I titoli indipendenti, sviluppati con molte più idee che fondi, si sono ormai guadagnati un posto stabile nel mercato, pronti a coprire i buchi lasciati dalle produzioni milionarie tanto in termini di copertura temporale del calendario quanto di frequentazione di generi che le grandi software house sembrano snobbare.
Da Switch a PS4, passando per Xbox One e finanche la derelitta PlaystationVita, spulciando negli store digitali è possibile imbattersi in prodotti di ottima qualità ed il qui presente Iconoclasts, ultima fatica del talentuoso Joakim Sandberg, si iscrive di diritto a questa categoria.
Lo abbiamo provato nella sua versione per l’ammiraglia Sony, ma (grazie al cross-buy) sarà possibile giocarci anche sulla piccola di casa, oltre che su PC: ecco cosa ne pensiamo.
Laddove molti dei suoi congeneri si limitano ad offrire una flebile traccia narrativa, utile appena a giustificare le peregrinazioni lungo la mappa di gioco, Iconoclasts si prende la briga di proporre un mondo credibile, personaggi cui si farà fatica a non affezionarsi e una serie di motivazioni che vanno oltre il semplice, ed indiscriminato, sterminio di tutti i nemici a schermo.
Il mondo in cui vive Robin, una ragazza astuta e volenterosa che ha appena perso il padre, è uno di quelli in cui non vorremmo mai ritrovarci: dominato in maniera dittatoriale da un regime religioso, chiamato One Concern, a capo del quale c’è una misteriosa figura femminile che si fa chiamare Mother, e regolato da dogmi tanto stringenti quanto miopi.
Ad ognuno dei cittadini, infatti, viene imposto dall’alto un lavoro, indipendentemente dai gusti e dalle abilità personali: coloro i quali decidessero di ribellarsi andrebbero incontro ad una vera e propria “purga”, per mano di una polizia speciale che sembra una critica nemmeno troppo velata agli orrori della Seconda Guerra Mondiale.
Robin, da brava “partigiana”, se ne infischia, ed oltre a praticare il mestiere di meccanica senza alcuna autorizzazione, mette mano all’ivory, fonte energetica primaria, aiutando tutti coloro che glielo chiedono: inutile dire che questa linea di azione la mette immediatamente nel mirino di due agenti particolarmente odiosi, Black e White (gli antijuventini tra i nostri lettori godranno doppiamente nello sconfiggerli), e la porta ad unirsi ad un gruppo di ribelli che puntano a rovesciare lo status quo.
Anche solo fermandoci qui, saremmo andati ben oltre le velleità narrative di moltissimi prodotti similari, e, sebbene non sia tradotta nella nostra lingua e scada, in certi frangenti, nella prolissità, la trama dietro Iconoclasts si segnala come una delle migliori se si prendono in esame i titoli indipendenti degli ultimi dodici – quindici mesi.
Pensare che dietro a tutto questo c’è un solo uomo, quel Joakim Sandberg che aveva già dato bella prova di sé con i due Noitu Love su Wii U (li avremo giocati in quattordici, ma questo non toglie nulla alla loro qualità), non fa altro che aggiungere punti alla valutazione finale.
Una chiave (inglese) per domarli tutti
A livello di gameplay, rispetto ai suoi congeneri, Iconoclasts focalizza l’attenzione sui puzzle ambientali e sull’esplorazione piuttosto che sui combattimenti, che si dimostrano uno dei (pochi) anelli deboli della catena.
I due strumenti principali che Robin avrà a disposizione, ovvero una chiave inglese ed una stun gun, saranno disponibili dai primissimi istanti di gioco, e accompagneranno il giocatore lungo tutta l’avventura, con la possibilità di raccogliere dei materiali sparsi in forzieri nascosti nelle mappe per potenziarne i valori di gittata, potenza e velocità: di qui la necessità, che si tramuta presto in piacere vista la qualità del level design, di esplorare ogni anfratto delle mappe, aumentando il peso che l’esplorazione ha nell’equazione.
Aprire porte meccaniche temporizzate, coordinarsi con meccanismi a ruota, esplorare livelli subacquei o dare elettricità a circuiti in disuso sono solo alcune delle attività che saranno necessarie per l’avanzamento lungo la campagna principale, e la chiave inglese di Robin sarà spesso la sua migliore amica: probabilmente il prodotto avrebbe beneficiato di una maggiore scelta in fatto di armi e strumenti, come di nemici, ma spesso capire come e dove utilizzare uno degli attrezzi a disposizione rappresenta un puzzle in se stesso.
Agli enigmi ambientali si alternano fasi di platforming, invero mai troppo impegnative, e combattimenti resi poco entusiasmanti dal sistema di puntamento automatico della pistola in dotazione, che nella stragrande maggioranza dei casi rende sufficiente premere il pulsante di sparo finché non ci si è sbarazzati di ogni minaccia.
Non che gli scontri siano mediocri, beninteso, ma le fasi di risoluzione degli enigmi e (soprattutto) di esplorazione delle mappe, conditi dai classici momenti “a-ha” quando si sbloccano scorciatoie, regalano soddisfazioni assai maggiori; se dal punto di vista del mero combat system, quindi, Iconoclasts esce sconfitto dal confronto diretto con titoli come Axiom Verge o Metroid Samus Returns, da quello del level design e dell’ingegnosità dei puzzle il prodotto di Joakim Sandberg regge il confronto alla grande.
La scelta di non dotare il prodotto di un sistema di crescita del personaggio (se non con l’acquisizione dei power up craftabili di cui sopra) toglie mordente agli scontri, spingendo il giocatore ad evitarli quando, nelle fasi più avanzate dell’avventura, ci sarà bisogno di tornare sui propri passi per esigenze di copione.
Dove, però, Konjak si è superato è nelle boss battle: parliamo di scontri articolati, mai impossibili ma decisamente più impegnativi di quelli con i nemici comuni, che richiedono prontezza di riflessi, capacità di osservazione dei pattern nemici e, in qualche caso, anche un pizzico di pensiero laterale per trovare il modo di scampare ad attacchi che paiono inevitabili.
Noi ne abbiamo contati all’incirca una ventina, e crediamo di averli visti tutti, ma non escludiamo che ce ne possano essere un altro paio nascoste tra le pieghe del level design: siamo curiosi di gustarceli, durante la ventura, inevitabile seconda run a livello Difficile.
Sì, lo sappiamo, di giochi in pixel art, chiaramente ispirati all’epoca dorata delle console a 16 bit, ne abbiamo visti a bizzeffe negli ultimi anni, ma a noi questo stile, soprattutto se declinato con la grazie e la cura per i particolari portati in dote da Iconoclasts, non stancherà mai.
Il diavolo è nei dettagli: basta guardare ai frame di animazione disegnati a mano (e spesso non necessari), come quelli dell’abbraccio di Robin ad un personaggio oppure quello che si materializza a schermo ogni volta che ci si appende ad una sporgenza, per rendersi conto che i quasi otto anni impiegati dal game designer scandinavo sono stati ben impiegati.
Ad una tavolozza di colori brillanti ed iper saturi, un moveset di primissimo piano, un motore di gioco impeccabile dal punto di vista delle prestazioni ed un level design mai banale, fanno da contraltare solamente una scarsa varietà dei nemici e, come dicevamo poc’anzi, la scarsa originalità di questa veste grafica.
Tanto sul televisore di casa quanto sul brillante schermo di Playstation Vita, Iconoclasts si rivela splendido da guardare, andando a posizionarsi senza fatica in una ipotetica top five dei migliori titoli in pixel art dell’ultimo lustro.
Sebbene non al livello del comparto visivo, anche la colonna sonora si dimostra degna di menzione, con motivi ipnotici che non faticherete a ricordare anche una volta spenta la console.
Anche la durata complessiva è al di sopra della media: noi abbiamo impiegato poco più di tredici ore per arrivare in fondo al livello di difficoltà normale, ma dedicandosi all’esplorazione compulsiva e, soprattutto, innalzando il livello di sfida è possibile trarre dal gioco anche una ventina scarsa di ore, non poche in rapporto al prezzo richiesto.
Level design di prima qualità
Visivamente incantevole
Boss fight originali e coinvolgenti
Offerta ludica generosa (e cross buy con Vita)
Combat system migliorabile
Bestiario ed armamentario un po’ limitati
Qualcuno potrebbe obiettare che di titoli in pixel art è pieno il mercato, o che il sistema di combattimento impallidisca se confrontato con quello di titoli come Axiom Verge o l’ultimo Metroid, o che bestiario ed equipaggiamento siano abbastanza scarni, eppure Iconoclasts ha così tanti punti di forza da segnalarsi comunque come uno dei migliori “metroidvania” dell’ultimo periodo.
La trama e i personaggi testimoniano un amore sconfinato del creatore verso la sua creatura, le animazioni sono spettacolari, l’esplorazione mai banale e sempre gradevole e le boss fight degne di essere prese ad esempio per tutti i giovani game designer.
Ci saranno anche voluti sette anni, ma Joakim Sandberg conferma che il suo talento è in rapida ascesa: non vediamo l’ora di ricevere informazioni sul suo prossimo progetto.