezza disarmante degli ambienti di gioco, che si rivelano spogli, ripetitivi e assolutamente poco interattivi, dando l’impressione di vuote arene poligonali a cui sono state appiccicate delle texture da città piuttosto che dei veri agglomerati urbani, brulicanti di vita e di cose da fare. Questa spiacevole sensazione è rafforzata da un comparto audio di fatto assente nelle fasi di free roaming e martellante invece durante quelle di battaglia: oltre a risultare poco credibile, camminare in una città all’ora di punta sentendo solo il rumore dei propri passi denota quella mancanza di cura nella realizzazione dei dettagli che separa, a conti fatti, il titolo in questione dalla schiera dei must have per PlaystationPortable.Mentre la longevità va promossa a pieni voti, grazie alla possibilità di scendere nuovamente in strada una volta terminata la modalità Storia, che attesta la longevità sulla ventina di ore, che riteniamo più che sufficienti per un gioco di azione (etichetta che a Kenka Bancho sta un po’ stretta, a dire il vero), abbiamo trovato poco soddisfacente il livello di difficoltà normale, che si fa impegnativo solo negli ultimissimi scontri. Il problema è comunque risolvibile grazie alla possibilità di scegliere tra più livelli di difficoltà dalla schermata iniziale.
– Trasuda Giappone da tutti i pori
– Dialoghi ben scritti e doppiati
– Longevità decisamente sopra la media del genere
– Musiche del tutto assenti in alcune fasi
– Sistema di controllo decisamente da rivedere
– Città piatta e poco credibile
– Graficamente solo sufficiente
6.5
Il problema maggiore di Kenka Bancho è dato dal fatto che il cuore del gioco, ciò che avrebbe dovuto contraddistinguerlo e caratterizzarlo, è, alla prova dei fatti, ciò che risulta meno riuscito nel quadro generale del titolo: il sistema di combattimento soffre di una inspiegabile legnosità dei comandi e la grande varietà di combo disponibili finisce con l’annegare a fronte della comodità di pigiare forsennatamente il tasto X per arrivare allo stesso risultato, ovvero l’annientamento dell’avversario.
Eppure ci siamo divertiti a scattare foto durante le cut scene, i cui dialoghi ci hanno strappato più di un sorriso, abbiamo imparato ad amare vari personaggi, anche secondari, abbiamo apprezzato la più che buona longevità del titolo, non siamo rimasti sordi all’ennesimo, ottimo doppiaggio made in Atlus.
Essendo il gioco disponibile solo in versione USA, al momento, non possiamo che consigliarne l’acquisto solo ai veri appassionati di tutto ciò che arriva dal Sol Levante, o a chi crede che un contorno saporito possa giustificare un secondo insipido.
Voto Recensione di Kenka Bancho - Recensione
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